L'oro del Reno

Andrea Affaticati

Non è il leggendario oro del Reno, quello venuto alla luce negli ultimi mesi in Germania, ma idealmente poco ci manca. Si tratta di veri e propri gioielli, dell’arte prima e ora della storia del teatro. Lo scorso novembre il settimanale Focus aveva lanciato lo scoop sulla “riapparizione” di mille e più quadri di inestimabile valore. Ora invece è ricomparsa una serie di volumi che potranno dare un contributo eccezionale alla ricostruzione di uno dei periodi più significativi del teatro tedesco: gli anni a cavallo tra Sette e Ottocento.

    Non è il leggendario oro del Reno, quello venuto alla luce negli ultimi mesi in Germania, ma idealmente poco ci manca. Si tratta di veri e propri gioielli, dell’arte prima e ora della storia del teatro. Lo scorso novembre il settimanale Focus aveva lanciato lo scoop sulla “riapparizione” di mille e più quadri di inestimabile valore. Ora invece è ricomparsa una serie di volumi che potranno dare un contributo eccezionale alla ricostruzione di uno dei periodi più significativi del teatro tedesco: gli anni a cavallo tra Sette e Ottocento. Il paragone con la saga dei Nibelunghi può apparire azzardato, eppure non lo è del tutto. Certo, al posto del perfido Hagen che affondò l’oro del Reno per sottrarlo a Sigfrido, i protagonisti sono due vecchietti, uno di ottanta e l’altro di novant’anni. Entrambi hanno però tenuto nascosto e custodito gelosamente tesori che non erano fino in fondo di loro proprietà.

    Di Cornelius Gurlitt, il signore ottuagenario, e dei quadri custoditi nell’appartamento di Monaco – tra questi dei Renoir, Matisse, Picasso dati per dispersi, così come uno Chagall del quale nemmeno si conosceva l’esistenza – si è già scritto molto. Anche del fatto che, probabilmente, una parte di queste opere erano state sottratte dai nazisti agli ebrei. Il padre di Gurlitt, Hildebrand era, infatti, un noto commerciante d’arte, incaricato da Goebbels di requisire l’arte degenerata. Nuovissima (ma in alcuni dettagli simile alla vicenda Gurlitt, a iniziare dai dubbi su chi sia il legittimo proprietario) è invece la storia di Hugo Fetting, classe 1923, residente a Prenzlauer Berg, un quartiere di Berlino est. Anche Fetting per quasi sessant’anni ha custodito nel proprio appartamento 34 volumi contenenti una straordinaria raccolta di documenti, lettere e scritti vari, vergati niente meno che da August Wilhelm Iffland. Un nome che in Italia dice qualcosa solo agli appassionati di teatro, mentre in Germania Iffland – amico di Goethe e Schiller – viene considerato il nume indiscusso degli attori tedeschi. Non a caso, ancora oggi, il massimo riconoscimento alla carriera al quale un attore di lingua tedesca possa aspirare è vedersi conferire l’Iffland-Ring. Chi lo riceve lo tiene per tutta la vita e, prima di morire, è tenuto a designare chi dopo di lui lo porterà. Attualmente è l’attore svizzero Bruno Ganz a fregiarsi dell’anello. Gliel’ha tramandato, con grande sorpresa e delusione da parte dei fan di Karl Maria Brandauer, l’attore austriaco Josef Meinrad, morto nel febbraio del 1996.

    Ma tornando a Iffland. Nato a Hannover, il 19 aprile del 1759, da famiglia piuttosto agiata (il padre era funzionario di corte), a soli diciotto anni era fuggito di casa. I genitori volevano che studiasse teologia, lui però era attratto dal teatro. E così era finito a Gotha, ai tempi, grazie all’Ekhof Theater, il teatro di corte della città, sede di uno dei più importanti palcoscenici di lingua tedesca. Da Gotha si sposta a Mannheim, la città del Palatinato legata al nome di Schiller: e proprio a Mannheim, nel 1782, va in scena la prima rappresentazione de “I masnadieri”. Per il ruolo del protagonista, Schiller aveva scelto Iffland e ancora oggi non c’è biografia dell’attore che non menzioni la magistrale interpretazione che fece del bandito Karl Moor. Quel successo apre a Iffland una nuova collaborazione, con Goethe che all’epoca era sovrintendente del teatro di corte di Weimar. Infine, a coronamento della sua fortunata carriera, Iffland nel 1796 otterrà la direzione del Nationaltheater di Berlino (l’odierno Konzerthaus sul Gendarmenmarkt).

    Visto il personaggio, viste le sue frequentazioni, è ora più facile comprendere perché gli studiosi della storia del teatro attribuiscano così tanto valore ai quasi settemila documenti contenuti nei volumi di Fetting. Tra quelle pagine si trovano annotazioni, appunti, bozzetti di scenografie, fatture, oltre alla corrispondenza con innumerevoli personaggi illustri e non. Una varietà di contenuti che permette di completare, per esempio, il quadro che si aveva fino a oggi del lavoro di Iffland in veste di direttore del Nationaltheater. Attraverso questi documenti si comprende come fosse riuscito a coinvolgere gli attori, gli scenografi e anche operai e manovali nell’impresa di modernizzare il lavoro teatrale (dalla scenografia, alla regia, alla recitazione), sfrondandolo dai lasciti di un manierismo ormai superato. Ma sulla base delle entrate e delle uscite, meticolosamente annotate, dei salari o “gratificazioni”, come venivano chiamati i compensi degli attori, si può anche conoscere il costo di gestione di un teatro di allora. Purtroppo manca la corrispondenza con Goethe e Schiller, anche se, stando a un catalogo del 1929, nel quale vengono citati i volumi, ai tempi quelle lettere c’erano ancora. Soprattutto Schiller stimava molto Iffland e già dopo la prima de “I masnadieri”, gli aveva predetto un futuro di grandi successi. Anche il carteggio con Alexander von Humboldt non c’è più, mentre si è salvato quello con il drammaturgo – e per un certo periodo anche sovrintendente del teatro di corte di Vienna – August von Kotzebue. Per quel che riguarda la corrispondenza, il settimanale Spiegel riporta un divertente scambio epistolare tra Johanna Schopenhauer e Iffland. La signora Schopenhauer, madre del filosofo nonché scrittrice di successo (anche se poco apprezzata dal figlio) si era rivolta nel dicembre del 1804 al sovrintendente del Nationaltheater con la seguente preghiera: “Mio esimio direttore! Pur essendoVi del tutto estranea ho l’ardire di rivolgermi a Voi, con la preghiera di esaudire un mio desiderio. Un desiderio che, fatto rarissimo nella mia vita, mi induce a oltrepassare il limite della modestia. So però sin d’ora che il solo ricordo saprà procurarmi grande gioia anche in futuro, e per questo Vi chiedo se non sia possibile spostare il ‘Wilhelm Tell’ da mercoledì a venerdì. Abito ad Amburgo e come ben saprete il nostro teatro lascia un tantino a desiderare”. Per essere persona “a lui del tutto estranea” aveva certo un bell’ardire la signora Schopenhauer, nel chiedergli di spostare una programmazione. Iffland, da vero gentiluomo, le aveva però risposto a stretto giro di posta e con grande galanteria: “Mi sento estremamente lusingato dalla fiducia accordatami e dell’attenzione dimostrata al teatro. Volentieri farei qualsiasi cosa per poter esaudire questo Vostro desiderio, ma non foss’altro per la complicata macchina organizzativa, mi vedo confrontato con l’impossibilità di dar seguito alla mia volontà”. Sono proprio questi documenti a sollecitare l’immaginazione e a infondere vita nei libri di storia. Nonché a dare l’idea dell’importanza che il teatro rivestiva in quegli anni: in una città come Berlino, che contava 170 mila abitanti, i teatri disponevano complessivamente di duemila posti. Insomma il palcoscenico era un po’ come il cinema oggi.

    E ora è arrivato il momento di introdurre Hugo Fetting, senza il quale, chissà dove sarebbe oggi questa parte del lascito Iffland. Chi è dunque questo signore? Classe 1923, è nato a Marienhof, una località del Meclemburgo, nella Germania orientale. Da ragazzo, ha raccontato Fetting in un’intervista del 2004, si era iscritto alla Hitler Jugend per pura convenienza: la tessera gli serviva per avere la patente e così poter guidare la moto. Mandato poi al fronte, era stato ferito proprio il giorno dell’ultimo compleanno di Hitler, cioè il 20 aprile del 1945 e per questo aveva appreso nel lazzaretto della fine della guerra. Una volta tornato a casa, e pur avendo in tasca il diploma di ferroviere (mestiere esercitato anche dal padre), Fetting era riuscito a passare l’esame di ammissione per studiare germanistica, storia del teatro e dell’arte a Rostock e Berlino est. Politicamente parlando, non era un fanatico sostenitore della Ddr, ma nemmeno uno che si metteva nei pasticci per combattere il regime. Si sapeva arrangiare, e così, pur non essendosi mai iscritto al partito, negli anni Cinquanta era riuscito a entrare come collaboratore all’Accademia delle Belle Arti. Ci era rimasto per oltre vent’anni, e poi era passato all’Accademia delle Scienze. Nel 1978 aveva completato gli studi, conseguendo il dottorato in Storia del teatro. A quel punto aveva iniziato anche a collaborare con riviste del settore, scrivendo recensioni, saggi e critiche, a volte anche per giornali della Germania occidentale e per la casa editrice Reclam. Dalla sua biografia si apprende che si era specializzato nello studio del regista e drammaturgo austriaco Max Reinhardt, ma per l’esame di dottorato aveva preparato una tesi su Iffland. Oggi Fetting ammette senza problema che quella tesi l’aveva preparata attingendo in gran parte ai volumi che custodiva in casa. Ma allora non aveva detto nulla e, cosa a ben vedere ancora più sorprendente, nessuno dei docenti che avevano esaminato il suo lavoro, sembra essersi chiesto da dove mai provenissero tutte quelle informazioni su Iffland. E chissà se a domanda diretta, Fetting anche a loro avrebbe raccontato la storia che nel frattempo ha raccontato ai media. La storia è questa: doveva essere fine estate o inizio autunno del ’52. Berlino est era ancora un cumulo di macerie. Un giorno il giovane Fetting era passato nei pressi dell’edificio che un tempo ospitava la sovrintendenza dei Preussischen Staatstheater ed era in procinto di venir abbattuto. Ad attirare la sua attenzione erano state le ruspe e la gente che rovistava tra le macerie. Così si era avvicinato anche lui. E sarà stata la sua passione per il teatro, oppure semplice fortuna, fatto sta, che tra stucchi, intonaci e detriti a un certo punto aveva trovato decine di volumi che gli pareva costituissero un tutt’uno, anche se lì per lì non si era preso la briga di vedere cosa contenessero. Aveva invece chiamato un amico e facendo avanti e indietro con i mezzi pubblici più volte erano riusciti a portarli a casa tutti. Solo allora, sfogliandoli con calma Fetting si era reso conto di quel che aveva trovato.

    Certo, la storia ha dell’incredibile, anche se, a differenza di Gurlitt che aveva semplicemente “ereditato” i quadri dal padre Hildebrand, Fetting la collezione di cimeli teatrali se l’è messa insieme pezzo dopo pezzo da sé. Questo però non sgombera il campo da domande e dubbi. Per esempio, perché, una volta capito il valore del ritrovamento, non abbia mai pensato di restituirlo. Allo Spiegel ha risposto che nessuno si era mai interessato alla sua raccolta, che pure aveva offerto a diversi musei teatrali. Un’altra domanda si pone, esattamente come nel caso Gurlitt: non era possibile scoprire prima quelle opere? Gurlitt, per esempio, aveva venduto ripetutamente quadri e disegni a collezionisti e gallerie, soprattutto in Svizzera. Opere che di tanto in tanto ricomparivano alle aste. Ma nonostante fossero date per perse da quasi mezzo secolo, nessuno pare si sia mai chiesto da dove e perché sbucassero proprio ora. C’è voluto, come è stato raccontato, un banalissimo controllo di valuta su un treno Zurigo-Monaco per scoprire la Wunderkammer di Gurlitt. Un analogo dubbio viene ora riguardo a questa parte del lascito Iffland. Perché anche Fetting si è sempre mosso con grande disinvoltura o sfacciataggine, a seconda dei punti di vista. Non solo aveva fatto la tesi di dottorato usando documenti che ufficialmente risultavano dispersi, ma a pensarci bene quei volumi, li aveva rinvenuti più o meno in concomitanza con l’inizio della sua collaborazione all’Accademia di Belle Arti di Berlino est. E anche casa sua è una specie di Wunderkammer, questo almeno racconta chi in passato l’aveva frequentata. Tutti cimeli che gli erano stati dati dai legittimi proprietari, sostiene Fetting. All’Accademia aveva messo in piedi un nuovo archivio. Un lavoro eccellente a quanto pare, che gli era valso non solo la stima dei colleghi, ma anche la fiducia di molti attori, ballerini, registi, che avevano voluto affidargli i loro lasciti.

    Ma la sua età oggi è parecchio avanzata, e Fetting si sarà probabilmente chiesto che ne sarebbe stato del suo archivio personale, il giorno che lui fosse morto. E così, qualche anno fa, aveva cominciato a cercare acquirenti. Per prima cosa aveva bussato alla porta dell’Akademie der Künste (di fatto l’erede naturale dell’Accademia di Berlino est). Oltre ai volumi Iffland aveva proposto anche altre preziose testimonianze, per esempio lettere di Helene Weigel, la moglie di Brecht. Ma gli archivisti dell’Accademia si erano mostrati molto sospettosi e cauti. Loro sì si erano posti la domanda sul legittimo possesso da parte di Fetting di quel materiale. E così gli avevano proposto solo un “Finderlohn”, cioè la ricompensa per il ritrovamento. Fetting non aveva accettato, e si era portato via di nuovo tutto. Era sicuro che tra gli antiquari avrebbe trovato l’acquirente che faceva al caso suo. Insomma, disposto a pagare il giusto. E, infatti, l’acquirente l’aveva trovato: Inlibris di Vienna. Hugo Wetscherek, titolare di Inlibris, non si era fidato ciecamente, ma una volta accertata l’autenticità dei documenti Iffland, gli aveva subito comperato i volumi. A un prezzo che lascia però piuttosto perplessi: 50 mila euro, una cifra irrisoria vista l’importanza di questi materiali. Una cifra ancora più incongrua se si tiene conto che Inlibris non è un mercante qualsiasi. Costituito nel 1883, è oggi, come si legge sulla sua webpage, il più importante antiquario di libri e stampe antiche in Austria. Detto altrimenti, Wetscherek doveva essere ben consapevole del valore di ciò che stava acquistando. Una consapevolezza che, in fondo, avrebbe almeno un po’ dovuto avere anche Fetting, il quale ha passato tutta la vita maneggiando questo tipo di opere. E allora perché Wetscherek gli aveva potuto offrire una cifra così bassa e lui aveva accettato? Verrebbe da insinuare che non poteva chiedere di più, perché era merce che scottava, perché aveva sempre saputo che quei volumi non gli appartenevano. No, non è vero, ribatte cocciuto Fetting. Quei volumi gli appartenevano eccome, visto che li aveva salvati dalla distruzione. Vero, e per questo ha diritto al Finderlohn e niente più, sostiene ora il Senato di Berlino, intromessosi nella questione. Secondo l’amministrazione della città, i volumi fanno parte del lascito del Berliner Theatermuseum, un museo fondato nel 1929 dai Preussischen Staatstheatern, e che tra il 1937 e il 1945 era stato ospitato nel Lynar-Flügel, un’ala del Berliner Schloss.

    Al momento comunque, i volumi si trovano bloccati a Vienna. In attesa di dirimere la spinosa questione della proprietà, il Senato di Berlino ha chiesto a Inlibris di non vendere i documenti Iffland. Inlibris voleva, infatti, metterli in vendita alla 28esima edizione di Antiquaria, la fiera del libro antico che si tiene a Ludwigsburg (nei pressi di Stoccarda), dal 23 al 25 gennaio. Sul sito della manifestazione si può consultare il catalogo, e lì dentro si trova ancora, oltre alla descrizione del lascito, anche il prezzo: 450 mila euro. Per Fetting leggere quella cifra dev’essere stato un brutto colpo.