Storia esemplare di Electrolux, dove fare lavatrici si poteva
E’ una storia assai “glocal” e forse senza precedenti nel nostro paese, quella dell’Electrolux. Si svolge fra la Svezia, la Polonia e l’Italia ma si decide alla periferia di Pordenone, a Porcia, dove i lavoratori ieri sono entrati in sciopero per provare a salvare 1.600 posti di lavoro in uno dei quattro stabilimenti in Italia della multinazionale degli elettrodomestici.
Pordenone. E’ una storia assai “glocal” e forse senza precedenti nel nostro paese, quella dell’Electrolux. Si svolge fra la Svezia, la Polonia e l’Italia ma si decide alla periferia di Pordenone, a Porcia, dove i lavoratori ieri sono entrati in sciopero per provare a salvare 1.600 posti di lavoro in uno dei quattro stabilimenti in Italia della multinazionale degli elettrodomestici. E’ una partita giocata su più tavoli, quella del piano di delocalizzazione in Polonia, per l’azienda della famiglia Wallenberg che negli anni 80 comprò la Zanussi per un piatto di lenticchie, 30 miliardi di vecchie lire, perché dopo la morte del fondatore, Lino Zanussi, era finita sull’orlo del fallimento. La partita non si gioca solamente, come potrebbe sembrare, sulla tradizionale contrapposizione fra azienda e lavoratori, ma anche su uno scrontro tra imprenditori e manager italiani, pronti alla guerra pur di impedire la “desertificazione industriale” del Friuli. Pronti anche a chiedere bonifiche ambientali e ispezioni della Guardia di Finanza, pur di non permettere all’azienda di lasciare l’Italia senza pagare dazio.
Due giorni fa sono trapelate le intenzioni dell’azienda di chiedere un piano drastico di ristrutturazione, con un calo degli stipendi fino a 800 euro per colmare il gap fra il costo del lavoro in Italia (24 euro all’ora) e quello in Polonia (7 euro). E’ scoppiato il putiferio. Nessuna azienda, seppur legittimata ad abbandonare l’Italia per le note vessazioni fiscali, le mancate riforme del mercato del lavoro o per le leggi inconfutabili della globalizzazione aveva mai osato tanto. E infatti ieri il management dell’Electrolux ha divulgato un laconico comunicato per smentire tale piano, considerato “irricevibile” dai sindacati. E ha puntualizzato che il sacrificio chiesto era molto minore, circa 130 euro al mese in meno in busta paga. Eppure ai più avvertiti, i manager fatti fuori dal 2011, dopo che l’azienda svedese ha cominciato la graduale pianificazione della delocalizzazione, è sembrato un annuncio sospetto. E’ infatti recente la decisione dell’azienda, seimila dipendenti in quattro regioni (nei gloriosi anni 90 erano 22 mila, era leader degli elettrodomestici in Europa), di svolgere un’indagine sulla competitività degli stabilimenti italiani, che dovrebbe concludersi ad aprile. Quindi questa drammatizzazione, per di più con i sindacati che di fatto avevano già alzato bandiera bianca, consapevoli che non si può competere con un delta del costo del lavoro così ampio, potrebbe essere un tentativo per risvegliare governo e regione. A cominciare dal ministro dello Sviluppo, Flavio Zanonato, accusato di inerzia, con un po’ di furberia, dalla governatrice del Friuli, Debora Serracchiani.
E’ stato lui a dichiara perentorio, ieri: “Porcia non chiude, smettetela di fare cattiva informazione”. E infatti non chiude, forse ha ragione lui: secondo fonti interne all’azienda sentite dal Foglio, “se governo e regioni non ci offriranno condizioni migliori per restare, faremo una diversificazione industriale”. Tradotto: le lavatrici si faranno in Polonia, e qui si vedrà. Luca Zaia, presidente del Veneto, ha annunciato che oggi a Roma ci sarà un incontro tra governo, azienda e parti sociali; prima, il governo incontrerà le regioni.
Guardandola da vicino, la verità è però che in questa storia hanno torto tutti, o quasi. I sindacati rimasti fermi davanti alla stagnazione della produzione di Electrolux, aspettando che fosse un brain trust della Confindustria di Pordenone (Maurizio Castro, Tiziano Treu, Riccardo Illy) a tirare fuori una proposta per far calare il costo del lavoro in cambio di un diverso modello aziendale, con la partecipazione dei sindacati ai comitati di sorveglianza e altri benefici relativi al welfare aziendale. Buona idea, arrivata però troppo tardi.
Infine, la verità è che Electrolux ha ereditato e fatto fruttare l’azienda di Zanussi, ma dovrebbe ammettere che le sue performance oggi sono piuttosto modeste. Persino nell’Europa orientale, dove si sposterà la produzione di Porcia. Se ne evince che il cuneo fiscale è solo una parte del problema. Secondo una ricerca di mercato risulta che in Europa occidentale, dal 2010 al 2012, Electrolux ha perso il 3 per cento delle vendite, peggior performance tra i concorrenti. Va meglio all’est, ma sempre agli ultimi posti, mentre Electrolux perde persino negli Stati Uniti. Considerato che la crisi strutturale del settore è solo relativa (in Europa si è passati dalla produzione di 32 milioni di elettrodomestici a 25), prima di permettere agli svedesi di mollare gli ormeggi per andare in cerca di operai e produzioni a basso costo, bisognerebbe interrogarsi anche sulle responsabilità della gestione. E chiedersi come mai un colosso come la statunitense Whirlpool ha invece fatto un percorso contrario: chiuderà lo stabilimento in Svezia per trasferire parte della produzione nella provincia di Varese. Certo, dopo aver ricevuto alcune garanzie sui contratti e anche di finanziamenti, da parte della regione Lombardia. Ma anche scommettendo che fare elettrodomestici in Italia si può.
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