To be or not to Pibe
Anche la lacrima. Così pure quelli che non volevano credere che Cristiano Ronaldo fosse il vero erede di Maradona, adesso si convinceranno. Perché il pianto è proprio una cosa da Diego, dài. Il mondo s’è convinto che il successore fosse Messi per assonanza e somiglianza, per geografia e per fisionomia: basso, mancino, argentino. Facile, troppo facile. Però il calcio? Non il modo di giocare, ma quello che sta dentro e attorno al campo di pallone. Ronaldo non c’entra fisicamente con Diego, ma ne è il figlio illegittimo. Messi non avrebbe mai pianto su quel palco di Zurigo. Cristiano l’ha fatto consegnando il suo 2013 come anno di inseguimento dell’eredità di Diego.
Anche la lacrima. Così pure quelli che non volevano credere che Cristiano Ronaldo fosse il vero erede di Maradona, adesso si convinceranno. Perché il pianto è proprio una cosa da Diego, dài. Il mondo s’è convinto che il successore fosse Messi per assonanza e somiglianza, per geografia e per fisionomia: basso, mancino, argentino. Facile, troppo facile. Però il calcio? Non il modo di giocare, ma quello che sta dentro e attorno al campo di pallone. Ronaldo non c’entra fisicamente con Diego, ma ne è il figlio illegittimo. Messi non avrebbe mai pianto su quel palco di Zurigo. Cristiano l’ha fatto consegnando il suo 2013 come anno di inseguimento dell’eredità di Diego.
Per cominciare basta pensare a perché Ronaldo è Pallone d’oro. Il circoletto pallonaro europeo aveva già deciso che il premio l’avrebbe preso Franck Ribéry. Con il teorema che non fa sbagliare quasi mai: si premia il migliore della squadra che ha vinto di più. Cioè il Bayern Monaco, quindi Ribéry. Bella idiozia, questa: perché così non ti prendi mai la responsabilità di dividere la forza di un giocatore con quella della squadra. Chi lo dice che il migliore dell’anno sia chi ha vinto qualcosa? Se il premio è personale i giurati devono avere il coraggio di scegliere un singolo. Siccome l’audacia non fa parte delle giurie dei premi, qualunque essi siano, funzionava quel teorema. Pilatesco e vincente. Quindi Ribéry, che pure non vale mezzo Ronaldo, aveva il premio già sulla mensola di casa. Poi però è accaduto ciò che nessuno pensava accadesse.
Nei playoff di qualificazione ai Mondiali del Brasile, Ronaldo ha vinto da solo. Quattro gol il Portogallo e quattro gol lui, uno dietro l’altro e uno meglio dell’altro. Contro Ibrahimovic sul campo, contro Messi, Ribéry e Blatter per il Pallone d’oro. Vista quella roba, quella forza, quella capacità di essere tutto pur essendo da solo, la deadline per dare il proprio voto per il premio è stata allungate. Una forzatura per non farsi prendere per pazzi. Maradona non c’entra, e invece no. Perché quella doppia sfida contro la Svezia, prima della lacrima sul palco di Zurigo, è stata un’altra prova della continuità Diego-Cristiano.
Come Maradona, Ronaldo è un giocatore che vale una squadra. Uno che vince da solo. Un leader, un trascinatore, un capopopolo, uno che trasmette ai compagni, ai tifosi, al pubblico il seguente messaggio: datela a me e ci penso io. Il Portogallo è lui, esattamente come l’Argentina del 1986 era Diego. Ciò non vale, o quanto meno, non è valso finora per Messi che in Nazionale non ha vinto nulla per incapacità di essere leader. E’ un atteggiamento che c’è anche nei club. Ronaldo caratterizza il Real più di quanto Leo caratterizzi il Barcellona. Cioè: il Barça ha vinto tutto con lui e però anche con Xavi, Iniesta, Piqué, Fàbregas. Messi è il campione di un gruppo, Cristiano è un campione tra campioni. Se lo vedi giocare dal vivo, ti accorgi subito di quanto sia autenticamente il padrone del Real. Tocca palla lui e lo stadio si ferma: metà comincia a insultarlo per paura, metà sa che ogni volta che tocca il pallone a una distanza dalla porta che va dai trentacinque metri in giù, può segnare. Una potenza fisica che si somma a un carisma che viene fuori anche senza parole. Basta il fisico, la postura, il modo di stare in campo. Io sto qui, dice quando segna. Si ferma, punta i piedi, e con l’indice destro indica il punto esatto in cui s’è piantato. Faccia alta e sfida a tutti. Io sto qui, ripete, e non mi muovo.
Ispira antipatia, sì. Altro anello di congiunzione con Diego. Messi piace a tutti, Ronaldo divide proprio come faceva Maradona. Gioca contro tutto il mondo, ogni volta. Leo ammirato, lui fischiato. Real-Barcellona è un contenitore che alimenta il confronto. Lo stile personale del calciatore viene associato a quello della squadra d’appartenenza così da rafforzare l’idea di uno scontro che non riguarda solo il pallone. Perché è così ogni volta che c’è un clásico, figurati adesso che ci sono loro due. Messi diventa l’icona della mentalità Barça: prendo un ragazzino, lo allevo, ci credo, lo butto, lo trasformo in eroe multitasking e multimediale. Ronaldo, invece, è l’ultimo emblema dell’imperialismo Real: il giocatore più pagato della storia del calcio con i suoi 97 milioni di euro, il galáctico più galáctico che ci sia. Non è vero che il Barcellona non lo avrebbe mai preso. Non è vero e infatti lo voleva. E’ finito al Real perché quando è stato messo in vendita, il Madrid era la squadra che poteva pagarlo di più.
Ronaldo è un torero. Spavaldo, deciso, sicuro: vieni avanti toro, perché non mi fai paura. Corre diversamente da Lionel: più lungo, più forte, più potente, più da velocista. Ronie è uno di quelli che se non avesse fatto il calciatore, avrebbe comunque sfondato nello sport. Rappresenta il potere e il denaro, la pubblicità, la parte patinata del pallone. Per dire: quando il Real ha comprato Gareth Bale ha dichiarato di averlo pagato 93 milioni, solo per lasciare a lui il privilegio di essere il calciatore più costoso della storia madridista. Non è così, ma è così che dev’essere. Idem per il suo stipendio: appena Messi ha avuto il rinnovo del suo contratto, il Real è stato costretto a rivedere il suo per non farlo essere secondo a nessuno. Tutto questo non piace perché è scorretto. Tutto questo fa primadonna, oltre che primuomo. Così in molti lo identificano con la cattiveria del calcio moderno. Domina le città attraverso i suoi poster a torso nudo: è l’ultima icona dello sportivo da vendere al mercato etero e gay, modello e modellato, costruito fuori dal campo più che sul campo. Una specie di Beckham al cubo. Tutto immagine. In realtà ha molta sostanza, ma in troppi per troppo tempo hanno fatto finta di non vederla. Blatter l’ha pubblicamente offeso qualche tempo fa dicendo che spende tutti i suoi soldi dal parrucchiere. Il più grande nemico di Maradona è anche un antipatizzante di Ronaldo, mentre è un fan di Messi. Dice niente questo? Dice che l’analogia non dipende mai dal fisico, ma dalla storia e dalle storie. Dice che per gli altri, i compagni e gli allenatori Ronaldo è il giocatore perfetto: il numero uno che s’impegna come un panchinaro che vuole arrivare, il campione che ci mette la faccia nelle sconfitte e vivaddio cerca la gloria nelle vittorie. Quanto Diego c’è? C’è anche fuori, con quell’atteggiamento autenticamente tamarro che lo porta a essere un Diego moderno. Qualcuno ricorderà le foto di Diego alle feste, ai matrimoni, alle uscite pubbliche. Quel look da abito della domenica, molto simile a quello di Cristiano sul palco di Zurigo. Poi la presenza della famiglia, con un’immagine da matriarcato latino: madre in lacrime per il figliolo che s’è preso il mondo. Bravo ragazzo per mammà e sciupafemmine per tutti. Perché la fidanzata presente e sorridente e fiera non preclude il resto. Dei suoi amori si sono occupati i giornali inglesi, spagnoli e italiani, a cominciare da quello dell’estate 2008 con la modella spagnola Nereida Gallardo. Scrissero: “Memorabili le immagini balneari, stile kamasutra, della coppia. Prestazioni che Ronaldo ostentava proprio mentre sir Alex Ferguson lo aspettava in ritiro a Manchester per chiedergli chiarimenti sull’intenzione di andare al Real. Poi Nereida si ritrovò mollata per sms. Altri messaggi galeotti furono quelli scambiati il mese scorso con Paris Hilton nel corso di una liaison breve, paparazzatissima e iper-trash. Con grande senso di cavalleria, l’attaccante portoghese esibì quei messaggi agli amici per dimostrare che quell’avventura non era soltanto una chiacchiera da rotocalchi rosa. Inoltre, rimangono leggendarie le notti romane trascorse al Diva Futura (il locale hard di proprietà del porno-regista Riccardo Schicchi) o presso l’Hotel Hilton in compagnia di – narra la leggenda – 5 escort”.
Se non è un Maradona contemporaneo questo. Siamo stati una vita a cercarne l’erede fermandoci all’ovvio. Alla nazionalità, al piede, al tipo di dribbling, alle giocate da circo. Era un altro. Diverso e però molto più simile. Soprattutto perché è forte, impressionante, meravigliosamente perfetto. E poi perché si diverte a giocare a pallone sfidando tutti gli altri per dire di essere il più forte. Non basta pensare di esserlo, a volte. Bisogna dimostrarlo. Ronaldo gioca per questo, sempre. Se a qualcuno non piace, il problema non è suo.
Il Foglio sportivo - in corpore sano