La “rupture” di François Hollande è poco più di un tweet a un'agenzia

Nicoletta Tiliacos

Il perfido Benoît Rayski, storico ed editorialista di Atlantico.fr, non si è fatto sfuggire l’occasione per notare che l’albergo dove ieri si è tenuta la cena di gala con Valérie Trierweiler ospite d’onore, durante il suo viaggio umanitario in India, si chiama Taj Mahal. Proprio come il famoso e immenso mausoleo che l’imperatore moghul Shah Jahan fece costruire per l’adorata moglie defunta Mumtaz Mahal (una moglie coesistente con altre, visto che di islamici si trattava: ma vuoi mettere l’eterna soddisfazione?).

    Il perfido Benoît Rayski, storico ed editorialista di Atlantico.fr, non si è fatto sfuggire l’occasione per notare che l’albergo dove ieri si è tenuta la cena di gala con Valérie Trierweiler ospite d’onore, durante il suo viaggio umanitario in India, si chiama Taj Mahal. Proprio come il famoso e immenso mausoleo che l’imperatore moghul Shah Jahan fece costruire per l’adorata moglie defunta Mumtaz Mahal (una moglie coesistente con altre, visto che di islamici si trattava: ma vuoi mettere l’eterna soddisfazione?).

    Altro che Taj Mahal: al finale struggente di una storia d’amore del XVII secolo si sovrappone un finale grottesco, con il presidente francese François Hollande, “compagno di vita” per otto anni della Trierweiler, che annuncia con un colpo di telefono all’Agenzia France presse la fine della loro storia. In un’atmosfera a metà tra il vaudeville e il dramma ibseniano (più il primo che il secondo) finisce il legame non coniugale che aveva tuttavia ricevuto, durante i venti mesi trascorsi dall’elezione di Hollande, una goffa investitura di ufficialità protocollare. E anche se il viaggio in India in nome di nobili motivi non fa che riprodurre lo stilema reso inarrivabile dalla principessa tradita Diana Spencer – divertiti pure, brutto porco, mentre io rendo il mondo un posto migliore – permane la sensazione di pochade alla Feydeau. Il presidente che piazza la “compagna ufficiale” nell’ala est dell’Eliseo mentre da due anni (praticamente nel corso di quasi tutto il suo mandato fino a oggi) si dedica intensamente a una favorita che lo aspetta in un appartamento dietro l’altro angolo dell’Eliseo, non può non “turbare il messaggio della grande svolta politica del quinquennato”, nota, sempre su Atlantico, la giornalista Anita Hausser. Si capisce che nemmeno lei riesce a reprimere lo sghignazzo, ma poi si chiede seriamente se il piglio decisionista e unilaterale con cui Hollande tronca otto anni di legame con la “donna della sua vita” (aveva definito così Valérie, mentre lasciava Ségolène Royal dopo ventotto anni di convivenza e quattro figli) non mostri un “aspetto imperiale”, un côté “questo è il mio grazioso volere” di regale memoria. “Detto in altre parole – scrive Anita Hausser – il Républicain François Hollande, dando il benservito a colei della quale non vuole più sapere nulla, non sta semplicemente ripudiando la Regina come i monarchi d’antan?”. Questa rottura rischia di essere un boomerang per la figura di François Hollande presso l’elettorato femminile, preconizza infine la giornalista, perché l’effetto chiarificazione scompare di fronte alla sorte di una donna “che dà l’impressione di aver perduto (sacrificato?) tutto per un uomo”.

    Forse. O forse, nel feuilleton dell’Eliseo, Valérie Trierweiler, la première dame licenziata con una telefonata all’Afp, première non è stata mai davvero, e men che mai nell’immaginario dei suoi connazionali si è emancipata da una certa aura di intrusa sgomitante. La colpa non è nemmeno tutta sua. Semmai dell’ondivago presidente in scooter Piaggio, disposto a qualsiasi cosa ma non a ufficializzare con un matrimonio (e dire che in Francia hanno pure il divorzio consensuale lampo, tre mesi e liberi tutti) il legame con “la donna della sua vita”. “Mariage pour tous”, ma non per lui.