Caro Renzi, nel Sulcis c'è un bel banco di prova della sua novità
Caro Matteo Renzi, la conversione in legge del decreto Destinazione Italia le darà un’ottima opportunità di dimostrare che non c’è differenza tra idea e azione. All’articolo 1, comma 12 il decreto apre le porte a una nuova ondata di sussidi per la realizzazione di una centrale a carbone, dotata di tecnologia per la cattura e il sequestro del carbonio, da localizzarsi “sul territorio del Sulcis Iglesiente, in prossimità del giacimento carbonifero”.
Caro Matteo Renzi, la conversione in legge del decreto Destinazione Italia le darà un’ottima opportunità di dimostrare che non c’è differenza tra idea e azione. All’articolo 1, comma 12 il decreto apre le porte a una nuova ondata di sussidi per la realizzazione di una centrale a carbone, dotata di tecnologia per la cattura e il sequestro del carbonio, da localizzarsi “sul territorio del Sulcis Iglesiente, in prossimità del giacimento carbonifero”. Tale impianto è ovviamente funzionale a mantenere operative le miniere sarde e, per farlo, percepirà un sussidio pari a circa 60 milioni di euro all’anno per vent’anni. Questa decisione riflette tutti i peggiori vizi della “politica industriale” ed è incompatibile con lo spirito della rottamazione renziana. La contraddizione è, anzitutto, politica: fu proprio lei a dichiarare che “dobbiamo avere il coraggio di dire al Sulcis che non ha senso andare avanti con il carbone di Mussolini pagato dallo stato” (Corriere della Sera, 6 giugno 2013).
L’incoerenza investe l’intera organizzazione del mercato elettrico post liberalizzazione (avviata, ironicamente, dal decreto Bersani del 1999): tant’è che il presidente dell’Autorità per l’energia, Guido Bortoni, ha chiarito che “la previsione in oggetto non risponde a esigenze del sistema elettrico”. Anzi, date le modalità con cui il sussidio viene garantito, esso può anche sortire effetti anticoncorrenziali e, conclude il regolatore, “risulta in contrasto con l’obiettivo del provvedimento di ridurre i costi gravanti sulle tariffe elettriche”. Il contrasto, dunque, è stridente se solo si legge la bozza del Jobs Act – di cui oggi dovrebbe essere presentata una versione più elaborata – che mette al primo punto la riduzione della bolletta. Né valgono, in questo caso, argomenti più o meno ipocriti sulla portata industriale o sociale dell’operazione. Dal punto di vista industriale, la centrale del Sulcis è priva di senso in un paese caratterizzato da eccesso di capacità di generazione elettrica. Neppure la tutela delle produzioni costituisce una valida ragione: il carbone del Sulcis è di pessima qualità. Esso, ha scritto Giovanni Battista Zorzoli, “non è assimilabile a quello normalmente utilizzato… dalle miniere del Sulcis esce un prodotto che ha più del 6 per cento di zolfo e circa il 20 per cento di ceneri”. Ciò lo rende dannoso per l’ambiente, distorsivo per il sistema elettrico e insostenibile per l’economia. Tant’è che un impianto teoricamente in condizioni ideali (a bocca di miniera) per stare in piedi deve percepire un sussidio di elevata entità (30 euro/MWh, contro un prezzo medio dell’elettricità all’ingrosso pari nel 2012 a circa 75 euro).
Neppure la tutela dell’occupazione offre appigli. E non solo perché in generale i sussidi pubblici non creano ricchezza ma impoveriscono il paese, indirizzando le risorse verso impieghi relativamente meno produttivi – come ha spiegato Francesco Giavazzi al Foglio martedì scorso. Le miniere di carbone del Sulcis occupano meno di 500 persone; sovrastimando l’indotto in modo quasi imbarazzante, non si arriva a 1.000 individui. Una seria riflessione sul welfare – anch’essa più volte invocata da Renzi – non può che far considerare irragionevole la spesa di 1,2 miliardi di euro in 20 anni per garantire un posto a un migliaio di persone. Per assurdo, sarebbe più sensato distribuire i 60 milioni corrispondenti al primo anno di incentivazione a ciascuna di loro – 60 mila euro a testa! – in modo da metterli nella condizione di trovare un altro lavoro. Da qualunque lato li si guardi, i sussidi al Sulcis fanno male all’Italia. Renzi dovrebbe prendere in seria considerazione la possibilità di chiedere ai parlamentari del Pd di votarne la soppressione, durante la conversione in legge del decreto. Dimostrerebbe che #cambiareverso non è solo un hashtag, ma un impegno concreto e credibile.
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