Il valzer dei ghiacci
"E’ altamente probabile che nel giro di cinque, al massimo sette anni, il Polo nord sarà completamente libero dai ghiacci durante gran parte dei mesi estivi”. E’ il 14 dicembre 2009, e a Copenaghen, in Danimarca, è in corso uno dei più drammatici summit sul clima mai organizzati dalle Nazioni Unite. Il tema del riscaldamento globale è stato portato all’attenzione delle masse e dei media grazie al lavoro indefesso dell’ex vicepresidente americano Al Gore il quale, sconfitto per pochi voti da Bush alle elezioni del 2000, si è reinventato una carriera come difensore del pianeta. Da anni gira il mondo per avvertire l’umanità che per colpa delle emissioni prodotte dalle attività antropiche le temperature globali si stanno alzando come mai prima nella storia.
"E’ altamente probabile che nel giro di cinque, al massimo sette anni, il Polo nord sarà completamente libero dai ghiacci durante gran parte dei mesi estivi”. E’ il 14 dicembre 2009, e a Copenaghen, in Danimarca, è in corso uno dei più drammatici summit sul clima mai organizzati dalle Nazioni Unite. Il tema del riscaldamento globale è stato portato all’attenzione delle masse e dei media grazie al lavoro indefesso dell’ex vicepresidente americano Al Gore il quale, sconfitto per pochi voti da Bush alle elezioni del 2000, si è reinventato una carriera come difensore del pianeta. Da anni gira il mondo per avvertire l’umanità che per colpa delle emissioni prodotte dalle attività antropiche le temperature globali si stanno alzando come mai prima nella storia. Nel 2006 ha pubblicato un libro e girato un film intitolati “Una scomoda verità”. Milioni di copie vendute e persino un premio Oscar per la pellicola che denuncia le conseguenze catastrofiche del riscaldamento globale e le possibili misure da prendere per fermarlo, riducendo le emissioni di CO2. Il suo messaggio attraversa il mondo, colpisce soprattutto i più giovani, che trovano finalmente un senso alla loro esistenza: combattere il clima che si scalda. E’ lui stesso a sostenerlo, nell’introduzione del suo libro: “La crisi del clima ci offrirà la possibilità di fare esperienza di una cosa che poche generazioni nella storia hanno provato: una missione generazionale, […] un fine morale, […] la possibilità di crescere. […] Le persone che soffrono di mancanza di significato nella loro vita troveranno la speranza. […] E mentre cresceremo, faremo l’esperienza di una rivelazione, scoprendo che questa crisi non c’entra nulla con la politica. E’ una sfida morale e spirituale”. Al Gore diventa Al Guru, e il suo impegno nella lotta al global warming l’anno dopo gli vale persino un Nobel per la Pace, da dividere a metà con l’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc), il gruppo di esperti finanziato dall’Onu per studiare il clima che cambia. In quegli anni scienziati, riviste, quotidiani, tv e politici ripetono tutti lo stesso allarme – il mondo sta bruciando. La gente comune inizia a familiarizzare con il tema, le previsioni più ottimiste parlano di scioglimento dei Poli entro la fine del secolo; le immagini di grossi blocchi di ghiaccio che si staccano dall’Antartide diventano un tormentone, quasi al pari delle foto di orsi polari alla deriva su piccoli iceberg. Si arriva al summit di Copenaghen nel dicembre 2009 sull’onda emotiva del mondo da salvare entro pochi mesi (chi dice cento, chi meno, molti meno).
Al Gore sembra indistruttibile, anche se qualche mese prima un tribunale inglese ha vietato la proiezione del suo documentario nella scuole perché contiene troppi errori scientifici. In effetti qualche voce di dissenso si comincia ad alzare, ma è zittita con repliche poco accademiche: “negazionisti” è il termine più usato, là dove l’analogia con chi nega l’Olocausto è esplicita. Copenaghen però è anche l’ennesimo incontro dei paesi Onu per cercare una politica comune sul clima: i precedenti sono stati fallimentari, sempre chiusi con finti accordi che di fatto rinviavano le misure vincolanti al summit successivo. A Copenaghen però ci sarà Obama, fresco presidente americano eletto anche per la sua sensibilità verde. Due mesi prima ha vinto il Nobel per la Pace, proprio come Al Gore. Ed è l’ex vicepresidente democratico a fare quella previsione sullo scioglimento del Polo nord nei mesi estivi entro cinque anni. Forse è una mossa della disperazione: pochi giorni prima del summit uno scandalo internazionale ha investito il mondo apparentemente puro e incorrotto di chi studia i cambiamenti climatici con l’unico fine di salvare l’umanità. Migliaia di email di scienziati noti per le loro posizioni a favore della tesi che il riscaldamento globale abbia origini antropiche vengono rubate e messe online. In esse si notano strane connivenze, aggiustamenti di dati, accordi sul favorire chi la pensa in un certo modo e bocciare altri, mezze ammissioni che sul tema la scienza sia tutt’altro che unanime. Il summit di Copenaghen fallisce come tutti gli altri, e la profezia di Al Gore resta come una minaccia ai posteri: se non agiamo in fretta il Polo nord tra cinque anni sarà libero dai ghiacci in estate. Cinque anni sui media sono un’eternità, ma nella realtà hanno il vantaggio ineluttabile di passare, prima o poi. Nel 2012 effettivamente l’estensione dei ghiacci artici ha toccato il minimo da quando la si misura (qualche decennio), per poi risalire – e molto – nel 2013: maggiore estensione e maggiore volume dei ghiacci rispetto al passato. Il trend è ancora negativo, ma i dati di quest’anno smentiscono le previsioni. Perché? Le spiegazioni sono molteplici e molto tecniche (si parla di flussi di calore trasportati dal mare per il lungo periodo, oscillazioni multidecadali delle temperature di superficie degli oceani, e dalla disposizione della massa atmosferica per il breve periodo), ma se guardate attraverso le lenti di chi assicurava che sul tema la-terra-si-riscalda-e-il-ghiaccio-si-scioglie non ci fosse più alcun dubbio, incomprensibili. La realtà spesso si è divertita a smentire quello che i modelli statistici avevano previsto, e lo ha fatto su un sacco di aspetti del clima. C’era infatti chi aveva fatto meglio di Al Gore nelle previsioni: nel 2007 il National Geographic e la Bbc spiegavano che tra il 2012 e il 2013 le estati artiche sarebbero state ice free.
Parliamo di temperature? Da circa quindici anni non aumentano più a livello globale. C’è chi dice che questa sia soltanto una pausa, forse dovuta al fatto che gli oceani hanno immagazzinato il calore che “non torna” nei calcoli, e prima o poi lo rilasceranno. Fatto sta che i grafici a forma di “mazza da hockey” che andavano molto di moda qualche anno fa e che dimostravano un aumento improvviso delle temperature negli ultimi anni sono improvvisamente scomparsi da siti internet e quotidiani.
Ma a ben vedere l’ubriacatura da riscaldamento globale è stata smaltita già da qualche anno. Accortisi che il pianeta non andava arrosto, i sostenitori della catastrofe climatica imminente hanno cambiato registro: basta con il “global warming”, si usi “climate change”. In effetti questa seconda formula meglio si adattava a quello che stava succedendo: inverni freddi, grandi nevicate in America e nord Europa, estati non particolarmente calde. Parlando di cambiamenti climatici – causati dall’uomo, ça va sans dire – ci si tutelava in ogni caso. Freddo? Caldo? Pioggia? Siccità? Poco importa, “è colpa dei cambiamenti climatici”, e tanto basti.
Anche le catastrofi previste sono cambiate nel tempo: dalla scomparsa della neve e l’evaporazione del Mediterraneo si è passati a qualcosa di meno vago, gli eventi estremi. Mai come oggi le immagini di qualche calamità naturale riescono a raggiungere miliardi di persone in pochi minuti. La copertura mediatica si è moltiplicata grazie a web e social network, e lo stesso racconto dei fatti è divenuto più emotivo, urlato, meno ponderato. Ecco che a ogni uragano, tifone, pioggia violenta o freddo record ci viene ricordato come tutto ciò sia semplicemente un antipasto di quello che i cambiamenti climatici stanno preparando per noi. Sempre più eventi estremi e sempre più violenti, ammoniscono gli esperti. Poco importa che lo stesso Ipcc ammetta che non esistono evidenze scientifiche di una forte correlazione tra i cambiamenti climatici e questi fenomeni, e che soprattutto non si sia registrato alcun aumento significativo di frequenza o intensità di uragani e affini. Di più: sono oltre otto anni che un uragano di categoria 3 o superiore non tocca terra negli Stati Uniti, record dai tempi della Guerra civile, e il 2013 sarà ricordato come l’anno con il minor numero di tornado da quando si contano in America.
Eppure la scienza che finisce sui giornali continua a dirsi certa che il clima stia cambiando in un’unica direzione e per colpa dell’uomo. Il clima è sempre cambiato nella storia del nostro pianeta, sottolineano gli “scettici”. Ma non così in fretta, ribadiscono i “catastrofisti”. Non si può negare ad esempio che stiamo vivendo un inverno più mite del solito quest’anno in Europa, ma l’ondata di gelo che ha colpito gli Stati Uniti nei giorni scorsi non fa venire subito in mente il riscaldamento globale.
Eppure ieri la Casa Bianca si è affrettata a spiegare che il “vortice polare” che ha ghiacciato l’America sarebbe colpa del global warming, e che anzi “crescenti prove suggeriscono che il tipo di freddo estremo in corso mentre parliamo è un evento che ci aspettiamo di vedere con maggiore frequenza visto che il riscaldamento globale continua”. Curioso, dato che appena due mesi fa in un executive order il presidente Barack Obama chiedeva ai suoi cittadini di prepararsi “a periodi di temperature estremamente elevate” a causa dei cambiamenti climatici. La cosa più divertente della faccenda è che la correlazione tra freddo record e global warming l’ha fatta John Holdren, consulente scientifico del presidente americano. Lo stesso John Holdren che nel 1971 scriveva in un libro che le attività umane avrebbero causato l’abbassamento delle temperature globali e l’inizio di una nuova èra glaciale.
La verità è che il clima assomiglia dannatamente al calcio: ognuno può dire quello che vuole e troverà sempre qualcuno a sostenere la sua tesi. Il discorso vale tanto più sulle previsioni, che spaventano quando vengono fatte e sono già dimenticate quando non si avverano.
La nave russa Akademik Shokalskiy è partita a metà dicembre alla volta dell’Antartide. L’obiettivo era quello di ripercorrere la rotta della spedizione antartica seguita da Mawson tra il 1911 e il 1914, per quello che fu il primo studio completo della regione tra il sud dell’Australia e la Nuova Zelanda. Come le cronache recenti hanno riportato, la nave guidata dal comandante Chris Turney è poi rimasta bloccata dai ghiacci troppo spessi per essere rotti persino dalle navi rompighiaccio giunte in soccorso nei giorni di Natale. A differenza dei ghiacci del Polo nord, in crescita quest’anno ma in generale diminuzione, quelli antartici stanno aumentando. Eppure si è letto e si legge di scioglimento del Polo sud da parecchio tempo. Appena due giorni fa il Guardian scriveva che i pinguini imperatore dell’Antartide sono stati costretti a spostarsi per cercare cibo a causa delle temperature troppo elevate. Colpa del global warming? Possibile, ma allora perché i ghiacci aumentano? Ed era colpa del global warming anche l’ondata di caldo che colpì quelle zone nel 1934, con temperature fino a 25 gradi sopra lo zero, come testimoniano alcuni articoli di quell’epoca? Evidentemente no, dato che il global warming è fenomeno recente. Eppure in quegli anni i ghiacciai erano meno estesi di oggi. Sono poi seguiti anni freddi, tanto che negli anni Settanta si arrivò a temere l’inizio di una piccola éra glaciale.
I dati dicono che globalmente i ghiacci sono in diminuzione, ma con dinamiche diverse da quelle previste con i modelli matematici. Oggi appare difficile sostenere che la scienza non abbia più dubbi sul comportamento del clima, e comunque dire che “la maggior parte degli scienziati pensa che sia così” ha paradossalmente poco di scientifico: in questo campo la verità non è democratica, né viene decisa dalla maggioranza (quante scoperte scientifiche sono avvenute andando contro il pensiero mainstream del momento). Un recente studio su 11.944 lavori redatti da 29.083 autori e apparsi su riviste scientifiche nel periodo 1991-2011 ha dimostrato che il 66,4 per cento dei ricercartori non prende posizione pro o contro la teoria del global warming antropico, il 35,5 per cento la accredita e lo 0,7 per cento la confuta. Perché allora sui media e nell’opinione pubblica passa quasi esclusivamente la versione delle temperature in rialzo per colpa delle attività umane? Perché se c’è un’ondata di caldo ci viene detto che è un chiaro effetto del riscaldamento globale sul clima e se c’è un’abbondante nevicata con basse temperature veniamo ammoniti di non confondere il tempo con il clima?
Torniamo al gelo che ha colpito l’America: la versione della Casa Bianca è stata ben spiegata dal meteorologo Guido Guidi sul blog Climatemonitor.it: “Per il freddo polare negli States, ovvero per ‘l’assaggio di Vortice Polare’ sperimentato, si può ringraziare il riscaldamento globale, perché l’aumento delle temperature, più veloce e intenso alle latitudini polari (solo nord, tra l’altro), riducendo il differenziale di temperatura lungo la latitudine fa rallentare e deviare la corrente a getto, che è praticamente un flusso di forti venti in quota che separano l’aria polare da quella delle medie latitudini. Questo rallentamento e questa deviazione possono favorire la persistenza e l’intensità di eventi come quelli di questi giorni”. Peccato che tale versione abbia preso in considerazione soltanto uno degli aspetti in gioco, cioè il rallentamento del getto in coincidenza dell’aumento delle temperature, le quali però non aumentano più da una quindicina d’anni.
A partire dal 27 gennaio, per la durata di quattro settimane, la World Bank organizza il MOOC (Massive Open Online Course), un corso online direttamente presentato così: “Questo Massive Open Online Course, ospitato dalla piattaforma educativa Coursera, è gratuito e contiene un’immagine delle più recenti evidenze scientifiche e azioni pratiche su quello che può essere fatto per contrastare il cambiamento climatico, una minaccia che riguarda tutti noi. Esplora gli scenari futuri del tuo mondo: la tua comunità sarà più arida o più umida? Sarà più calda o più fredda? In che modo le tue risorse alimentari e idriche saranno condizionate dal cambiamento climatico? Le città possono essere rese più verdi? Quali passi potete intraprendere tu e la tua comunità per prepararvi ad alcuni di questi cambiamenti?”. Perché la World Bank si interessa di clima? La risposta, ovvia, è che il clima è diventato un grande affare economico che ruota attorno agli affari per l’approvvigionamento energetico e il trasferimento di risorse dai paesi sviluppati a quelli in via di sviluppo.
Quando si tratta di affari, naturalmente, vale tutto: la World Bank si trova ad esempio a organizzare corsi come quello appena citato e a raccogliere fondi per rimborsare le popolazioni degli atolli del Pacifico a rischio di rimanere sommerse dall’innalzamento degli oceani, e contemporaneamente a finanziare la costruzione di aeroporti su quegli stessi atolli. Forse per far evacuare più in fretta le isole, in caso di emergenza.
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