Ora Obama e Iran suonano lo stesso spartito in medio oriente
L’America e l’Iran si stanno muovendo assieme su due dossier cruciali in medio oriente, Iraq e Siria. E’ come se l’accordo ad interim di novembre sull’arricchimento dell’uranio firmato a Ginevra si stesse trasformando in una sintonia più profonda – fatto il primo passo, perché non fare anche gli altri?
Lunedì il governo di Teheran si è unito a quello di Washington nell’offrire aiuti militari al primo ministro dell’Iraq, Nouri al Maliki, alle prese con una rivolta in una parte del paese che è controllata per metà da al Qaida.
L’America e l’Iran si stanno muovendo assieme su due dossier cruciali in medio oriente, Iraq e Siria. E’ come se l’accordo ad interim di novembre sull’arricchimento dell’uranio firmato a Ginevra si stesse trasformando in una sintonia più profonda – fatto il primo passo, perché non fare anche gli altri?
Lunedì il governo di Teheran si è unito a quello di Washington nell’offrire aiuti militari al primo ministro dell’Iraq, Nouri al Maliki, alle prese con una rivolta in una parte del paese che è controllata per metà da al Qaida. Il vicecapo di stato maggiore iraniano, il generale Mohammed Hejazi, ha detto che “l’Iran è pronto ad aiutare il paese vicino contro i terroristi e a mandare equipaggiamento e consiglieri militari, ma non truppe” se Baghdad lo chiedesse. A dire il vero, l’opposizione iraniana sostiene che alcune unità di pasdaran sarebbero già atterrate all’aeroporto internazionale di Baghdad.
La tv satellitare al Gharbiya dice che secondo quelle fonti “la 53esima brigata e un’unità delle Guardie rivoluzionarie sono atterrate nella capitale irachena perché Teheran sta entrando direttamente e senza nascondersi nella guerra che si combatte ad Anbar”. Si tratta di un’informazione che non è possibile confermare e c’è da tenere in conto il radicatissimo pregiudizio anti iraniano in Iraq, lo stesso che fa dire a molti iracheni che la rivolta contro il governo è in realtà un’operazione iraniana e che ha trasformato alcuni malcapitati camionisti iracheni con visto iraniano in spie catturate dai rivoltosi di Anbar (i loro documenti sono finiti come prova su internet, sono semplici visti temporanei – venti giorni – per passare il confine con i loro mezzi). A queste notizie si sommano anche i rumors su aerei cargo iraniani che atterrano con carichi militari. Nelle stesse ore l’America offriva sostegno militare con missili Hellfire – che arriveranno a primavera – e droni a corto raggio, e secondo notizie meno ufficiali anche con una vasta gamma di aiuti sotto forma di intelligence e consiglieri militari. Il sito israeliano Debka, che racconta il medio oriente con informazioni spesso non verificabili, la settimana scorsa aveva un titolo difficile da contestare: America e Iran assieme nella loro prima impresa militare contro al Qaida in Iraq. Vali Nasr, ex consulente della Casa Bianca sotto Obama e uno degli esperti più rispettati (scrisse un classico sul potere sciita e iraniano: “The Shia Revival”) si chiede: “Al Qaida sta creando un terreno d’incontro per Stati Uniti e Iran?”.
Domenica, il segretario di stato americano, John Kerry, ha detto che l’Iran dovrebbe prendere parte all’imminente Conferenza di pace di Montreux, in Svizzera, sulla Siria – dove in teoria si dovrebbe discutere di un piano per la transizione del paese al dopo Assad. L’Amministrazione Obama per lungo tempo si è schierata a fianco dei ribelli e contro il presidente siriano, ma dopo la strage con il gas nervino di agosto e l’accordo per lo smantellamento dell’arsenale chimico siriano ha preso una posizione assai più vicina a quella dell’asse Mosca-Teheran. Ha ritirato l’appoggio ai ribelli, anche gli aiuti non letali, e concentra i suoi sforzi sulla possibilità di far raggiungere alle parti un accordo politico. L’Iran in parte ha scritto il patto di disarmo e lo appoggia pienamente (ieri le prime armi chimiche hanno lasciato le coste della Siria).
Thomas Erdbrink, corrispondente da Teheran del New York Times, scrive che per alcuni va tutto spiegato con il pragmatismo del nuovo presidente Hassan Rohani, entrato in carica ad agosto, e del suo ministro degli Esteri, Mohammed Javad Zarif. Altri che si tratta di una finta intesa per cullare l’occidente in un falso senso di tranquillità, in attesa dei veri negoziati sul nucleare. Un falco come Aziz Shahmohammadi, ex consulente del Consiglio per la sicurezza nazionale iraniano, ammette che ci sono interessi in comune: “Nessun paese può avere un nemico in eterno, né noi né gli Stati Uniti”. Un giornalista iraniano riformista, Mashallah Shamsolvaezin, ricorda che nel 2001 i servizi segreti iraniani passarono informazioni alle forze speciali americane impegnate contro un nemico comune, i talebani afghani.
Alleati furiosi
L’Amministrazione Obama ha già postulato la non necessità del coinvolgimento in medio oriente. Vuole mettere distanza e occuparsi più del Pacifico, dove vede più opportunità, più futuro, forse anche minacce maggiori. Su Bloomberg Businessweek il vice del dipartimento di stato, Benjamin Rhodes, dice: “Gli Stati Uniti prendono decisioni in politica estera che sono basate sui propri interessi. Non è nel nostro interesse essere coinvolti permanentemente in guerre infinite nel medio oriente. E’ invece nostro interesse spenderci in sforzi diplomatici significativi per tentare di risolvere i conflitti e aiutare i nostri partner – che è esattamente quello che stiamo facendo”. Questa nuova linea d’intesa però, sebbene comoda, rischia di sottovalutare troppo lo scontento dei tradizionali alleati dell’America nell’area, Israele e Arabia Saudita, che danno segnali importanti di malcontento e anche, che è peggio, di non arrivare a risultati reali, come potrebbe essere l’interruzione dei combattimenti in Siria.
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