L'euroscetticismo a Londra

Riforme o morte. L'ultimatum di Osborne all'Europa rassegnata

Paola Peduzzi

Le riforme o la morte, ha detto ieri George Osborne, cancelliere dello Scacchiere britannico, parlando dell’Europa e all’Europa. Gli inglesi hanno un rapporto conflittuale con il continente e con l’Eurozona, si sa, e il governo del premier conservatore David Cameron ha già annunciato che entro il 2017 ci sarà un referendum in-out, dentro o fuori, sulla questione europea (sempre che i Tory siano ancora al potere: si vota l’anno prossimo). Ma l’Europa è un interesse comune, anche per gli inglesi, spesso loro malgrado, e Osborne non vuole ritrovarsi di fronte alla scelta “entrare nell’euro o uscire dall’Unione europea”.

    Le riforme o la morte, ha detto ieri George Osborne, cancelliere dello Scacchiere britannico, parlando dell’Europa e all’Europa. Gli inglesi hanno un rapporto conflittuale con il continente e con l’Eurozona, si sa, e il governo del premier conservatore David Cameron ha già annunciato che entro il 2017 ci sarà un referendum in-out, dentro o fuori, sulla questione europea (sempre che i Tory siano ancora al potere: si vota l’anno prossimo). Ma l’Europa è un interesse comune, anche per gli inglesi, spesso loro malgrado, e Osborne non vuole ritrovarsi di fronte alla scelta “entrare nell’euro o uscire dall’Unione europea”. Londra non rinuncerà mai alla sterlina, ma non vuole nemmeno rinunciare al mercato comune, ammesso che questo mercato diventi competitivo, flessibile, attraente per il mondo che è fuori e che ha investimenti da fare. L’alternativa alle riforme è il declino – è questa la sostanza di quello che i giornali inglesi definivano ieri “l’ultimatum” di Londra a Bruxelles. L’Europa non ha più i numeri giusti, l’ha detto la stessa cancelliera tedesca, Angela Merkel: il 7 per cento della popolazione mondiale abita in Europa, rappresenta il 25 per cento dell’economia globale, e il 50 per cento delle spese in welfare di tutto il mondo. “Non possiamo andare avanti così”, ha sottolineato Osborne, parlando all’incontro organizzato dal think tank Open Europe. Il rischio maggiore per l’Europa – e per tutti gli europeisti che spesso celano dietro alla missione europea una sostanziale mancanza di visione nazionale – “non viene da chi vuole riforme e una rinegoziazione dei diritti e doveri all’interno dell’Unione europea. Il rischio viene dal fallimento delle riforme e della rinegoziazione”. Lo status quo rassegnato – l’Europa non è riformabile – condanna l’Ue al declino, il continente “is falling behind”, non c’è innovazione, e un quarto dei giovani europei cerca lavoro ma non lo trova. E poi ci sono le spese per il welfare, insostenibili.

    E’ la solita litania britannica euroscettica? No, ha detto Osborne con un pizzico di trionfalismo: i fatti dimostrano che l’austerità funziona e che un budget europeo ispirato alla razionalizzazione dei costi dà risultati positivi.

    Non costringeteci a uscire dall’Unione europea, ha ribadito Osborne: al Regno Unito non conviene, certamente, ma pure l’Ue senza il Regno Unito non sta bene. Sarebbe meglio stare insieme, insomma, ma con una maggiore attenzione ai costi, alla competitività, al riformismo, che poi è il modello inglese applicato all’Europa. Se sarete come noi, dice il cancelliere dello Scacchiere, il declino è scongiurato, insieme potremo competere con i cinesi, con gli indiani, con le economie emergenti.

    L’Europa come bene comune è la strategia messa a punto dai conservatori cameroniani, che sono sotto attacco sia dell’opposizione (i laburisti dicono che i Tory sono come gli indipendentisti dell’Ukip) sia di buona parte degli altri compagni di partito. Non c’è nulla che faccia litigare i conservatori come l’Europa: il governo ha appena boicottato il tentativo di un centinaio di parlamentari che proponeva un veto della Camera dei Comuni a qualsiasi legge negoziata in sede europea. Cameron è talmente sensibile alla questione che due giorni fa, in un incontro con i parlamentari, ha detto: smettetela con le lettere pubbliche e gli appelli, venite a parlare direttamente con me, la porta è aperta, altrimenti non troveremo mai la pace interna.

    Il metodo certo è importante, ma le fratture sono culturali e generazionali. Ci sono gli euroscettici storici, che da sempre hanno visto nel continente un buco nero in cui finivano i soldi inglesi: questi vorrebbero un diritto di veto, la possibilità di opporsi e infine di abbandonare i compagni di strada europei. Ci sono gli euroscettici allegri, come il sindaco di Londra Boris Johnson, che quando parla di Ue è talmente preciso e divertente che fa venir voglia di scappare anche al più convinto europeista (imperdibili sono le sue column sugli allevamenti spagnoli senza pecore finanziati da Bruxelles). Ci sono infine gli euroscettici della generazione Cameron, i cosiddetti “Thatcher’s children”, che non hanno un pregiudizio ideologico nei confronti dell’Europa, non sentono il continente come un ostacolo, anzi, capiscono le potenzialità del mercato comune: semplicemente vorrebbero che questo mercato funzionasse. Quando parlano, come ha fatto ieri Osborne, non lo fanno spinti da un tic euroscettico o soltanto per banali (e di certo esistenti) opportunismi elettorali. Le riforme, lo snellimento della burocrazia, gli investimenti in competitività, l’attenzione alle imprese, lo sguardo sul mondo fuori oltre che sugli interessi dentro all’Unione non sono pretese britanniche: è la via della crescita per tutti, europeisti rassegnati compresi.

    • Paola Peduzzi
    • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi