Colpa dei maschi, però anche noi…

Marianna Rizzini

E’ il day after del caso “De Rosa”, dal nome del parlamentare grillino che ha apostrofato le deputate pd con la frase “siete qui perché siete brave solo a fare i pompini”. Le interessate l’hanno denunciato, la procura ha aperto un fascicolo, la filosofa e deputata pd Michela Marzano ha raccontato la vicenda su Repubblica, la deputata pd Alessandra Moretti ha descritto il tutto, senza censure, a “Otto e mezzo”, e De Rosa ieri se n’è uscito con una frase che è parsa incredibile alle insultate: “… in Parlamento si entra così. Ho detto quello che pensano tutti gli italiani”.

    E’ il day after del caso “De Rosa”, dal nome del parlamentare grillino che ha apostrofato le deputate pd con la frase “siete qui perché siete brave solo a fare i pompini”. Le interessate l’hanno denunciato, la procura ha aperto un fascicolo, la filosofa e deputata pd Michela Marzano ha raccontato la vicenda su Repubblica, la deputata pd Alessandra Moretti ha descritto il tutto, senza censure, a “Otto e mezzo”, e De Rosa ieri se n’è uscito con una frase che è parsa incredibile alle insultate: “… in Parlamento si entra così. Ho detto quello che pensano tutti gli italiani”. In Parlamento si entra così: dove abbiamo sentito questa frase, prima? Viene solo da atavico maschilismo o anche da altro? Per esempio anche dall’eco di passate campagne di stampa, di piazza e di tribunale in cui alcune donne (parlamentari e ministre di centrodestra, olgettine, Ruby), prese come simbolo di vita “dissoluta” dell’ex premier B., venivano insultate per insultare lui, sì, ma senza troppo pensare all’offesa fatta alla donna? E oggi che il grillino De Rosa dice quello che gli striscioni in piazza (e Sabina Guzzanti, nel 2008) dicevano all’ex ministro Mara Carfagna, il dibattito si riapre. La scrittrice Lidia Ravera, nel 2011 tra le promotrici del manifesto di “Senonoraquando” e dell’omonima manifestazione, mette subito un paletto: l’insulto di De Rosa, dice al Foglio, è effetto “della convinzione radicata, e per alcuni addirittura inconscia, secondo la quale le donne sono funzione del desiderio maschile. Ma non si può collegare il fatto che le donne vengano continuamente insultate al fatto che qualcuna possa aver detto che ci sono carriere favorite dagli appetiti maschili”.

    “Peraltro io non incolpo le donne”, dice Ravera, “ma i meccanismi di promozione sociale vigenti in questo paese, basati su ogni sorta di opportunismo, sessuale e non, che riguarda entrambi i sessi. Invito le donne a rispedire al mittente, in un coro trasversale, la subcultura in base alla quale veniamo promosse o bocciate in virtù della nostra disponibilità a giocare il ruolo dell’oggetto”. Ma c’è chi, come la giornalista Paola Tavella, punzecchia su Facebook le donne di “Senonoraquando”, alludendo a un precedente deficit di sensibilità su casi analoghi: “… Ehi ragazze, ma vi ricordate gli insulti a Carfagna, Santanchè eccetera? Ora vi tocca mangiare la minestra che avete preparato. Fa schifo vero?”. Si ritorna lì: all’idea che il clima di riprovazione collettiva e ossessività morbosa sullo stile di vita “Bunga-Bunga”, unito all’urgenza di liberarsi anche politicamente del Caimano, possa, in alcuni casi, aver dato una sorta di lasciapassare all’offesa sessista collegata a una presunta superiorità morale (tipo gli striscioni “Fuori le zoccole dallo stato”). E che il chiacchiericcio morboso, unito alla divisione antropologica tra donne perbene e donne permale, possa aver nutrito l’indignazione un tanto al chilo (internettiana e non) che poi si sfoga anche a livello di sessismo.

    Ma Elisabetta Addis, che nel 2011 era nel comitato promotore di “Senonoraquando”, respinge alla radice l’idea: “Noi non abbiamo mai criticato altre donne. Abbiamo criticato l’ex presidente del Consiglio. Noi non ce la prendiamo mai con le donne, qualsiasi mestiere facciano, ma con i puttanieri. Il fatto che alcune donne non abbiano difeso la Carfagna come avrebbe meritato non significa che la minestra l’abbiano preparata le donne. La minestra misogina alberga negli uomini di destra e anche un po’ in quelli di sinistra. Faccio notare che la maggior parte di quelli che facevano gossip sulle ex ministre del Pdl erano maschi. E l’idea che le donne siano divise in perbene e permale è il riflesso del complesso angelo-puttana, complesso che hanno i maschi”.

    Michela Marzano, interpellata come deputata e testimone oculare sul caso De Rosa (di cui ha scritto ieri su Repubblica) e come filosofa del “corpo delle donne”, dice che la “preoccupazione” antisessista, per quanto la riguarda, “è sempre stata trasversale: da quando sono in Parlamento ho sempre reagito, assieme a colleghe di diversi partiti, a insulti o violenze rivolte a qualunque donna, per esempio quando i Cinque stelle hanno detto a Mara Carfagna, persona seria e che lavora, ‘torna a fare la velina’. Forse però è vero che in passato c’è stata leggerezza nel modo di affrontare un problema profondo, che parla di una mentalità che non si riesce a scardinare. Si pensava che questi insulti riguardassero solo alcune donne, mentre riguardano tutte le donne”.

    C’è chi, come la filosofa Vittoria Ottonelli, ha scritto un libro sul tema (nel 2011): “Libertà delle donne. Contro il femminismo moralista”. Un saggio in cui le manifestazioni di “Senonoraquando” e i documentari tipo “Il corpo delle donne” di Lorella Zanardo venivano presi a esempio di un certo automatismo nel dividere il mondo in donne che si sacrificano (mamme, lavoratrici e studentesse) e in donne che preferiscono prendere la via più breve. Per Ida Dominijanni, filosofa e firma del Manifesto, il problema “è l’immaginario sessuale e politico maschile. Dopodiché è vero che due o tre anni fa si è appiccicato esclusivamente addosso alle olgettine e alle donne politiche berlusconiane un pregiudizio che viene da una mentalità che riguarda anche il questore della Camera Dambruoso, il quale tra qualche giorno parteciperà a un convegno contro il femminicidio dopo aver dato colpi di karatè in Parlamento alla deputata Lupo”.

    • Marianna Rizzini
    • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.