I siriani ora rivali si sfiorano ai “talks”. L'amarezza di Ginevra

Paola Peduzzi

La cercano ovunque, Bouthaina Shaaban, tra il Palazzo delle nazioni di Ginevra e il Grand Hotel Suiss Majestic (vista lago) che ospita la delegazione del governo di Damasco arrivata in città per i negoziati cosiddetti di “Ginevra 2”. La cercano perché è il volto più riconoscibile del regime di Bashar el Assad, con il rossetto impeccabile, un doppio giro di perle, la montatura leggera degli occhiali, le sopracciglia definite e scure delle donne del Levante, la pelliccia nera e la risposta pronta e affilata.

Raineri Soltanto il 4 per cento delle armi chimiche ha lasciato la Siria

    La cercano ovunque, Bouthaina Shaaban, tra il Palazzo delle nazioni di Ginevra e il Grand Hotel Suiss Majestic (vista lago) che ospita la delegazione del governo di Damasco arrivata in città per i negoziati cosiddetti di “Ginevra 2”. La cercano perché è il volto più riconoscibile del regime di Bashar el Assad, con il rossetto impeccabile, un doppio giro di perle, la montatura leggera degli occhiali, le sopracciglia definite e scure delle donne del Levante, la pelliccia nera e la risposta pronta e affilata. Le puoi chiedere qualsiasi cosa e lei, d’istinto, replica: “La domanda vera semmai è…”, perché non le chiedono mai la cosa giusta: l’occidente preferisce i terroristi al regime che lei rappresenta – che follia.

    In questi giorni caotici di incontri continui (risultati non ce ne sono, si parla di cibo a Homs, e la Shaaban sbraita che il cibo in Siria c’è, che cosa volete voi con i vostri convogli umanitari, che umiliazione farsi dare da mangiare dagli occidentali: il cibo ce l’abbiamo, è che i terroristi non ce lo lasciano distribuire al popolo siriano), la signora che gestisce la comunicazione del regime di Assad ha perso spesso la pazienza. Non che non abbia esperienza: ha cominciato con papà Hafez el Assad, gli faceva da interprete, poi ha continuato con Bashar, soprattutto è diventata amica della sorella maggiore, la figlia prediletta di Hafez, Bushra, le ha persino presentato il marito (che è stato ucciso in un attentato a Damasco) e insieme hanno girato spesso per il mondo. La Shaaban conosce la Siria, conosce l’occidente, ma è abituata a vivere nella bolla assadista, laddove non c’è un dittatore che usa armi chimiche contro il suo popolo, lo affama, lo tortura: nella bolla c’è un presidente illuminato che combatte il terrorismo – e voi occidentali pretendete di cacciarlo? “Non esiste nulla chiamato ‘transizione’”, dice ormai scocciata a chiunque le chieda come stanno andando questi colloqui infiniti (finiscono domani, c’è una settimana di pausa, si ricomincia il 10 febbraio). Ieri ha anche interrotto bruscamente l’intervista con il Monde, “non è informato bene, ne ho abbastanza”, ha detto al giornalista che le faceva tutte quelle domande stupide – i morti, la fame, gli assedi, le armi chimiche persino – e al quale poco prima aveva consigliato di andare a consultare quel gioiello della propaganda assadista che è Liveleak.

    Bouthaina è sfinita ma almeno è abituata a parlare con il mondo. La sua delegazione no, arriva tardi agli incontri, sbaglia gli orari, fa persino imbarazzare i russi, con il ministro Lavrov immortalato mentre si tappava gli occhi durante l’intervento di un assadista in diretta tv (ma le cose al fondo vanno bene, s’intende, come ha detto una rappresentante della delegazione siriana a Voice of Russia: “Ogni giorno chiamiamo Mosca per confrontarci sui risultati”). Nella battaglia della comunicazione, la bolla assadista soffre, come ha scritto Anne Barnard del New York Times, ma se c’è una cosa che davvero è degna di nota, in tutto il chiacchierare scomposto di Ginevra, è proprio l’incontro delle persone, tra le persone, nei corridoi, nelle sale stampa. I siriani che s’incrociano, ecco qual è l’amarezza di Ginevra.

    Noura al Ameer è la più giovane della delegazione dell’opposizione al regime siriano, ha 26 anni e il velo a pois, sei mesi in prigione (ti hanno torturata? “Mah, sì, solo scosse elettriche però, nulla al confronto di quel che accade di solito alle donne in prigione”, sfugge via), e del primo faccia a faccia con gli altri, quelli del regime, nel palazzone di Ginevra, dice: “Ci fissavano. Li ho ricambiati con il mio più completo disprezzo”. Gli aguzzini, le vittime, occhi negli occhi, e mentre attorno il mondo li guarda attonito, sfaldandosi nella sua incoerenza, le violenze continuano. Ah ma su questo siamo tutti d’accordo, sussurra uno della delegazione del regime, anonimamente: non vogliamo più combatterci.

    Ma come? Ma quando? Questi negoziati sembra che non porteranno risposte, eppure da qualche giorno alcuni giornalisti dell’opposizione arrivano in sala stampa e stringono la mano a quelli di al Manar, la tv di Hezbollah, e a quelli della tv di stato siriana. Hanno lavorato insieme, in passato. Altri continuano a evitarsi: in tre anni è cambiato tutto, non siamo colleghi, siamo avversari. Uno dell’opposizione si è avvicinato a una sua ex fidanzata, che lavora come giornalista in un media di stato, non c’era nessuno vicino, ma lei gli ha messo la mano sulla bocca ancora prima che parlasse. Possono sentirci, siamo controllati, eravamo insieme io e te, eravamo insieme tutti quanti, ricordi?, il laboratorio del pluralismo in medio oriente. Poi Assad ha iniziato a dividerci, ad ammazzarci, ora shht, stai zitto.

    Raineri Soltanto il 4 per cento delle armi chimiche ha lasciato la Siria

    • Paola Peduzzi
    • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi