Occupare per crescere

L'Act di Alfano per liberare il lavoro dai sindacati. Parla Sacconi

Alberto Brambilla

Il Nuovo centro destra, il partito dei fuoriusciti del Pdl che appoggia il governo Letta, oppone alla pianificazione regolatoria del “Jobs Act” di Matteo Renzi un piano per il lavoro che vorrebbe modernizzare un mercato ingessato da burocrazia e ingerenze sindacali. L’intenzione è di dare alle imprese e ai lavoratori la massima libertà e flessibilità di contrattazione, conciliando le rispettive esigenze a seconda del contesto economico.

    Il Nuovo centro destra, il partito dei fuoriusciti del Pdl che appoggia il governo Letta, oppone alla pianificazione regolatoria del “Jobs Act” di Matteo Renzi un piano per il lavoro che vorrebbe modernizzare un mercato ingessato da burocrazia e ingerenze sindacali. L’intenzione è di dare alle imprese e ai lavoratori la massima libertà e flessibilità di contrattazione, conciliando le rispettive esigenze a seconda del contesto economico. L’ambizione è di risollevare una crescita economica asfittica attraverso la creazione di un contesto  favorevole all’iniziativa imprenditoriale e quindi, questo è l’auspicio, generare l’incremento delle opportunità d’impiego.

    Ncd lo fa attraverso una proposta di disegno di legge in 22 punti da sottoporre nelle prossime settimane al presidente del Consiglio, Enrico Letta, il quale assieme al vice-premier Angelino Alfano, leader di Ncd, dovrà fare una sintesi tra le proposte del centrodestra e centrosinistra e su quelle basi cominciare a costruire il “patto” di coalizione 2014. Le novità proposte sono coraggiose, a detta dell’ex ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, che ha lavorato al testo attingendo anche a sue iniziative recenti dopo il confronto dei giorni scorsi con le associazioni imprenditoriali, Confindustria compresa. “Meno regole pubbliche, più regole private. Meno legge, più contratto. La contrattazione deve essere libera e responsabile. E il contratto è soprattutto quello dove il lavoratore e l’imprenditore si guardano negli occhi”, dice Sacconi al Foglio sintetizzando per slogan lo spirito “europeo” dal quale nasce il provvedimento che, secondo altri osservatori, è una revisione in chiave attuale della riforma pensata dal giuslavorista Marco Biagi.

    Nell’articolato si propone esplicitamente l’abrogazione – definitiva – dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori che rimane valido solo in caso di licenziamento discriminatorio, come avviene nella maggioranza degli ordinamenti giuridici europei e l’ampliamento delle libertà di deroga ai contratti nazionali attraverso la novazione dell’articolo 8 del decreto legge dell’agosto 2011 prevedendone l’estensione ai contratti individuali tra imprenditore e lavoratore, purché quest’ultimo sia assistito da un sindacalista o da un consulente del lavoro. Si supera il divieto di demansionamento e sottoinquadramento di un lavoratore, “norma che spesso irrigidisce la complessità delle imprese moderne”, dice Sacconi. Vengono poi ampliate le soglie previste dal precedente governo Monti per la detassazione del salario di produttività per includere una platea più vasta di lavoratori (6.000 euro annui e 40.000 euro di reddito del lavoratore, contro i 2.000 e 30.000 mila euro di reddito precedenti) con una spesa annua per lo stato di 800 milioni di euro circa. Si propone inoltre di semplificare drasticamente il contratto di apprendistato (“il vero contratto a tutele crescenti”) per incentivare l’impiego  giovanile per poi assegnare la certificazione delle competenze, oltre che alle regioni, come già avviene, alle associazioni di categoria (“vale di più l’attestato degli imprenditori”, dice Sacconi) con constestuale abrogazione della legge Fornero eliminando anche le “dannose” restrizioni per contratti temporanei (a progetto e lavoro intermittente). Altra discontinuità è l’intenzione di garantire all’imprenditore che assume un lavoratore beneficiario di sussidi uno sgravio pari ai sussidi non ancora percepiti oppure permettere al “disoccupato” di convertire il sussidio in incentivi per mettersi in proprio.

    Ripresa industriale senza occupazione?
    La produzione industriale è tornata a crescere nel quarto trimestre dell’1 per cento dopo due anni di declino in doppia cifra, secondo il Centro Studi Confindustria. Più 1,4 punti a novembre, dice l’Istat. Il dubbio degli analisti è se la ripresa (“che c’è”, dice Nomisma) basterà a riassorbire una disoccupazione al 12,7 per cento. Per evitare una “ripresa senza lavoro” Sacconi invoca quindi “una regolazione più fluida e una libertà maggiore di negoziazione dalla quale può scaturire la maggiore attitudine dell’imprenditore ad assumere” perché “siamo il paese più sindacalizzato e insieme quello che ha i salari, la produttività e l’occupazione tra i più bassi: un mercato iperprotettivo del singolo posto di lavoro fa sì che i posti di lavoro sono pochi”, conclude Sacconi.

    • Alberto Brambilla
    • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.