Facebook è morto? No

Piero Vietti

Facebook è morto. Di nuovo. Da qualche tempo prevedere la fine del social network inventato nel 2004 da Mark Zuckerberg è diventato un simpatico passatempo di analisti, esperti e ricercatori. Non passa mese senza che un’intervista a qualche illuminato esperto di nuovi media, un retroscena con numeri interni arrivati alla stampa chissà come, o uno studio di qualche università cerchino di dimostrare che ormai è cominciata la parabola discendente per la piattaforma che ha messo in collegamento centinaia di milioni di persone in tutto il mondo permettendo loro di condividere foto, video, immagini, link e pensieri più o meno indispensabili.

    Facebook è morto. Di nuovo. Da qualche tempo prevedere la fine del social network inventato nel 2004 da Mark Zuckerberg è diventato un simpatico passatempo di analisti, esperti e ricercatori. Non passa mese senza che un’intervista a qualche illuminato esperto di nuovi media, un retroscena con numeri interni arrivati alla stampa chissà come, o uno studio di qualche università cerchino di dimostrare che ormai è cominciata la parabola discendente per la piattaforma che ha messo in collegamento centinaia di milioni di persone in tutto il mondo permettendo loro di condividere foto, video, immagini, link e pensieri più o meno indispensabili.

    L’ultima in ordine di tempo è la ricerca di John Cannarella e Joshua Spechler, del dipartimento di Ingegneria meccanica e aerospaziale dell’Università di Princeton. I due studiosi hanno applicato a Facebook il modello di diffusione delle malattie (crescita sostenuta, picco, declino), e giungendo alla conclusione che nel giro di un biennio l’affollato social network blu diventerà landa desolata in cui bazzicheranno ancora pochi genitori di quei teenager che – secondo un altro studio ancora – già lo stanno abbandonando. Lo studio di Cannarella e Spechler in effetti si applica alla perfezione a Myspace, social network abbandonato e fallito dopo essere stato divorato dallo spam in epoca ormai considerabile preistorica. Tutto molto bello e interessante, peccato che Facebook con MySpace abbia poco da spartire, notava un articolo di The Week due giorni fa: il social oggi in mano al cantante Justin Timberlake venne venduto pochi anni dopo la sua nascita a Murdoch, il quale non lo capì e dopo qualche tentativo di rilancio lo abbandonò a se stesso; contemporaneamente i profili degli utenti vennero invasi da insopportabili messaggi spam, fino a che gli iscritti cominciarono a migrare verso nuove piattaforme in crescita, prima fra tutte Facebook. La creatura di Zuckerberg è guidata ancora dal suo fondatore dopo dieci anni, ha un buon filtro anti spam e guadagna sempre più soldi. Il Wall Street Journal martedì riportava sì i dati sui teenager in fuga verso nuovi social network, ma sottolineava anche come sia “troppo presto per scavargli la fossa”: secondo una ricerca di GlobalWebIndex, circa l’83 per cento di chi naviga sul web oggi ha un profilo Facebook, e la metà di loro vi accede con discreta frequenza, adolescenti compresi. Un lungo articolo sul sito della rivista Studio mercoledì ricordava che “il rendimento proveniente dal settore mobile è incrementato fino a toccare quota 49 per cento e gli utenti attivi mensili registrati erano 1 miliardo e 190 milioni”. Il 29 gennaio sono attesi nuovi dati ufficiali sugli utenti, ma parlare di declino leggendo certi numeri appare azzardato: YouTube, Twitter e altri social di successo non riescono nemmeno ad avvicinarsi a certi risultati.

    Certamente un rischio rimane, ricordava ancora l’articolo di The Week, e cioè che prima o poi gli utenti comincino a spostarsi in massa su un nuovo social network (magari dove ricominciare senza il controllo di mamma e papà o di colleghi e amici impossibili ormai da cancellare). Questa sì, sarebbe una fine in perfetto stile Myspace. Anche in questo caso, però, Zuckerberg non appare sprovveduto, e lo ha già dimostrato: mentre negli ultimi tempi cresceva il peso dei vari Snapchat, Instagram, Reddit, Tumblr, Twitter, e WhatsApp, per nominarne solo alcuni, Facebook ha avuto l’intuizione (e il portafoglio) di comprarsi quella che più poteva crearle problemi, Instagram. Il social network di condivisione di foto e video con filtri vintage è in crescita vertiginosa da mesi, ed è tutto fieno nella cascina di Zuckerberg. In definitiva, Facebook in quanto social network potrà anche fallire, prima o poi, ma Facebook in quanto azienda no: ha talmente tanti soldi e fiuto che le basterà comprarsi la next big thing in arrivo. E continuare a vivere in eterno, o quasi.

    • Piero Vietti
    • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.