Mps, tutti i rischi della pacificazione tra Fondazione e banca
Si è consumato l’ultimo atto di un’altra commedia bancaria al Monte dei Paschi di Siena. Quella cominciata il 28 dicembre scorso, quando la Fondazione ha sfiduciato i vertici posticipando l’aumento di capitale, e chiusa ieri con il cda dell’istituto. Dopo tre ore di consiglio, il board ha infatti confermato all’unanimità la fiducia al presidente Alessandro Profumo e all’amministratore delegato Fabrizio Viola.
Si è consumato l’ultimo atto di un’altra commedia bancaria al Monte dei Paschi di Siena. Quella cominciata il 28 dicembre scorso, quando la Fondazione ha sfiduciato i vertici posticipando l’aumento di capitale, e chiusa ieri con il cda dell’istituto. Dopo tre ore di consiglio, il board ha infatti confermato all’unanimità la fiducia al presidente Alessandro Profumo e all’amministratore delegato Fabrizio Viola. Nelle ultime due settimane i due manager avevano ricevuto diversi endorsement dall’establishment politico, in particolare di sinistra, come quello dell’ex premier Romano Prodi, affinché si garantisse continuità alla governance del Monte. Tuttavia sono filtrate sulla stampa minacce di dimissioni più o meno esplicite. Solo negli ultimi giorni è arrivata la moral suasion del Tesoro e di Banca d’Italia per salvaguardare lo status quo vigente da due anni a questa parte. Il risultato è comunque un gioco inferiore a somma zero sia per la banca sia per la Fondazione. Come si fa notare da più parti a Siena, il risultato ottenuto dalla Fondazione e dalla sua presidente Antonella Mansi è quello di avere fornito un alibi ai vertici del Monte per discolparsi in caso il piano di risanamento bancario dovesse finire male. Mansi infatti non ha preteso le immediate dimissioni di Profumo. Anzi, in un’intervista al Corriere della Sera del 30 dicembre, gli ha chiesto di restare. “Profumo – dice un autorevole osservatore delle vicende bancarie senesi – potrà sempre dare la colpa alla Fondazione in caso d’insuccesso dell’aumento di capitale. Mansi non ha ottenuto altro che acuire l’incertezza circa le sorti della banca”.
Avendo posticipato da gennaio a maggio l’aumento di capitale per 3 miliardi di euro con i quali ripagare il 70 per cento dei Monti bond (4,1 miliardi), la banca dovrà sborsare 120 milioni d’interessi passivi sul prestito statale (30 al mese). Per valutare “gli eventuali effetti dannosi conseguenti allo slittamento dell’operazione”, il cda di Mps ha peraltro deciso di avviare “taluni approfondimenti” anche sulla base di quanto richiesto dalla Consob, l’autorità che vigila sulla Borsa, all’indomani di quell’assemblea di fine dicembre. Tutto questo era evitabile? Alcuni osservatori, docenti di Finanza d’impronta mercatista, affermano che la situazione prodotta “ha dell’assurdo” e la responsabilità è del Tesoro che ha prestato alla banca i Monti bond nel novembre 2012 ma – in quanto vigilante delle fondazioni bancarie – non ha “legato le mani” all’ente senese per impedirgli l’esercizio dei suoi diritti di azionista di controllo in un contesto ormai mutato e assolutamente straordinario. Per altri invece, in ambienti vicini al presidente dell’Acri, Giuseppe Guzzetti, il quale appoggia Mansi, era un sacrosanto diritto della fondazione difendere il proprio patrimonio dall’aggressione di Profumo. Il banchiere, si fa notare – in quanto presidente senza deleghe operative – non avrebbe potuto forzare la mano ma, semmai, avrebbe dovuto cercare una mediazione (“com’è nel suo ruolo”). La realtà, notano diversi analisti, è che Profumo ha riunito un consorzio di banche (Ubs, Citi, Goldman Sachs, Mediobanca, Jp Morgan) per sottoscrivere l’aumento di capitale ed esse esigono continuità per restare in partita. Anche per questo ieri gli investitori hanno premiato il titolo Mps. Ora gli analisti si arrovellano per capire le possibilità di successo dell’aumento. Secondo un esperto indipendente che segue Mps dalla City londinese contattato dal Foglio – pur con tutte le incognite di mercato – le possibilità di chiudere l’aumento entro fine maggio sono del 50 per cento, salgono al 75 se si fa entro l’anno. Per converso, le probabilità d’insuccesso si ridurrebbero al 25 per cento se i mercati non fossero favorevoli e/o l’esito degli stress test europei dovesse essere negativo.
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