Lazio e Inter
Reja è tornato a divertirsi, Mazzarri non riesce a essere credibile
Il suo modo di intendere il calcio appartiene a un altro mondo. Ma forse c'era proprio bisogno di un altro mondo per riportare la Lazio a una dimensione perlomeno dignitosa. Edy Reja poteva apparire una vestigia del tempo che fu, uno di quegli oggetti che trovi in solaio e ti domandi a cosa diavolo siano serviti. Poi lo prendi tra le mani, provi a metterlo in moto e vedi che funziona ancora. Un ritorno alla Lazio che, alla prima partita del nuovo anno, aveva coinciso con una vittoria sull'Inter. Inter e Walter Mazzarri, per l'appunto, un binomio che a inizio stagione sembrava aver doppiato con facilità le delusioni del campionato precedente e che oggi si trova a fare i conti con risultati che non arrivano e una classifica che langue.
Il suo modo di intendere il calcio appartiene a un altro mondo. Ma forse c'era proprio bisogno di un altro mondo per riportare la Lazio a una dimensione perlomeno dignitosa. Edy Reja poteva apparire una vestigia del tempo che fu, uno di quegli oggetti che trovi in solaio e ti domandi a cosa diavolo siano serviti. Poi lo prendi tra le mani, provi a metterlo in moto e vedi che funziona ancora. E' quello che deve aver pensato Claudio Lotito, quando si è accorto che Vladimir Petkovic non funzionava più. Ha fatto un passo indietro, ha tolto il velo di polvere che si era accumulato su un gioco per cui aveva perso passione e, con un colpo da maestro, ha ripresentato Reja, che tutti ormai davano per iscritto alla categoria degli ex. Un ex per di più poco amato. Dai tifosi, che lo accusavano di praticare un calcio, come si suole dire, troppo speculativo. Tradotto: primo non prenderle poi, se ti va bene, provare a darle. E da Lotito stesso, con cui non era mai scattata grande sintonia, nonostante una salvezza raggiunta per il rotto della cuffia nel 2010 e due buoni campionati successivi, chiusi sfiorando la Champions League ma anche litigando con tutto e con tutti: perché il presidente non allungava mai il braccino al momento di rafforzare la squadra e perché i tifosi gli avevano dichiarato guerra aperta, passando dalle critiche alle minacce. Un atteggiamento cui Reja aveva risposto in maniera poco italiana, tentando di applicare l'istituto delle dimissioni, come fatto dal suo corregionale Dino Zoff quando lasciò la panchina azzurra nel 2000 dopo le critiche, più da tifoso che da capopartito, di Silvio Berlusconi. Dimissioni respinte un paio di volte, fino all'addio liberatorio di fine campionato: per il tecnico, per il presidente, per la piazza. Ma la storia sa essere beffarda e presenta il conto nel momento in cui meno te lo aspetti. Così tutti hanno fatto un passo indietro a fine anno, quando Petkovic si è stufato della Lazio e dei suoi tentennamenti e ha detto sì alla Nazionale svizzera. Lo ha fatto Lotito, chiamando l'uomo con cui ha avuto più screzi che momenti di sintonia. Lo hanno fatto i tifosi, disposti a ingoiare qualsiasi rospo pur di vedere un cambio di direzione. Non lo ha fatto però Reja, tornato al lavoro da vincitore, con l'eterna smorfia e con quel nomignolo che si addice più a un adolescente che a un uomo che nel 2014 compirà 69 anni. In poche mosse ha rimesso a posto le cose e ridato un senso a una squadra, addirittura capace di vincere domenica a Udine con un uomo in meno: un evento per un allenatore che in trasferta non è mai andato benissimo. E' presto per parlare di guarigione, ma Reja si sta sicuramente divertendo.
Un ritorno alla Lazio che, alla prima partita del nuovo anno, aveva coinciso con una vittoria sull'Inter. Inter e Walter Mazzarri, per l'appunto, un binomio che a inizio stagione sembrava aver doppiato con facilità le delusioni del campionato precedente e che oggi si trova a fare i conti con risultati che non arrivano e una classifica che langue. Troppo presto si era forse scritto di una squadra ritrovata e di un allenatore capace di emendare l'inemendabile. Il 2014 è stato finora un pianto, con due sconfitte e un pareggio (in casa contro il Chievo...) e l'eliminazione in Coppa Italia. Morale? Dopo venti giornate i nerazzurri hanno sei punti in meno rispetto alla passata stagione, un particolare buono per dare voce a coloro che rimpiangono Andrea Stramaccioni (ci sono, ci sono…). L'ultima battuta d'arresto, in casa del Genoa, ha letteralmente tolto il fiato al tecnico, persino incapace di polemizzare per il possibile ed ennesimo errore arbitrale a danno dei suoi. E ora si torna a parlare di stagione di transizione, perché Mazzarri aveva capito che in casa nerazzurra da troppo tempo non si è stati in grado di fare i conti con il passato. Importante, è vero, ma pur sempre passato. Per questo ha dato fiducia a quelli che erano stati indicati come i grandi colpevoli dell'ultima stagione (Alvarez, Jonathan, Juan Jesus), per questo sta cercando di garantire una pensione sempre più dolce a chi tanto ha dato (Zanetti, giusto per fare un nome) e non capisce che non è ancora stato inventato il modo per frenare il tempo che passa. Il tecnico si era detto spiazzato dal cambio di proprietà, ora deve essere bravo a far sì che il possibile ostacolo si trasformi in opportunità. Perché una volta i giocatori trovavano una spalla consolatrice in Massimo Moratti. Oggi Erick Thohir non sembra disposto a individuare ancora una volta nell'allenatore il capro espiatorio di tutto. Mazzarri può avviare una rivoluzione troppo ritardata, ma dovrà ottenere risultati per essere credibile.
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