Fine della “neutralità”

Così cresce il ruolo discreto di Israele nel sud della Siria

Daniele Raineri

Israele si tiene da parte con discrezione sulla questione della guerra siriana. Non ha chiesto di partecipare alla Conferenza di pace di Ginevra 2 – appena finita senza alcun risultato, come previsto  – per timore che la sua presenza avrebbe polarizzato i negoziati, anche se naturalmente ha tutto l’interesse a capire come andrà a finire.

    Israele si tiene da parte con discrezione sulla questione della guerra siriana. Non ha chiesto di partecipare alla Conferenza di pace di Ginevra 2 – appena finita senza alcun risultato, come previsto  – per timore che la sua presenza avrebbe polarizzato i negoziati, anche se naturalmente ha tutto l’interesse a capire come andrà a finire. Si limita a compiere bombardamenti aerei di routine in Siria per bloccare il trasferimento di armi sofisticate dall’esercito del presidente Bashar el Assad ai depositi del gruppo libanese Hezbollah, ma con molta discrezione. L’ultimo raid è forse avvenuto domenica scorsa, ma non è nemmeno comparso nei notiziari.

    Questa pretesa di neutralità sta finendo anche a terra, sempre con discrezione. Israele sta stringendo contatti con i gruppi ribelli che combattono il governo di Assad sulle alture del Golan, lungo il confine sud della Siria, e che sono distanti dalle due grandi fazioni pro al Qaida, Jabhat al Nusra e lo Stato islamico. L’analista Ehud Yaari scrive sul sito del think tank americano Washington Institute che quello che è cominciato come un passo puramente umanitario – prestare soccorso medico d’emergenza ai siriani nei villaggi appena al di là dei reticolati – s’è trasformato in un meccanismo di collaborazione ben rodato che fa passare aiuti ingenti, dal carburante al cibo ai vestiti alle stufe ai medicinali attraverso una delle frontiere più militarizzate del mondo. Grazie a un accordo tra ribelli e israeliani, 600 siriani feriti sono stati finora curati negli ospedali israeliani, incluso uno militare da campo allestito sul Golan. Il che indica una collaborazione a pieno regime.

    L’analista Yaari nota che l’approccio assomiglia alla “Barriera buona” stabilita al confine con il Libano durante la guerra civile a metà degli anni Settanta. Le milizie siriane locali ora antigovernative sono considerate potenzialmente utili a diventare un fronte contro l’avanzata dei qaidisti verso Israele, su un settore molto ampio che corre dalle alture del Golan alla città di Daraa – dove la rivolta scoppiò nel marzo 2011 – fino alla periferia di Damasco. A differenza che in altre parti della Siria, i gruppi più radicali non hanno fatto (per ora) presa nella guerra che si combatte a sud.

    Per esempio, le milizie sul confine meridionale sono spesso guidate dai civili locali più anziani, invece che da comandanti militari. Molte di loro sono pronte a considerare Israele come un alleato temporaneo, e rassicurate anche dal fatto che i jet e gli elicotteri di Assad non fanno missioni di bombardamento così vicino al confine, per non far scattare le difese israeliane, danno battaglia alle brigate assadiste con basi nella zona (la 61 e la 90).

    La settimana scorsa Associated Press ha partecipato a un interessante briefing a porte chiuse dell’intelligence israeliana, in cui è stato detto che Israele potrebbe abbandonare la sua posizione di neutralità nella guerra siriana, perché la minaccia dei gruppi sunniti radicali anti Assad sta diventando troppo forte: Jabhat al Nusra e lo Stato islamico dispongono di circa trentamila uomini, un numero molto più alto di quanto creduto finora (due anni fa la stima non superava i duemila uomini ed è un dato che dovrebbe far riflettere chi sostiene che l’aiuto internazionale contro Assad favorirebbe al Qaida: il non-aiuto non funziona). L’intelligence e i militari israeliani stanno discutendo se agire con più forza contro i jihadisti – e intanto fra questi è in voga mettere online dichiarazioni di sostegno al capo del jihad in medio oriente, Abu Bakr al Baghdadi, su fogli fotografati in scorci caratteristici di Gerusalemme come a dire: “Siamo già qui”.

    Mentre il fronte nord vede da un mese una violenta guerra-dentro-la-guerra tra lo Stato islamico e altri gruppi – soprattutto quelli riuniti nel Fronte islamico – il fronte sud è quello che ancora di più somiglia alla situazione originale del 2011: ribelli siriani contro truppe assadiste. Accanto a Israele, la Giordania smentisce l’esistenza più volte annunciata di centri di comando dove consiglieri militari occidentali e sauditi aiutano la rivoluzione, ma spesso si parla della possibile creazione di una zona cuscinetto oltreconfine all’interno della Siria. Se l’analisi è corretta, Israele ne sta già preparando una per conto suo per bloccare il rischio jihad alle porte.

    • Daniele Raineri
    • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)