Conticini per Marchionne
Perché senza credito l'Auto europea resta in panne
Le speranze di vedere riemergere il settore automobilistico europeo dal sesto anno consecutivo di vendite in caduta restano poche nonostante il rimbalzo registrato nel mese di dicembre. Il recupero resta infatti subordinato al ritorno della domanda di beni di consumo durevoli e, ancor prima, all’allentamento della perdurante stretta del credito. Ieri l’Associazione dei costruttori europei (Acea) ha reso noto che le immatricolazioni nei 27 paesi dell’Unione europea sono calate dell’1,8 per cento nel 2013 a confronto con il 2012.
Le speranze di vedere riemergere il settore automobilistico europeo dal sesto anno consecutivo di vendite in caduta restano poche nonostante il rimbalzo registrato nel mese di dicembre. Il recupero resta infatti subordinato al ritorno della domanda di beni di consumo durevoli e, ancor prima, all’allentamento della perdurante stretta del credito. Ieri l’Associazione dei costruttori europei (Acea) ha reso noto che le immatricolazioni nei 27 paesi dell’Unione europea sono calate dell’1,8 per cento nel 2013 a confronto con il 2012. Gli analisti restano cauti nonostante le vendite siano aumentate del 13 per cento a dicembre rispetto allo stesso mese dell’anno precedente dal momento che i volumi annuali (220 mila auto immatricolate in meno del 2012) restano ai (bassi) livelli del 1995. Il recupero visto a fine anno è da intestare alla crescita del mercato spagnolo (18,2) e inglese (23,8). Gran Bretagna e Spagna hanno creato un ambiente favorevole agli investimenti delle Case automobilistiche straniere e soprattutto Madrid si è distinta grazie alle riforme che hanno reso il mercato del lavoro più flessibile e competitivo. L’Italia invece, anche a dicembre, con una crescita delle immatricolazioni limitata all’1,4 per cento, resta il fanalino di coda d’Europa e questo pesa sulla performance del costruttore “di casa”, la Fiat-Chrysler. Il gruppo di Sergio Marchionne si ritiene peraltro “penalizzato” dall’Italia, dato che le vendite depresse per 42 mesi consecutivi ne fanno il mercato di sbocco europeo che quest’anno ha dato meno soddisfazioni (con un calo del 7,1 per cento a confronto col 2012).
In ogni caso, secondo gli analisti sarà arduo tornare ai livelli di vendite precrisi. Il collasso della domanda di automobili è stato particolarmente grave in tutta Europa. E “consumi stagnanti fanno pensare che i volumi europei, già ai minimi decennali, saranno più bassi del 22 per cento a confronto con il 2007”, cioè prima della crisi, dicono gli analisti della casa indipendente londinese CreditSights. Allo stesso modo la calante fiducia dei consumatori e la continua contrazione dei prestiti ai privati (a novembre meno 3,7 per cento in Eurozona e meno 6 per cento in Italia) hanno un peso significativo sul settore automobilistico. Lo spiega al Foglio Romano Valente, direttore generale dell’Unione nazionale rappresentanti autoveicoli esteri (Unrae), rifacendosi al caso italiano. “Quest’anno il 72 per cento delle vendite di auto in Italia è avvenuto attraverso il credito al consumo. Per le imprese di settore invece il credit crunch si è manifestato con difficoltà di accesso al credito che significa limitazione degli investimenti. I concessionari hanno di conseguenza dovuto rinviare il rinnovo del parco auto”. Valente ritiene “indispensabile” la riduzione del carico fiscale su famiglie e imprese per incentivare il settore. Altrimenti, dice, anche i miglioramenti recenti restano “solo un fatto tecnico”.
C’è una “bolla produttiva” a Detroit?
Negli Stati Uniti accade invece che i bassi tassi d’interesse e la possibilità di accedere facilmente a varie fonti di finanziamento – compresi i rischiosi prestiti subprime – stanno spingendo i cittadini a sostituire finalmente i propri veicoli (è da 11,4 anni che non si vede un “parco macchine” così vecchio come oggi). In forza di questa spinta, le case automobilistiche stanno programmando di costruire nuovi stabilimenti negli Stati Uniti. I tedeschi della Volkswagen, ad esempio, spenderanno 7 miliardi di euro nei prossimi cinque anni per aumentare la loro capacità produttiva. Eppure non è detto che sia una scelta saggia, avvertiva il Wall Street Journal. Si fanno profitti solo se le fabbriche vengono sfruttate al 100 per cento, scendere sotto l’80 per cento comporta perdite. A maggiore ragione, se si vendono meno auto di quante se ne producono le incognite crescono. Il pericolo è di generare una specie di bolla da sovraccapacità produttiva. Un solido recupero delle vendite non è garantito e anche in General Motors si preferisce cautela. “Stiamo risalendo dal fondo e ci avviamo su una traiettoria positiva”, ha detto Chuck Stevens, nuovo financial officer di Gm, ma “ci aspettiamo una ripresa moderata, molto moderata”.
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