Perché nessuno stronca il Jobs Act di Renzi

Alberto Brambilla

Il documento sul lavoro reso noto via mail da Matteo Renzi, non senza “un sorriso” a timbrare e umanizzare la novità, è stato accolto – soffietti a parte – con una notevole diffidenza. E’ generico, improvvisato e va riscritto con maggiori competenze, ha osservato sia pure con tono rispettoso Pietro Ichino; è tutta fuffa, secondo il focoso e chirurgico Renato Brunetta; è bene ispirato, ha molte idee che vanno nella giusta direzione, ma è un manifesto politico o bandierina ideologica più che un atto di governo della società, secondo i liberisti dell’Istituto Bruno Leoni.

Ferrara L’Act mancato di Matteo

    La bozza di documento sulla politica per il lavoro, le anticipazioni del cosiddetto Jobs Act, pubblicata mercoledì 9 dal neosegretario del Pd, Matteo Renzi, ha sollecitato l’attenzione dei think tank, degli economisti e degli esperti di  mercato del lavoro. Ecco le reazioni a caldo (o ragionate) di alcuni di loro tra elogi, caute reprimende e caustiche critiche.

    Il commento di Giuliano Ferrara L’Act mancato di Matteo

    Jobs Act. Il documento proposto da Renzi sembra come al solito un elenco di luoghi comuni e di banalità http://t.co/9Qk8To6z8m

    — Il Mattinale (@IlMattinale) January 10, 2014

    Il giuslavorista Pietro Ichino, senatore di Scelta Civica (ex Pd) ha riservato sostanziali critiche, sebbene moderate nei toni, in un’analisi immediatamente successiva alla pubblicazione del testo che considera troppo generico e con qualche difetto d’improvvisazione. I toni di Ichino cambiano poco quando sull’Unità di oggi critica Renzi per non avere rispettato le promesse di rapida attuazione della semplificazione normativa sul diritto del lavoro e del contratto unico a tutele crescenti… con una delusione (avere abboccato alla bufala sulla ipertrofia della contrattualistica italiana). Infine, riserva un consiglio al neosegretario che pesa più di altri appunti “tecnici”: “Stia alla larga dai luoghi comuni, che hanno fatto danni incalcolabili alla sinistra italiana”.

    Il jobs act è piaciuto a Camusso, Landini e Damiano. A occhio e croce non deve essere molto innovativo

    — Antonio Polito (@antoniopolito1) January 9, 2014

    L’economista dell’Università Bocconi, Tito Boeri, tra gli animatori del think tank la voce.info, guarda in maniera positiva al cambio d’approccio che, secondo lui, fornirebbe il contributo renziano. Secondo Boeri il contratto unico a tutele progressive, un suo cavallo di battaglia, contribuisce dare certezze alle imprese perché supera la frammentazione del mercato offrendo un contratto a tempo indeterminato con la possibilità di licenziare nei primi tre anni.

    Al job act aggiungi il know how, fai outsourcing del follow up, così rispetti il fiscal compact e sei nell'alveo della spending review

    — Riccardo Ruggeri (@editoreruggeri) January 9, 2014

    L’Istituto Bruno Leoni è stato uno dei primi think tank economici ad analizzare il Jobs Act. Secondo Carlo Stagnaro, il Direttore Ricerche e studi, il documento renziano è più che altro un manifesto politico con contenuti ancora vaghi da valutare. Tra buone (abolizione del tempo indeterminato per i dirigenti pubblici e eliminazione dell’obbligo di iscrizione alle Camere di Commercio) e cattive (la riduzione del 10 per cento dell’Irap finanziata con l’aumento dell’imposizione sulle transazioni finanziarie; meglio sarebbe una spendine review) intenzioni e diverse sospensioni del giudizio per mancanza di elementi il Jobs Act viene considerato dall’Ibl un contenitore da migliorare e da riempire con proposte concrete.

    Jobs Act – Sussidio universale, buona idea. Ma le risorse? http://t.co/Q1d18liie5

    — Mario Seminerio (@Phastidio) January 10, 2014

    L'ex-alievo di Marco Biagi, professore di diritto del lavoro all'Università di Modena e Reggio Emilia e Coordinatore del comitato scientifico del think tank Adapt, Michele Tiraboschi, aveva accolto positivamente lo spirito innovatore dell’iniziativa renziana. Poi, però, con un articolo su Avvenire di oggi è entrato nel merito evidenziando in particolare la difficoltà burocratica non indifferente che Renzi dovrà superare per semplificare la normativa sul lavoro che consta di circa 150.000 precetti. Caustico invece il commento di Giuliano Cazzola, ex sindacalista della Cgil, non vede nulla di nuovo sotto il sole con il Jobs Act che anche in questo campo i giovani rottamatori – che hanno accarezzato l’arma dell’antipolitica per farsi strada nel partito, pur non conoscendo il sudore della fronte del lavoro ed essendo vissuti fino ad oggi soltanto grazie alla politica – dimostrano di non avere principi a cui ispirarsi”.

    • Alberto Brambilla
    • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.