No blood for gas

La Russia cerca in Siria una pax assadista e ricca di gas sottomarino

Daniele Raineri

Ieri è stato formalizzato un accordo tra il governo siriano e la compagnia energetica russa Soyuzneftegaz per l’esplorazione del Block 2, un tratto di fondale marino nelle acque territoriali davanti al porto di Tartous. A quindici giorni dalla Conferenza di pace di Montreux, dove si tenterà di raggiungere un qualche tipo di compomesso non meglio specificato per far cessare le violenze in Siria, Mosca entra finalmente con una sua compagnia nazionale dell’energia nel Mediterraneo occidentale, una zona da cui era stata sempre esclusa. Soyouzneftegaz è una controllata della Banca centrale russa.

    Ieri è stato formalizzato un accordo tra il governo siriano e la compagnia energetica russa Soyuzneftegaz per l’esplorazione del Block 2, un tratto di fondale marino nelle acque territoriali davanti al porto di Tartous. A quindici giorni dalla Conferenza di pace di Montreux, dove si tenterà di raggiungere un qualche tipo di compomesso non meglio specificato per far cessare le violenze in Siria, Mosca entra finalmente con una sua compagnia nazionale dell’energia nel Mediterraneo occidentale, una zona da cui era stata sempre esclusa. Soyouzneftegaz è una controllata della Banca centrale russa.

    La notizia dell’accordo tra Russia e Siria era già uscita il 25 dicembre, quando il capo della compagnia, Yuri Shafranik, è stato a Damasco per gli ultimi ritocchi. L’accordo consente ai russi di trivellare un’area inesplorata di 2.190 chilometri quadrati dentro il cosiddetto bacino del Levante, una gigantesca provincia gassifera che si estende sotto le acque del Mediterraneo dalle coste del Sinai fino a Cipro, passando davanti a Gaza, Israele, Libano e Siria. Il costo previsto per l’operazione è di circa novanta milioni di dollari, tutti a carico di Soyuzneftegaz, e la durata è di 25 anni. Mosca scommette che per il prossimo quarto di secolo a Damasco ci sarà un governo amico, anche se nel paese è in corso una guerra civile e il presidente Bashar el Assad vive a meno di venti chilometri dalla prima linea dei combattimenti tra i soldati e la guerriglia.

    La Russia ha scelto fin dall’inizio delle violenze il ruolo di grande sponsor del governo di Damasco e il suo sostegno prende forme diverse. Garantisce protezione costante alla Siria: ieri per esempio ha bloccato alle Nazioni Unite una risoluzione di condanna per la recente campagna di bombardamenti contro la città di Aleppo che è costata la vita a non meno di cinquecento civili – identificati con nome e cognome – nelle due settimane attorno a Natale. Offre rifornimenti militari essenziali all’esercito siriano –  alcuni aerei di Assad sono in questo momento in Russia per essere riequipaggiati e adattati alla guerra. Interviene in casi eccezionali, come quando ha evitato l’intervento internazionale armato dopo la strage di civili con il gas nervino alla periferia di Damasco mediando un accordo con l’Amministrazione Obama. Secondo molti osservatori, l’appoggio del presidente russo Vladimir Putin non è tanto a favore del presidente siriano Bashar el Assad  quanto più in generale dell’establishment damasceno, anche se è difficile capire dove finisce uno e inizia l’altro. Da Mosca è arrivato un raro scatto di malumore con Assad alla notizia che il rais siriano intende ricandidarsi alle “elezioni presidenziali” del 2014, come se volesse sottrarsi a un patto di transizione già scritto che prevede una sua dismissione sicura e onorevole, ma anche definitiva.

    Negoziare in fretta una pace partendo dall’incontro di Montreux, per la Russia, vorrebbe dire poter sfruttare il contratto al suo meglio e in futuro cominciare a esportare il gas. La Russia ha già grandi giacimenti e una fetta importante dell’offerta di energia, ma vale la pena notare che più si ha il controllo della produzione più si ha anche il controllo del mercato. Si tratta anche di un grande azzardo: la situazione nell’area è davvero poco decifrabile ed è difficile fare previsioni a lungo termine. Assad sembrava finito un anno fa, ma poi  si è salvato grazie all’intervento dei suoi alleati stranieri, la Russia e l’Iran.

    Anche l’Eni in zona
    L’uomo dell’accordo, l’ex ministro dell’Energia russo Yuri Shafranik, è stato definito un intermediario chiave tra la Russia e il mondo arabo. Nel 2011 la sua Soyuzneftegaz ha acquistato una quota dell’inglese Gulfsands, una compagnia petrolifera inglese che ha la maggioranza del Block 26,  – un giacimento nel nord-est della Siria ormai da mesi finito nelle mani di al Qaida – e ha anche giacimenti in Iraq.  In questa società c’è anche Rami Makhlouf, cugino da parte di madre del presidente e uomo di potere dell’economia siriana.

    Il bacino del Levante è considerato molto promettente dagli esperti, ma è nel mezzo di una zona squassata dalle tensioni – e la sua scoperta ne sta provocando altre. Israele è impegnato in discussioni ostili con il Libano, la Turchia minaccia di mandare le sue navi da guerra contro l’isola di Cipro. Pochi chilometri a sud delle coste siriane, alcune compagnie hanno già cominciato le esplorazioni. Ci sono almeno due compagnie di stato russe, Rosneft e Lukoil, e una privata, la Novatek, che per l’occasione ha stretto una partnership anche con l’italiana Eni e l’inglese Soco.

    • Daniele Raineri
    • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)