Dieudò, giullare maledetto
Il ghigno di un giullare maledetto risuona nelle cattive coscienze di Saint-Germain-des-Prés. Con l’editto dell’Eliseo scagliato su Dieudonné M’Bala M’Bala, la polizia del pensiero unico ha accettato il rischio di creare un nuovo martire a uso e consumo dell’ideologia francese, quella che Alain de Benoist ha ritratto nel suo ultimo pamphlet intitolato “I demoni del bene”, degna prole generata dai fautori di “un nuovo ordine morale d’occidente”. Ma questa volta il martire è indigesto perché assomiglia troppo ai suoi improvvisati persecutori.
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Il ghigno di un giullare maledetto risuona nelle cattive coscienze di Saint-Germain-des-Prés. Con l’editto dell’Eliseo scagliato su Dieudonné M’Bala M’Bala, la polizia del pensiero unico ha accettato il rischio di creare un nuovo martire a uso e consumo dell’ideologia francese, quella che Alain de Benoist ha ritratto nel suo ultimo pamphlet intitolato “I demoni del bene”, degna prole generata dai fautori di “un nuovo ordine morale d’occidente”. Ma questa volta il martire è indigesto perché assomiglia troppo ai suoi improvvisati persecutori. Perché Dieudonné, l’antisemita conclamato, il pagliaccio teatrale cui la Francia dei burocrati e quella degli intellò ha deciso di negare con fragore ogni palco pubblico, non è Oriana Fallaci e non è nemmeno Michel Houellebecq o Robert Redeker. Loro tre, figli di una cultura europea crepuscolare, a vario grado hanno patito l’accusa d’islamofobia emessa dai tribunali virtuali maomettani e tacitamente sottoscritta dal tout-Paris (nel caso del filosofo Redeker, il più sfortunato, si trattò di una autentica fatwa che dal 2006 lo costringe alla semiclandestinità).
L’impeto agreste della giornalista Fallaci fu degradato nel pittoresco e infatti, nel 2002, il suo libro “La rabbia e l’orgoglio” ha trovato una giuria più comprensiva dei musulmani che ne avevano chiesto invano l’interdizione dalle librerie. Houellebecq, che si crede Céline ma di Céline è soltanto più furbo, dalle “Particelle elementari” (1999) in poi ha trovato più collaborazioni e coccole di quante ne abbia perdute lungo la via del successo letterario: con lui la diabolisation ha funzionato così così, meglio premiarlo e farne un trompe-l’oeil isolato e innocuo rispetto ai canoni della pulizia etica cara a Bernard-Henri Lévy e ai tanti suoi amici ereditieri timorati d’ogni barbarie dal volto umano. Da Robespierre in poi, la politica francese può vantare una lunga serie d’infortunii poco volterriani, e non soltanto in fatto di libertà d’espressione, ma oggi la reductio ad Hitlerum si dimostra efficace e sempreverde sopra tutto quando è rivolta ai discendenti (o supposti tali) di Vichy come De Benoist o Dominique Venner.
E Dieudonné? Lui è un’altra storia. François Hollande e il suo ministro dell’Interno, Manuel Valls, si prendono la responsabilità civile di esiliare in patria un artista germogliato da una pianta comune. Come ha scritto François-Laurent Balssa sul periodico neodestrista Éléments, “Dieudò (accento nostro, si pronuncia così, ndr) viene da lontano. Era il Nero dei sogni, militante dei diritti dell’uomo, universalista, antifascista, frutto della benedetta ‘diversità’”. Ma poi di punto in bianco “ha deciso di assomigliare a Jean-Marie Le Pen. L’imprevisto nella storia, l’accidente industriale, una sorta di Seveso per l’antirazzismo: l’incontro di un griot africano (il bardo della cultura sub-sahariana, ndr) e dell’ultimo menhir d’occidente”. Dieudò, scandalo della ragion pura illuminista, diventa amico del negazionista Robert Faurisson, frequenta i tipacci di Hezbollah, vola a Teheran e Damasco, dileggia gli ebrei, s’inventa un saluto nazista mascherato e, accidenti a lui, fa anche ridere migliaia di francesi variopinti perché trasforma la sua inaccettabile offerta ideologica in un buon prodotto teatrale.
Dieudonné diverte – ci ricorda Balssa su Éléments – con “le sue provocazioni Dada e i suoi enfantillages surrealisti”, usa “la tecnica del ready-made applicata all’industria dell’olocausto” (cit. di Norman Finkelstein) e trionfa come un Ubu sull’impostore Tartuffe. E’ un cazzotto in testa per la gauche che adesso si sente tradita eppure, in cuor suo, l’estate scorsa non ha potuto fare a meno d’illanguidirsi ancora una volta, se pur basita, mentre Dieudò partecipava in qualità di testimone a un matrimonio gay nella prigione di Poissy (l’altro testimone era il terrorista Carlos, gli sposi felici sono detenuti per omicidio plurimo e uno dei due rivendica la paternità della figlia di Rachida Dati). I reprobi della Nouvelle Droite sorridono rinfrancati, mentre danno a Dieudonné di “relitto medievale carnascialesco… ‘La barbarie piuttosto che la noia’, diceva Théophile Gautier. Ora abbiamo la barbarie e la noia”. E la coscienza infelice di chi, per nascondere Dieudò, figlio degenere, fa calare un sipario di nuvole nere sulla libertà d’espressione.
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