Nichi ma che stai a di'? Il futuro di Vendola svelato da 15 perle di saggezza

Claudio Cerasa

Nei momenti di massima difficoltà politica, ovvero quando l’essere marginale non corrisponde più allo stato di grazia di chi può abilmente giocare con le armi della lotta fingendo di essere però pronto da un momento all’altro a trasformarsi in una straordinaria forza di governo, Nichi Vendola, consapevole che “la malattia della politica non è solo l’antipolitica ma quest’onda melmosa gonfia di passioni tristi, di livore che sostituisce l’analisi, e di grugniti che prendono il posto delle strategie”, si presenta sempre di fronte ai propri elettori mettendo in pratica una vecchia e formidabile strategia mutuata da un vecchio detto anglosassone che potremmo sintetizzare così: when in trouble, che stai a di’.

    “Non volevo fare considerazioni tristi: semplicemente dirvi che abbiamo tutto il diritto di chiedere a noi stessi e alla nostra politica di guardare un po’ oltre il campo visivo della dimensione istituzionale, di saper vedere ciò che sta sotto e ciò che sta sopra il Palazzo, le vite vive che urtano al muro delle compatibilità, che desiderano spazi e tempi da riprogettare, che ambiscono alla bellezza, che nello sguardo e nell’abbraccio ritrovano se stessi e il senso della loro, della nostra comune avventura umana”. Nei momenti di massima difficoltà politica, ovvero quando l’essere marginale non corrisponde più allo stato di grazia di chi può abilmente giocare con le armi della lotta fingendo di essere però pronto da un momento all’altro a trasformarsi in una straordinaria forza di governo, Nichi Vendola, consapevole che “la malattia della politica non è solo l’antipolitica ma quest’onda melmosa gonfia di passioni tristi, di livore che sostituisce l’analisi, e di grugniti che prendono il posto delle strategie”, si presenta sempre di fronte ai propri elettori mettendo in pratica una vecchia e formidabile strategia mutuata da un vecchio detto anglosassone che potremmo sintetizzare così: when in trouble, che stai a di’. D’altronde è difficile dare torto a Nichi Vendola: la fase politica, per uno come lui che deve distriscarsi tra l’essere da sempre renziano ed essere allo stesso tempo anti renziano da una vita, è decisamente complicata, presenta molte difficoltà, ti mette di fronte a mille contraddizioni e ti porta a essere, come direbbe il vecchio saggio, confuso nel bene, e a non riuscire neppure a trovare un accordo con se stessi su alcuni punti cardinali. Con chi stare in Europa? Con chi stare in Italia? Renzi o Tsipras? Schulz o Rodotà? Da uomo consapevole che “togliersi l’elmo è il gesto nel quale un politico deve sempre più identificarsi dentro quella contesa aspra e cruda con cui spesso si presenta a noi la politica”, Nichi Vendola è così tornato all’attacco. E durante quel trionfale congresso di Sel che lo ha proclamato leader del suo partito – quando cioè il nostro Nichi si è cimentato nella complicata arte del prestigiatore che deve convincere i suoi sostenitori, a me gli occhi!, che Sel riuscirà ad affrontare il futuro andando a braccetto con il compañero Renzi e dimostrando allo stesso tempo che il compagno Renzi è un mascalzoncello non troppo diverso da Berlusconi – per uscire dalla palude è tornato a dare il suo meglio e a rispolverare il suo formidabile “when in trouble, che stai a di’”.

    Il risultato, andando a rileggere il testo integrale (appena 77 mila battute) del discorso del compagno segretario, è un’antologia di straordinarie perle di saggezza. Dove Vendola, con tono accorato, ricorda che “la politica si adatta alla rappresentazione plastica di una società polverizzata nei suoi interessi e nella sua struttura e unificata culturalmente nei simboli e nei riti dell’individualismo consumista”. Dove Vendola, commosso, ricorda che ormai “si usa il degrado del costume pubblico per sottrarre terreno alla politica e dunque alla democrazia” e che “la moralità si esaurisce nel curriculum del manager-tipo, icona di quella nuova ipocrisia, o meglio di quella nuova egemonia, che chiamano meritocrazia”. Dove Vendola, emozionato, mette anche in guardia i suoi compagni, sottolineando che “se la democrazia viene presentata come elefantiasi burocratica, lentezza e caos normativo, chiacchiericcio politico e paralisi operativa, allora la ricerca di un principio di autorità ruzzolerà nel baratro delle pulsioni plebiscitarie e dell’invocazione autoritaria”. Dove Vendola, appassionato, dice con solennità che i problemi, in politica, iniziano sempre allo stesso modo: “Si comincia così, giorno dopo giorno, editoriale dopo editoriale, fiction dopo fiction, a convivere con la propria sudditanza, con i propri silenzi, con le proprie omertà. Fino al giorno in cui, nel nome della stabilità dei poteri costituiti, non incideranno col bisturi emergenziale nella carne viva di un nostro diritto o magari di un nostro privilegio, e a quel punto saremo pronti a imbracciare un forcone per pungere le altrui fobie e sollecitare le proprie isterie”. Dove Vendola – certo che “la politica può discutere di tutto tranne che dell’essenziale, può inebriarsi della trasparenza che si fa gossip, può strepitare nei talk show le proprie propagande, ma non può mica interrogare la vita, la debolezza, il dolore, la speranza, il genere, la generazione, la produzione” – avverte i compagni che il diavolo si nasconde nei dettagli (“Nella punteggiatura dell’inquietudine esistenziale e dell’incertezza lavorativa il dolore sociale esplode come paura e smarrimento della e nella povertà”). Ricorda che nella vita bisogna avere coraggio, fiducia e speranza nel futuro (“Si può cambiare una cultura che occulta una struttura sociale feroce: il nostro destino non può essere una vita di pena, ma una vita piena”, “Dobbiamo dare strumenti cognitivi al nostro coraggio, cioè al bisogno di non farci governare dalla paura”). E individua con fermezza quali sono i grandi problemi con i quali bisognerà fare i conti nel futuro: “Il potere finanziario detta l’agenda del governo e, chiunque governi, deve fare i conti con l’intimazione padronale dei trafficanti di titoli azionari e di infinite altre sostanze stupefacenti… Il cinismo che la rivoluzione liberista ha depositato nel vocabolario della lingua pubblica italiana è come un’onda di ammoniaca che assale le narici… Proprio per questo, per reagire al fascino discreto della violenza, dobbiamo riflettere su quanto i mezzi qualifichino e determinino i fini, su quante reti giustificazioniste siano state tessute per eternizzare uno stile predatorio nelle relazioni sociali e interpersonali”. Ovviamente, Vendola sa che la fase che gli si presenta di fronte non è affatto semplice, e per questo cita chissà se involontariamente il guru guzzantiano Quelo: “La sconfitta è anche dentro di noi, ci accompagna come un’ombra, vive nel degrado delle relazione interpersonali e nella teatralizzazione di ogni dialettica, vive persino nella retorica del rifiuto della militarizzazione proclamato come un grido di battaglia”. Ma nonostante questo è fiducioso. Accetta la sfida dell’essere renziano e anti renziano e propone una strategia. Anche questa molto chiara: “Disarmare il nostro antropocentrismo non è forse una bella sfida, dinanzi alle ragioni di chi difende il vivente non umano, di chi ci propone un’agenda di governo che metta al centro la tutela della biodiversità, la cura della casa terrestre e del giardino planetario, un rispetto e un discernimento quasi francescani nei confronti della vita degli animali?”.

    Al netto della prosa scintillante, Nichi è però consapevole, sotto sotto, che potrà cominciare a parlare anche in greco, ad allevare la sua base a colpi di kalokagathia, di quanto è bello e quanto è bravo e quanto è forte il compagno Tsipras. Sa tutto questo. Ma sa anche che per sopravvivere e non fare la fine del compagno Faustos Bertinottopulos, alla fine il suo motto, e la sua versione rivisitata di “When in trouble go to big”, non potrà che avere un’evoluzione naturale.  Che poi, al netto dei che stai a di’, quello significa. Ed è semplice: when in trouble go to Florence. Non è vero, Nichi?

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.