Esultanza immotivata

Le magie contabili di Letta per dire che il debito cala

Alberto Brambilla

Il presidente del Consiglio non è nuovo a precoci esultanze quando un dato economico all’apparenza positivo può fare gioco alla sua periclitante premiership. A dicembre Enrico Letta aveva enfatizzato con un cinguettio su Twitter il presunto calo della pressione fiscale sulle famiglie evidenziato da dati – incompleti – elaborati dalla Cgia di Mestre. E con identica superficialità di giudizio che ha accolto soddisfatto i dati Eurostat sul debito pubblico – in apparenza calante – comunicati mercoledì sera.

    Il presidente del Consiglio non è nuovo a precoci esultanze quando un dato economico all’apparenza positivo può fare gioco alla sua periclitante premiership. A dicembre Enrico Letta aveva enfatizzato con un cinguettìo su Twitter il presunto calo della pressione fiscale sulle famiglie evidenziato da dati – incompleti – elaborati dalla Cgia di Mestre. E' con identica superficialità di giudizio che ha accolto soddisfatto i dati Eurostat sul debito pubblico – in apparenza calante – comunicati mercoledì sera. Secondo l’ufficio europeo di statistica, il nostro debito è calato nel terzo trimestre dell’anno scorso (da giugno a settembre) sia in rapporto al pil (dello 0,4 per cento) sia in valore assoluto (da 2.076 miliardi a 2.068, meno 7,7 miliardi di euro). “Un’altra riprova della bontà del cammino di politica economica intrapreso”, dice Letta. E’ una falsità, dicono altri analisti e commentatori più attenti e meno avventati. Per capire quanto il giubilo governativo sia parziale è sufficiente evidenziare, come ha fatto il quotidiano Libero (tra i pochi a non ascoltare le sirene lettiane), che il rapporto debito/pil è cresciuto di 5,9 punti percentuali rispetto allo stesso trimestre del 2012 e resta il secondo in Europa sia per crescita esponenziale sia per ammontare, dopo quello della Grecia.

    Non solo. I dati Eurostat sono fuorvianti. Infatti in ossequio al Trattato di Maastricht mettono in luce il debito lordo e non quello netto, che si può calcolare usando i dati della Banca d’Italia. La differenza è essenziale, perché a guardare il debito netto – cioè quello lordo cui vengono sottratte la liquidità del Tesoro, i depositi presso la Banca d’Italia e i prestiti europei – si scopre che è comunque cresciuto di 29 miliardi di euro nello stesso trimestre esaltato dal governo. Il “trucco” è stato svelato da un esperto di Finanza pubblica come Ugo Arrigo, docente dell’Università Bicocca di Milano, sul blog dell’Istituto Bruno Leoni. “Il Tesoro non ha pagato l’eccesso di spese sulle entrate del trimestre emettendo nuovi titoli, nel qual caso si sarebbe accresciuto in misura equivalente il debito pubblico lordo e l’Eurostat ce lo avrebbe prontamente segnalato, ma ha preferito utilizzare liquidità già disponibile e depositi presso la Banca d’Italia. Poiché tale disponibilità è stata ridotta di quasi 36 miliardi a fronte di un’esigenza di pagamenti non coperta da incassi per 29 miliardi, ecco che apparentemente il debito si è ridotto. Ma è solo apparenza e non vi è ovviamente nulla da festeggiare”, scrive Arrigo.

    Il “trucco” delle fatture della Pa
    Sempre per via di una falla nel Trattato di Maastricht – come quella che addolcisce i dati Eurostat – non vengono contabilizzati nel debito pubblico i debiti commerciali, per esempio i debiti della Pubblica amministrazione nei confronti dei fornitori. In sostanza, sebbene vengano emesse le fatture, finché esse non sono pagate non è necessario aumentare le emissioni di debito per sostenerle. Ergo, è meglio tenerle chiuse nei cassetti più che si può. Lo stato ha pagato 22 miliardi di euro alle imprese creditrici su 90 arretrati, ne mancano 70. E se per ipotesi venissero pagati di getto ci troveremmo con rapporto debito/pil pari al 138 per cento e non al 133 come ora. Gli effetti dei rimborsi sulla contabilità pubblica, però, si vedono: le fatture ora pagate hanno accresciuto il fabbisogno dello stato portandolo a un livello superiore di circa 18 miliardi rispetto al disavanzo.

    Allora sorge spontanea una domanda, dice Arrigo al Foglio: “Se oggi il fabbisogno è più alto del disavanzo perché paghiamo le fatture pregresse, perché  negli anni precedenti, quando non le abbiamo pagate, il fabbisogno non è stato più basso del disavanzo? Il sospetto – dice Arrigo – è che i soldi non pagati ai fornitori siano stati usati all’interno della Pa, ad esempio prestandoli agli enti locali dissestati. Ed è difficile che ritorneranno mai indietro”, chiosa Arrigo. Un meccanismo complesso, da chiarire. Intanto il Tesoro continua la sua rincorsa ai rimborsi dei fornitori che, solo in parte soddisfatti, continuano a erogare prestazioni e incrementano i loro crediti.

    • Alberto Brambilla
    • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.