Dietro il lavoro di Renzi

Claudio Cerasa

Sul calendario di Matteo Renzi ci sono alcune date cerchiate di rosso, corrispondono a una serie di appuntamenti che promettono di essere cruciali per capire qualcosa di più sul percorso che  il segretario del Pd intende imboccare. Il 27 gennaio arriverà in Aula alla Camera il disegno di legge sulla riforma elettorale. Il 20 gennaio la riforma verrà discussa in commissione Affari costituzionali. Entro il 25 gennaio dovrà essere definito il patto di coalizione.

    Sul calendario di Matteo Renzi ci sono alcune date cerchiate di rosso, corrispondono a una serie di appuntamenti che promettono di essere cruciali per capire qualcosa di più sul percorso che  il segretario del Pd intende imboccare. Il 27 gennaio arriverà in Aula alla Camera il disegno di legge sulla riforma elettorale. Il 20 gennaio la riforma verrà discussa in commissione Affari costituzionali. Entro il 25 gennaio dovrà essere definito il patto di coalizione. Ed entro il 16 gennaio, domani, dovrà essere messo a punto, come promesso dal segretario, quello che lo stesso Renzi considera il fiore all’occhiello della sua segreteria: il jobs act. Il piano sul lavoro, ieri elogiato in un editoriale dal Financial Times, che lo ha definito “una scommessa che vale la pena giocare”, oggi verrà presentato durante la segreteria convocata a Roma da Renzi (ore 7,30). E anche se il dossier sarà diluito in mezzo ad altre questioni (legge elettorale in primis), giovedì mattina ai centoventi membri della direzione del Pd sarà presentato un articolato più complesso, anche se non completo, rispetto a quello ricevuto via e-mail una settimana fa.

    A quanto risulta al Foglio, gli elementi certi del piano sul lavoro che verranno sviluppati dal segretario sono due: il primo riguarda il capitolo costi, il secondo la tipologia di contratto unico. Sul primo punto il segretario ha chiesto ai collaboratori di preparare un piano di risparmi, valore circa dieci miliardi di euro, relativo sia al campo dei sussidi alle imprese (che Renzi vorrebbe finanziare non con un’erogazione diretta dello stato ma con il gettito ricavato dalla tassazione sulle transazioni finanziarie) sia a quello degli ammortizzatori sociali (soprattutto sul lato Cassa integrazione straordinaria, che Renzi vorrebbe razionalizzare). Sul secondo punto, invece, il contratto di lavoro, l’idea del segretario è quella, prudente, di orientarsi su un modello a metà tra il progetto di legge Madia-Damiano e quello Boeri-Garibaldi, estendendo a tre anni il periodo di inserimento senza toccare, come promesso ai sindacati, i diritti previsti dall’articolo 18. Tutto in nome del lavoro. E tutto però anche in nome della doppia strategia adottata da Renzi.

    L’idea di Renzi è muoversi seguendo due percorsi paralleli. Da un lato dimostrare di voler costruire con il governo un rapporto virtuoso, promettendo di voler solo far trottare Letta (a patto di non essere trascinato in scivolose operazioni di rimpasto con coinvolgimento di renziani, che farebbero perdere al sindaco il suo invidiabile status di segretario più di lotta che di governo). Dall’altro far circolare una serie di temi che potrebbero tornare utili in caso di crollo improvviso della legislatura (senso: se si dovesse andare a votare, voglio essere percepito come il Costruttore e non più solo il Rottamatore). Il segretario, infatti, pur esercitandosi in grandi professioni di fede al caro amico Letta, considera complicato votare prima del 2015, ma non impossibile. E per questo, se non ci saranno ritardi sulla legge elettorale, da qui al 25 marzo – data limite per votare in concomitanza con le europee del 25 maggio – Renzi si muoverà mostrandosi leale, ma anche tenendosi pronto a far saltare tutto. Sul lato fedeltà, la partita più delicata riguarda il patto di coalizione, che Letta vuole sia sottoscritto entro e non oltre il 27 gennaio, e che tra i vari argomenti, tra riforma al Senato, riduzione dei costi della politica, diritti civili, legge sulla cittadinanza, comprenderà anche la riforma del lavoro.

    Il Jobs Act di Renzi dovrà fare i conti con la proposta del Nuovo centrodestra di Alfano, che ha chiesto di “superare l’articolo 18 e di detassare il lavoro produttivo”. E se sul fronte incentivi i renziani potrebbero mostrare segnali di apertura, sul fronte articolo 18 Renzi non intende rischiare uno strappo con i sindacati (con la Fiom i rapporti non sono  mai stati così solidi come ora, chissà se lo sa il Financial Times) e proverà a trovare una mediazione con Alfano, spostandosi su una proposta più simile alla Boeri-Garibaldi che alla Madia-Damiano. Il buon rapporto che Renzi intende mantenere con i sindacati (anche alla Cgil il Jobs Act è piaciuto, chissà se lo sa il Financial Times) si può evincere da una questione non secondaria: la contrattazione aziendale. In questi giorni, il segretario ha chiesto consigli a diversi tecnici specializzati sul Lavoro per studiare le carenze del progetto. In molti hanno fatto notare che uno dei capitoli più deboli riguarda la negoziazione in azienda del contratto, assente nella bozza del Jobs Act. Renzi sarebbe favorevole a introdurla ma ai tecnici che hanno affrontato il punto i renziani si sono rivolti così: “Non possiamo permettercelo”. Che tradotto significa: i sindacati, in questa fase, meglio averli dalla nostra parte. Sia per essere legittimati a imporre l’agenda al governo. Sia, si capisce, per avere un nemico in meno in caso di elezioni.

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.