Il caso Sorgenia, pupilla offuscata del sistema De Benedetti

Alberto Brambilla

Nella cassaforte della famiglia De Benedetti si lavora pancia a terra per tamponare la prima importante crisi industriale da quando il fondatore, Carlo De Bendetti, ha lasciato l'incarico di presidenza al figlio Rodolfo un anno e mezzo fa. La compagnia energetica Sorgenia, di cui la conglomerata debenedettiana Compagnie Industriali Riunite (Cir) è l'azionista di maggioranza, è in crisi di liquidità e nel corso degli ultimi quattro anni ha accumulato debiti complessivi per 2,2 miliardi di euro, tra debiti da rimborsare e crediti verso venti banche, tra cui le principali sette del paese, le più esposte

    Nella cassaforte della famiglia De Benedetti si lavora pancia a terra per tamponare la prima importante crisi industriale da quando il fondatore, Carlo De Bendetti, ha lasciato l’incarico di presidenza al figlio Rodolfo un anno e mezzo fa.

    La compagnia energetica Sorgenia, di cui la conglomerata debenedettiana Compagnie Industriali Riunite (Cir) è l’azionista di maggioranza, è in crisi di liquidità e nel corso degli ultimi quattro anni ha accumulato debiti complessivi per 2,2 miliardi di euro, tra debiti da rimborsare e crediti verso venti banche, tra cui le principali sette del paese, le più esposte (Monte dei Paschi di Siena, azionista Sorgenia, Intesa Sanpaolo, Unicredit, Ubi, Bmp, Banco Popolare e Mediobanca). Il management di Cir e Sorgenia sta lavorando per cercare un accordo con gli istituti di credito in modo da convincerli a farsi in parte carico di una manovra finanziaria (aumento di capitale, cessione di asset o altro) da almeno 600 milioni di euro per alleviare il fardello. Per capire quanti soldi dovranno uscire da Cir e quanti andranno in carico alle banche oggi si terrà un incontro tra tutte le parti coinvolte, secondo indiscrezioni raccolte sulla piazza milanese. Stando a indiscrezioni di Mf/Milano Finanza e del Messaggero, i De Benedetti dovrebbero sborsare tra i 200 e i 300 milioni di euro – cifra desiderata dalla banche – vincendo così la riluttanza che in passato li ha contraddistinti nell’iniettare soldi liquidi, anziché fare operazioni finanziarie a debito. “Sorgenia ha scarsa redditività – dice un autorevole osservatore che preferisce l’anonimato – e non è in grado di ripagare il debito, servono i soldi dell’azionista. Dopo molte operazioni fatte a leva, anzi a levissima, se la proprietà non mette capitale vuol dire che non crede nell’azienda. Sarebbe un’altra storia di capitalismo straccione”. E’ interessante notare che la cifra grosso modo coincide con il netto del rimborso ricevuto da Cir dopo la vittoria contro Silvio Berlusconi, arcinemico di Carlo De Benedetti, per il lodo Mondadori (un danno patrimoniale da 400 milioni di euro).

    Tant’è che, a sentire gli esperti, quando è arrivata la sentenza il 17 settembre scorso il titolo Cir non ha brillato a Piazza Affari (“il rialzo è stato sterilizzato dai timori circa Sorgenia”, dice un analista di una primaria banca italiana). Le difficoltà di Sorgenia sono esplose negli ultimi mesi ma erano note. Tant’è che a luglio il vertice di Sorgenia è stato riorganizzato: i De Benedetti hanno chiamato a gestire il riassetto un esperto sia di energia sia di finanza come Andrea Mangoni, per molti anni a capo di Acea e direttore finanziario di Telecom Italia fino a qualche mese prima delle dimissioni di Franco Bernabè.

    Ora Sorgenia viene valutata “zero” dai partner di Cir nell’energia, gli industriali austriaci della Verbund dati in uscita dal capitale appena possibile; alcuni analisti concordano altri dicono valga di più. Fatto sta che a prima della crisi era il quinto operatore nazionale ed era considerata il gioiello della holding debenedettiana. Per capire come si è prodotto il dissesto bisogna tornare indietro di dieci anni quando Sorgenia decide di indebitarsi e acquistare al prezzo di 400 milioni di euro quattro centrali termoelettriche prevalentemente a gas stipulando contratti vincolanti (take or pay), di fatto più onerosi rispetto alle forniture sul mercato libero (cosiddetto spot). E’ stato un sovrainvestimento che pesa tuttora considerati i ritorni scarsi che generano gli impianti (il cash flow per Sorgenia è solo di 50-100 milioni di euro), ma è stata una scelta strategica che all’epoca sembrava addirittura profittevole, secondo una visione condivisa da economisti ed establishment. Prima della crisi finanziaria Terna, altro operatore dell’energia, considerava sottodimensionato il fabbisogno energetico italiano, servivano più centrali e impianti. All’epoca le previsioni parlavano di un fabbisogno per 83 gigawatt l’ora (per il 2013).

    A causa della crisi economica però oggi i consumi energetici nazionali (legati all’andamento del pil) sono tornati ai livelli di dieci anni fa e quelle stime si sono dimostrate eccessive (siamo a 65 gigawatt). Oggi le centrali sono in numero doppio rispetto al necessario e lavorano in media al 15-20 per cento del loro potenziale. Tant’è che il governo Letta con il riborso del “capacity payment” intende rifondare le utilities per l’energia in eccesso, immagazzinata e da liberare per calmierare eventuali scompensi sulla rete. “Abbiamo avuto una overdose di impianti che adesso non sono giustificati in relazione ai bisogni energetici – dice Ermete Realacci, presidente della commissione Ambiente della Camera e autore del saggio “Soft Economy” con postfazione di Carlo De Benedetti – è stata una politica europea sbagliata: il problema adesso è chiudere gli impianti inquinanti”.

    Anche la politica nazionale aveva spinto in questa direzione, sviata dalle stime che la crisi ha sconfessato. Fu infatti nel 2002 che il governo Bersani concesse la privatizzazione della Interpower, oggi Tirreno Power, sulla quale i De Benedetti investirono 145 milioni e di cui Sorgenia è rimasto socio di minoranza assieme ai francesi di Gaz de France. Tirreno Power gestisce la centrale a carbone di Vado Ligure finita sotto inchiesta insieme a parte del management da parte della magistratura savonese per “disastro ambientale”, la stessa fattispecie giuridica dell’Ilva. L’azienda respinge ogni accusa. La notizia ha dato buon gioco al settimanale Panorama e al Giornale per criticare De Benedetti enfatizzando il silenzio di Repubblica su Vado Ligure in contrasto con il costante allarme sull’Ilva spesso lanciato dal quotidiano edito dal gruppo l’Espresso. In ogni caso, la centrale di Vado versa in una drammatica condizione finanziaria – i revisori non hanno firmato i bilanci dell’anno scorso – ora è ripartita dopo uno stop e ieri è stato nominato un nuovo direttore generale, Massimiliano Salvi, altro ex Acea, che si occuperà del complicato riassetto.

    Il boom delle rinnovabili sussidiate dallo stato (10-20 miliardi di incentivi l’anno) ha aggravato il problema di Sorgenia perché il “green” ha inondato il mercato di energia (il 35 per cento arriva da idrico, solare ed eolico) e di nuovi attori (400 mila) rendendo più costosa la produzione per gli operatori tradizionali (in Italia i margini di guadagno sono vicini allo zero per ogni kilowatt ora prodotto). Una politica di iperincentivi comune in Europa che il Financial Times ha definito “scellerata” per i ricaschi negativi sulle altre imprese, anche del calibro di E.on. Sorgenia è una delle più piccole, ora la settima in Italia, e ha sentito prima il contraccolpo giacché il 95 per cento della sua capacità produttiva è a gas.

    Solo una minima parte della società si dedica alle energie rinnovabili, contrariamente a quel che inducono a pensare le operazioni di marketing e l’enfasi del quotidiano debenedettiano Repubblica per l’energia pulita. Certo, anche Sorgenia ha approfittato dei sussidi pubblici (20 milioni di euro l’anno) traendone una rendita fissa, un po’ come se fosse un investimento immobiliare, ma anche questa fase è destinata a finire con il ridursi degli incentivi. Per alleviare la crisi industriale nel 2015 dovrebbero partire le dismissioni del ramo “green” di Sorgenia in Italia e Francia (valore stimabile ma impreciso – non è stato nominato l’advisor – di 265 milioni). E’ più facile vendere centrali eoliche e impianti fotovoltaici rispetto alle centrali a carbone (che non hanno mercato) perché interessano i fondi d’investimento. Per tamponare la falla Sorgenia nel gruppo Cir – solido nel suo complesso – l’Ingegner De Benedetti starebbe seguendo direttamente il dossier. Il gossip finanziario è che sia sceso dall’attico al primo piano della Cir – dove ci sono gli uffici operativi. Sono voci smentite ufficialmente, si vedrà se è davvero tornato in pista.

    • Alberto Brambilla
    • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.