Botte, risposte, incognite (Cav.)

Renzi gioca col pulsante finish e sfida ancora Letta sulla legge elettorale

Claudio Cerasa

Niente da fare: i due si inseguono, si studiano, si sfidano, si provocano, si rincorrono; dicono di fidarsi l’uno dell’altro – come no – di andare sempre d’accordo, di volersi molto bene, di essere grandi amici; ma alla fine dei conti, chissà quanto involontariamente, ogni giorno si ritrovano con il cerino dell’altro nella propria mano, e ogni giorno, chissà quanto casualmente, Enrico è convinto che Matteo sia sul punto di fargli uno sgambetto e Matteo è convinto che Enrico sia sul punto di fargli uno scherzetto.

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    Niente da fare: i due si inseguono, si studiano, si sfidano, si provocano, si rincorrono; dicono di fidarsi l’uno dell’altro – come no – di andare sempre d’accordo, di volersi molto bene, di essere grandi amici; ma alla fine dei conti, chissà quanto involontariamente, ogni giorno si ritrovano con il cerino dell’altro nella propria mano, e ogni giorno, chissà quanto casualmente, Enrico è convinto che Matteo sia sul punto di fargli uno sgambetto e Matteo è convinto che Enrico sia sul punto di fargli uno scherzetto. Finora, da quando Renzi è stato eletto segretario, il giochino è stato sempre quello: Renzi prende a ceffoni il presidente del Consiglio – “Il governo faccia quello che deve fare oppure vada a casa!” (29 dicembre), “Se guardiamo a questi dieci mesi di governo ci troviamo di fronte a un elenco di fallimenti” (16 gennaio), “Il consenso del governo è ai minimi termini” (17 gennaio), “Se non si fa la legge elettorale si torna a votare” (24 gennaio), “Tecnicamente si puà votare anche nel semestre europeo” (24 gennaio) – e il presidente del Consiglio incassa silenziosamente, e manda giù. Giovedì però Letta non ha mandato giù, e di fronte a Lilli Gruber, con garbo, non solo ha lasciato intendere di avere sulla legge elettorale la stessa posizione della minoranza Pd (“vorrei una maggiore scelta da parte degli elettori dei propri rappresentanti”) ma ha anche utilizzato tre parole che, in questa fase, Renzi avrebbe fatto volentieri a meno di sentire: “Conflitto di interessi”. Panico, e renziani in allarme. “Dopo il conflitto di interessi – ha scritto ieri smanettando su Twitter il senatore renziano Andrea Marcucci – che cosa farà Letta? Si dedicherà alla rivendicazione di Fiume?”. Renzi sa che – pur avendo a disposizione un accordo forte e una profoooonda sintonia con Berlusconi e pur avendo ricevuto ieri garanzie dal Cav. – in natura non esiste nessun accordo forte e sicuro con il Cavaliere. E nei retropensieri del sindaco c’è la preoccupazione che basti un nulla, una scintilla, un cerino, per far saltare tutto e convincere Berlusconi che sia preferibile votare con la legge (proporzionalissima) disegnata dalla Consulta. Le parole di sostegno ricevute da Franceschini sul capitolo preferenze (“errore enorme reintrodurle”) hanno rassicurato Renzi. Ma il Rottamatore non si fida e ha chiesto al suo plenipotenziario a Roma, Lorenzo Guerini, di verificare se Letta stia tramando oppure no.

    Ieri pomeriggio, verso le tredici e dieci, poco prima che alla Camera fosse votata la fiducia sul decreto Imu-Bankitalia e poco prima che Napolitano rinnovasse il suo invito ad approvare al più presto le riforme istituzionali, Lorenzo “Arnaldo” Guerini ha incontrato per alcuni minuti il presidente del Consiglio, a Montecitorio, e ha ricevuto la garanzia che il governo non ha intenzione di ostacolare il percorso della legge elettorale e che Palazzo Chigi è consapevole che approvare in tempi rapidi la riforma è il modo migliore per rafforzare l’esecutivo, e scongiurare il voto. Sulle preferenze, dunque, Letta lascerà che sia il Parlamento a occuparsi delle modifiche alla legge elettorale e anche sul conflitto di interessi il premier ha negato di aver fatto una mossa per indebolire il patto Renzi-Berlusconi. Tutto chiarito? Non proprio. Renzi è infatti convinto che Letta, giocando di sponda con gli alfaniani e la minoranza del Pd, darà un contributo per rallentare il percorso della riforma e per evitare che vi possa essere una legge elettorale prima del 15 marzo, ovvero in tempi utili per lasciare aperta la finestra del 25 maggio per tornare a votare. Sui tempi, si sa, si gioca una partita delicata. Ed è per questo che Renzi – oltre a triangolare con la minoranza ribelle del partito guidata da Matteo Orfini e da Andrea Orlando (minoranza che non ostacolerà l’iter della riforma in Parlamento e che si sta organizzando anche sui territori per costruire un’alternativa a quello che il governatore umbro Catiuscia Marina chiama “Il partito dell’Aventino del Pd”) – sta cercando di rinviare la sottoscrizione del patto di coalizione: un patto che alcuni lettiani avrebbero voluto chiudere prima del 29 gennaio, giorno in cui Letta sarà ricevuto da José Barroso alla Commissione europea. Renzi, invece, giovedì mattina ha chiamato Letta al telefono per fargli sapere che non intende firmare il contratto senza avere la garanzia di un accordo in Aula, e non solo in commissione, sulla legge elettorale. E anche ieri, intervistato a “Virus” da Nicola Porro, ha ripetuto che se ci saranno intoppi sul percorso dell’Italicum, e se qualcuno proverà a far saltare la riforma, Renzi premerà il pulsante finish e farà cadere il governo: anche a costo di votare con il super Proporzionale. Di modifiche alla legge elettorale (il cui testo ieri ha ricevuto il primo ok dalla commissione Affari costituzionali alla Camera e che dovrebbe arrivare entro fine mese in Aula) ieri hanno parlato nella sede di Forza Italia Denis Verdini e Maria Elena Boschi. E pur avendo entrambi confermato che sulle preferenze non si discute, l’impressione è che Renzi e Berlusconi potrebbero trovare un accordo con Alfano (e i bersaniani) per alzare a quota 37-38 per cento la soglia prevista per raggiungere il premio di maggioranza e abbassare invece al 4 per cento lo sbarramento per i partiti in coalizione. Renzi continua a sostenere che la riforma servirà a rafforzare il governo e che Letta si deve fidare di lui. Ma ogni volta che il segretario chiede “fiducia”, e dice di essere sincero, i lettiani accendono il computer, aprono la posta elettronica e si scambiano alcuni ritagli in formato pdf di qualche mese fa. Era il 21 maggio del 2013, il governo si era da poco insediato e Renzi non aveva dubbi. Fidati di me, Enrico. “Io segretario del Pd? Se lo facessi immaginando di poter essere il candidato a fare il premier dopo è chiaro che andrei in rotta di collisione con il premier Enrico Letta, che è una persona per bene e anche un mio amico”. Tre mesi dopo Renzi si candiderà. E si capisce dunque perché “Enrico” quando si sente dire da “Matteo” sta’ tranquillo fidati di me abbia una voglia matta di accendere un cerino e metterlo nelle mani dell’amico Matteo.

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    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.