Mai first lady
Valeria Bruni Tedeschi l’ha chiamato, con un’alzata di spalle, “quel lavoro lì, di première dame”, intendendo: la seccatura occorsa a mia sorella Carla, fare la first lady per qualche anno. Un mestiere obsoleto, noioso, immobile, da cui si esce o con una fuga d’amore, come Cécilia Albéniz, seconda moglie di Sarkozy, che scappò a New York e poi a Dubai, o con una crisi di nervi, un ricovero e una convalescenza a Versailles, vestita probabilmente da dama del Settecento, con nèi finti e parrucche bianche.
Valeria Bruni Tedeschi l’ha chiamato, con un’alzata di spalle, “quel lavoro lì, di première dame”, intendendo: la seccatura occorsa a mia sorella Carla, fare la first lady per qualche anno. Un mestiere obsoleto, noioso, immobile, da cui si esce o con una fuga d’amore, come Cécilia Albéniz, seconda moglie di Sarkozy, che scappò a New York e poi a Dubai, o con una crisi di nervi, un ricovero e una convalescenza a Versailles, vestita probabilmente da dama del Settecento, con nèi finti e parrucche bianche.
Si entra all’Eliseo fiere, altezzose perfino, con l’idea di fare la differenza, una piccola rivoluzione, o almeno certe di conservare la propria identità. Si esce quasi sempre sconfitte, indebolite, con un guardaroba pieno di odiose pashmine, dopo che tutte le femministe e le anti femministe hanno danzato intorno alle cose che una brava first lady avrebbe dovuto fare e, ovviamente, non ha fatto. Il Guardian sottolinea che il lavoro di first lady non ha nessuna garanzia economica in caso di trattamento brutale, nessun risarcimento per le eventuali umiliazioni pubbliche.
E’ un’occupazione solo apparentemente privilegiata (i segretari, l’ala “madame” dell’Eliseo, i capelli sempre in ordine e, nel caso dei matrimoni felici, come ad esempio quello di Samantha e David Cameron, un po’ di affetto da parte di chi guarda), ma è in realtà una posizione fragile, con pochissima presa sulla realtà. Valérie aveva detto di non voler essere il fiorellino presidenziale, e adesso qual è la prospettiva di una signora in lacrime, aggrappata agli arredi della Lanterne, a quella mezz’ora in cui François Hollande è stato in visita da lei e alla speranza che lui dichiari al mondo di non volerla lasciare? Hollande ha già detto che nel futuro non vede nessuna première dame all’Eliseo, e sarebbe in effetti un ruolo da abolire (Carla Bruni diceva: che cosa bizzarra, devo stare un passo indietro a mio marito negli incontri ufficiali. Esserci, ma dietro. Come se ai miei concerti facessi stare Nicolas in piedi dietro la chitarra), ma Valerie, che ci aveva sperato tanto, che farà? Il futuro di una ex première dame non va molto oltre l’autobiografia (il direttore del New Yorker ha detto che Trierweiler ne sta già scrivendo una), a scopo di vendetta e di spartizione dell’infelicità. Anche Cécilia, ex moglie di Sarkozy, ne pubblicò una, scomparsa dalle conversazioni nel giro di un pomeriggio.
C’è una sola donna a cui il firstladysmo sembra donare, ed è Michelle Obama, che ha festeggiato i cinquant’anni ballando e che sembra felice di curare l’orto e lottare contro l’obesità infantile: ha già detto di non avere, per il dopo, alcuna ispirazione alla Hillary Clinton (altra signora di talento molto danneggiata dal mestiere di first lady). Barack ringrazia sua moglie su Twitter “per tutto quello che fai”, mentre Hollande pronuncia con fatica il nome di Valérie. Sono due mondi e due destini diversi: Michelle ha usato la Casa Bianca come un divano comodo, come un palcoscenico temporaneo da cui mostrare tutta la sua forza (e gli esperti intervistati da New Republic prevedono per lei un futuro di successo: consulenze importanti, riforma dell’istruzione, o anche spettacoli danzanti alla tivù), mentre per Valérie l’Eliseo è stato il punto d’arrivo, il luogo in cui ha desiderato intensamente fermarsi, come se fosse una promozione di carriera e non un’incombenza transitoria. Adesso, la cosa peggiore che si possa augurare a Julie Gayet, la terza donna, è che Hollande le proponga di fare la première dame.
Il Foglio sportivo - in corpore sano