Wie es geschehen ist

Ristrette intese o larghe pretese? Perché l'agenda "bella chiara" del governo non funziona

Mario Sechi

Bip. Sono le 12 e 07, sullo schermo del mio iPhone luccica una notizia: "Peugeot sta per aprire il capitale a un investimento da 1,4 miliardi di dollari da parte del costruttore cinese Dongfeng Motor Corp. e dello stato francese". Dopo 118 anni di storia, la famiglia che cominciò la sua avventura nell'auto con Armand Peugeot diluirà il suo pacchetto azionario dal 25 al 15 per cento. Ma la notizia principale di Bloomberg è dedicata a un'altra dinastia, quella che da 115 anni governa la Fiat.

    Bip. Sono le 12 e 07, sullo schermo del mio iPhone luccica una notizia: "Peugeot sta per aprire il capitale a un investimento da 1,4 miliardi di dollari da parte del costruttore cinese Dongfeng Motor Corp. e dello stato francese". Dopo 118 anni di storia, la famiglia che cominciò la sua avventura nell'auto con Armand Peugeot diluirà il suo pacchetto azionario dal 25 al 15 per cento. Ma la notizia principale di Bloomberg è dedicata a un'altra dinastia, quella che da 115 anni governa la Fiat. Da Giovanni Agnelli a John Elkann, l'erede dell'Avvocato, il giovane di cui viene fatto un ritratto parallelo a quello di Sergio Marchionne. Entrambi sono "cosmopoliti e hanno una strategia globale". Italia-Francia, storie di insuccesso e successo nell'era della grande crisi. Vince chi ha l'agenda sincronizzata con il presente e puntata sul futuro.

    Ma l'impaginato dell'agenda nazionale è un altro, non è né cosmopolita né globale né un successo. Il ministro delle Politiche agricole, Nunzia De Girolamo, parla di fronte a uno sparuto gruppo di parlamentari e - sarà che è venerdì 17 - la Camera sembra un ambulatorio di zombi, tira un'ariaccia di legislatura sdrucita, consumata, finita. Giorgio Napolitano apre la sua agenda e comincia una girandola di incontri che (forse) preparano un nuovo inizio. Alle 12 e 33 una nota del Quirinale informa che "il presidente della Repubblica ha ricevuto questa mattina al Quirinale il vicepresidente del Consiglio dei ministri e ministro dell'Interno, Angelino Alfano". Consultazioni, auscultazioni del respiro affannoso del governo, ricerca di diagnosi e cura. Giovedì 9 gennaio era toccato a Massimo D'Alema; il venerdì 10 a Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria. Sulla ruota del lunedì 13 era uscito il segretario del Pd Matteo Renzi; il martedì 14 era il turno di Gianluca Susta e Andrea Romano, capigruppo di Scelta Civica; il mercoledì 15 il diario di Napolitano si riempiva di colloqui: con la costola scissa degli ex montiani rappresentata da Lorenzo Dellai e Lucio Romano; poi con il presidente del Consiglio Enrico Letta; c'è anche spazio in agenda per il ministro degli Esteri Emma Bonino; il giorno dopo, giovedì 16, entra nell'ufficio del presidente il plenipotenziario di Renzi, Dario Nardella. Il giorno della direzione del Pd, quella dove il segretario fiorentino alle 16 e 44 sfoggia il piglio del leader e spiega che lui un'agenda ce l'ha e c'è scritto "fare in fretta" perché bisogna "capire l'urgenza o saremo spazzati via" , mentre il dissidente Stefano Fassina alle ore 19 e 13 dice che "il governo è figlio di nessuno". Acuti di un concerto in cui il tema dello spartito è che nell'agenda di Palazzo Chigi quasi tutto non va. Figli di nessuno, figure apolidi di ristrette intese con troppo larghe pretese.

    "Non ho mai abusato del mio ruolo di deputato", dice la De Girolamo ai banchi vuoti dell'Aula, in un mezzogiorno senza fuoco, onorevole assenza che è fatalismo politico, presagio di uno spegnimento della macchina dell'ossigeno, epilogo anticipato di un viaggio senza meta. Renzi lo sa che l'esecutivo "è spompo" e per questo cerca come un rabdomante una legge elettorale e una spruzzata di riforme istituzionali. Con chi ci sta e soprattutto parlando con Berlusconi, quello che oggi l'ala sinistra del Pd definisce "pregiudicato" sbianchettando le larghe intese di ieri. Ma c'è anche qualcosa di nuovo, un avvertimento sulfureo, perché o si fa l'accordo o tutto va a carte quarantotto e buonanotte ai "frenatori", si va a votare con quello che passa il convento della Corte Costituzionale. Passaggio ad alto voltaggio dell'intervento del renziano Paolo Gentiloni nella direzione democratica del giovedì: "Molti, tra il cinico e il furbo, dicono ora la legge elettorale non si cambia. E' una vocazione al suicidio per il sistema politico italiano, non per il Pd. Perché se non si fa la legge elettorale... siamo in streaming e io non parlo. Ma sappiamo tutti che succede". Sono le 19 e 21 e in sala s'ode un rumore, crac. Un'ora prima (ore 18 e 21) sul taccuino finisce l'ingresso di Fabrizio Saccomanni a Palazzo Chigi, deve parlare con Letta di Impegno 2014, l'agenda che risolverà tutto e, tranquilli, perché il ministro dell'Economia martedì 14 gennaio ha detto che "l'agenda è bella chiara".

    Bella chiara. Appunto del 13 gennaio, commento del Wall Street Journal: "I problemi di strutturali di lungo termine dell'Italia ci sono ancora tutti, una montagna di debito, cattivo andamento demografico, per non dire della perenne sclerosi politica (…). Il prodotto italiano era stagnante già prima della crisi. Il suo stock di debito è pari al 132 per cento, come quello del Giappone nel 1999. E la popolazione è anziana come quella del Giappone". Gufi americani? Certo, Letta non è Shinzo Abe e siamo senza yen. Ma l'agenda è bella chiara. Spostiamoci nella City. Appunto del 16 gennaio, Lex Column del Financial Times, risultati di Carrefour, titano della grande distribuzione: in Italia le vendite nel 2013 sono crollate a meno sei per cento. Il dato peggiore in Europa. Sì, l'agenda è bella chiara.