Parla Fulvio Contorti

Idee sviluppiste per far fruttare i soldi delle privatizzazioni

Ugo Bertone

Finalmente si parte. Oggi, conferma da Davos il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni, con il decreto del presidente del Consiglio, inizia la nuova ondata delle privatizzazioni. “Si parte con il 40 per cento delle Poste – aggiunge Saccomanni – poi si vedrà”. In realtà a leggere il Def, la tabella di marcia per il 2014 sembra già fissata: Sace, Stm, Fincantieri, Cdp Reti, Grandi Stazioni, Enav.

Brambilla Le magie contabili di Letta per dire che il debito cala

    Finalmente si parte. Oggi, conferma da Davos il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni, con il decreto del presidente del Consiglio, inizia la nuova ondata delle privatizzazioni. “Si parte con il 40 per cento delle Poste – aggiunge Saccomanni – poi si vedrà”. In realtà a leggere il Def, la tabella di marcia per il 2014 sembra già fissata: Sace, Stm, Fincantieri, Cdp Reti, Grandi Stazioni, Enav. In tutto, secondo le previsioni, fa una ventina di miliardi da destinare alla riduzione del debito pubblico come prevede la legge del 1993 che ha istituito il fondo ammortamento dei titoli di stato. Ma è la soluzione migliore? Oppure non è il caso di rivedere, vent’anni dopo, la disciplina? “In realtà un fondo ammortamento del debito pubblico non ha molto senso finché un paese continua ad accumulare un deficit nel fabbisogno”, riflette Fulvio Coltorti, economista emerito di Mediobanca, per molti anni la mente dell’ufficio studi voluto da Enrico Cuccia.

    Negli anni Novanta, le attenzioni di Bruxelles erano concentrate sulla necessità di aggredire lo stock del debito mentre l’economia, a differenza di oggi, avanzava a ritmo sostenuto. Oggi, invece, il nodo più urgente anche agli occhi dell’Unione europea è la crescita che non c’è. “Anche se – ironizza Coltorti – poi nei fatti si impegnano in direzione opposta”. “L’economia oggi non cresce perché manca la domanda – continua lo studioso –  E’ una condizione generale, ma in Italia il problema è sentito più che da ogni altra parte. Perciò per far ripartire l’economia bisogna stimolare la domanda, a partire dagli investimenti”. La sua tesi è che l’Italia ha bisogno di creare, al più presto, un fondo con una dotazione consistente, tra i 15 e i 20 miliardi, in grado di aiutare l’economia reale a uscire dalla crisi di liquidità provocata dall’austerità. In questa direzione andava anche la proposta avanzata insieme ad Alberto Quadrio Curzio del “Bankoro”.

    In sostanza la proposta prevedeva il conferimento dell’oro posseduto da Banca d’Italia (79 milioni di once per un valore superiore ai 70 miliardi) a una società controllata dal Tesoro e il conseguente pagamento dell’imposta sulle plusvalenze. Con i quattrini ricavati il Tesoro avrebbe potuto comprare le quote delle banche con importanti benefici sul patrimonio degli istituti e sulla loro possibilità di aumentare gli impieghi verso le imprese. Ma il vero vantaggio del progetto consisteva nella possibilità di mobilitare “l’eccesso di risorse” accumulate da Via Nazionale rispetto alle banche cugine: nei quattordici anni di vita dell’euro la Banca di Francia ha distribuito allo stato risorse pari a 5,6 volte quelle distribuite alla Banca d’Italia, la Bundesbank addirittura dodici volte, con il risultato che le riserve di Via Nazionale sono pari al 6 per cento dell’attivo contro il 2 per cento della Banque de France, della Bundesbank e della Banca di Spagna, numeri sufficienti a sostenere il progetto anche in sede Bce. “Secondo i nostri calcoli – sospira Coltorti – era possibile mobilitare 13-14 miliardi, la cifra minima per dare una spinta alla ripresa”.

    L’esecutivo ha scelto un’altra strada, con buona pace delle speranze di mettere a disposizione della ripresa, in assenza di iniziative comunitarie, una sorta di minibazooka tricolore. In questa chiave, il dossier privatizzazioni è una sorta di prova d’appello. Secondo la legge del 1993, i quattrini ricavati dalle vendite di stato serviranno ad acquistare sul mercato secondario titoli di stato in circolazione o a rimborsare emissioni in scadenza. Ma, di questi tempi, il problema più urgente non è di finanziare il debito, vista la buona accoglienza riservata sui mercati ai Btp e agli altri titoli. Molto più urgente è rimettere in moto il ciclo degli investimenti, a cui destinare il ricavato delle privatizzazioni. “Il grosso arriverà dalle Poste – prevede Coltorti – tra 5 e 7 miliardi a seconda della quota da collocare. Difficile valutare a freddo il dossier Cdp Reti. Impossibile, di questi tempi, collocare gli immobili a un prezzo conveniente. In sintesi c’è poca trippa per gatti”, almeno per le necessità del sistema. Ma resta il fatto che la sfida del debito, ormai, si gioca più sul denominatore, cioè sulla crescita del pil, che non sulla riduzione grezza del debito.

    Brambilla Le magie contabili di Letta per dire che il debito cala