Troncare, sopire, dialogare
Così renziani (e non) proteggono il patto del Nazareno dai giudici
“E’ un atto dovuto, il fatto stesso che Ilda Boccassini abbia rinunciato all’indagine conferma questo profilo… Non credo che abbia alcun riflesso sull’Italicum o che c’entri qualcosa con l’accordo Renzi-Berlusconi. Semmai sono più preoccupato dal fatto che Ghedini e Longo si dicano certi dell’archiviazione. Di solito non ci prendono”. Fra sarcasmo e scongiuri, Nicola Latorre, politico smaliziato oggi renziano e anagraficamente preparato sul tema giustizia e politica, si esprime così sulla notizia dell’iscrizione di Berlusconi nel registro degli indagati del Ruby ter.
“E’ un atto dovuto, il fatto stesso che Ilda Boccassini abbia rinunciato all’indagine conferma questo profilo… Non credo che abbia alcun riflesso sull’Italicum o che c’entri qualcosa con l’accordo Renzi-Berlusconi. Semmai sono più preoccupato dal fatto che Ghedini e Longo si dicano certi dell’archiviazione. Di solito non ci prendono”. Fra sarcasmo e scongiuri, Nicola Latorre, politico smaliziato oggi renziano e anagraficamente preparato sul tema giustizia e politica, si esprime così sulla notizia dell’iscrizione di Berlusconi nel registro degli indagati del Ruby ter (corruzione in atti giudiziari) che ha provocato l’ovvia indignazione di Forza Italia e del suo leader (“una bomba sul percorso della legge elettorale”, dice Raffaele Fitto). Ma per il Pd non è così: “In questa fase”, l’iniziativa dei giudici milanesi “non influisce per niente”, rassicura Stefano Fassina. Minoranza e maggioranza del partito ritengono la cosa irrilevante dal punto di vista delle ricadute politiche, glissano sulla coincidenza temporale che ha visto quasi in sincrono Renzi annunciare in direzione l’accordo con Berlusconi e Alfano sulle riforme e il tribunale di Milano fissare per il 10 aprile, giorno di apertura della campagna per le elezioni europee, la decisione sull’assegnazione del Cav. ai servizi sociali.
Per tutti, i tempi sono cambiati, “Berlusconi non è più lo stesso, è indebolito”, dice Walter Verini, storico braccio destro di Veltroni. “E’ dovuto andare al Nazareno, impensabile ai tempi della Bicamerale, ha una condanna definitiva, è decaduto”. “Ha tutto l’interesse a tener fede all’accordo”, scommette Roberto Giachetti. “E anche la minoranza Pd lo sa, ormai l’incontro c’è stato e i suoi frutti anche”, aggiunge. E, se l’ex responsabile Giustizia, il bersaniano Danilo Leva, rinvia di 24 ore il commento perché vuole capire, in effetti Cuperlo è definitivo: “Il percorso delle riforme è forte e non c’è nessuna variabile che possa indebolirlo”. Eppure questa calma apparente sul fronte interno non incoraggia il relax del segretario che al contrario viene descritto in allerta, guardingo, consapevole dei rischi che corre chiunque a sinistra incroci Berlusconi sul piano inclinato politica/giustizia.
Molto si capisce dalla dichiarazione di Angelo Rughetti, renziano della prima ora: “Diciamo che il Ruby ter e la questione dell’affidamento di Berlusconi non aiutano”, osserva prima di lanciarsi in un attacco ad altri giudici, quelli costituzionali che in forma anonima hanno consegnato a Repubblica i loro dubbi sulla legge elettorale, “un secondo golpe…” si lascia sfuggire. Il timore diffuso è che altri guai giudiziari del contraente più forte del patto sulla legge elettorale già insidiato in Parlamento – con i piccoli partiti sul piede di guerra e mille incognite nella tempistica e nella tecnica di Palazzo – possano ridare voce a un mondo che per la prima volta è stato possibilista o addirittura favorevole al dialogo del sindaco con il Cavaliere e che dunque ha tolto decibel alle voci di Fassina e di Danilo Leva.
Si è visto nel pragmatico lasciapassare di Marco Travaglio e del Fatto quotidiano corretto ex post, ma di poco, nell’atteggiamento complessivamente non demonizzante di Repubblica nonostante le critiche di Eugenio Scalfari e di Barbara Spinelli, e nel comunicato di Libertà e Giustizia. “Renzi è come De Magistris a Napoli nel 2011, un santo liberatore cui si perdona tutto, pensa cosa sarebbe successo se fosse stato Bersani a incontrare Berlusconi”, sospira un bersaniano. Rassegnato ma non tanto, perché il Pd che conosce se stesso e i suoi mondi di riferimento sa che basta una parola di troppo su questa materia per far scivolare anche un segretario ardimentoso come Renzi: basta che mostri comprensione per il lato Caimano anche solo con un battito di ciglia, che condivida anche solo una critica alla tempistica della magistratura; basta un dubbio, una perplessità sulle mosse di giudici e pm per ritrasformare il patto del Nazareno in un inciucio e far risaltare, per contrasto, la linea dura di Letta sulla decadenza. Il comandamento insomma è sempre lo stesso, separare la vicenda giudiziaria di Berlusconi e il suo ruolo di leader politico senza sospetti di contropartite, di rimbalzi da un tavolo all’altro. Il rischio sarebbe altissimo.
A dispetto delle voci concilianti, e delle alzate di spalle dei fedelissimi del sindaco, un esponente di peso del Pd che conosce bene le dinamiche della magistratura conferma che non c’è nessuna analogia con i tempi della Bicamerale, ma aggiunge che “i magistrati sono spaventati da Renzi: ne temono gli intenti rottamatori, hanno memoria dell’ultima Leopolda, la promessa di affrontare la riforma della giustizia, la responsabilità civile, il caso Scaglia come argomento forte”.
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