Il buono e il cattivo

Denis contro il Napoli sembra Robocop. L'errore rivelatore di Reina

Sandro Bocchio

La regolarità di German Denis è impressionante. Da quattro anni ha lasciato – o, meglio – è stato lasciato dal Napoli, da quattro anni malignamente gli ricorda come forse si sia trattato di un grossolano errore. Lo fa nell'unico modo possibile a un attaccante: segnando."Non è stata una vendetta", dice ogni volta che segna al Napoli. Ma, si sa, le bugie hanno le gambe corte. Nel calcio ancora di più. Come quelle che hanno finora contraddistinto la stagione proprio del Napoli, premettendo (doverosamente) che non sono da mettere in bocca a tesserati e affini della società. Perché era stata la cosiddetta critica, quella che dovrebbe essere la più attrezzata e la più informata di tutte, a disegnare un futuro radioso ai colori azzurri.

    La regolarità di German Denis è impressionante. Da quattro anni ha lasciato – o, meglio – è stato lasciato dal Napoli, da quattro anni malignamente gli ricorda come forse si sia trattato di un grossolano errore. Lo fa nell'unico modo possibile a un attaccante: segnando. Ogni stagione, un gol. Decisivo o meno, fuori casa o meno. E ieri, giusto per non farsi mancare nulla, ha raddoppiato la dose, nel 3-0 con cui l'Atalanta ha messo a nudo i limiti stagionali della squadra azzurra. Due reti fatte di potenza, e non potrebbe essere diversamente per uno arrivato da noi con il soprannome di El Tanque. Un amore sbocciato tardi, quello tra Denis e l'Italia. Un inizio senza particolari squilli, nel gennaio del 2002: troppo giovane l'argentino, che aveva 21 anni e mezzo; sprofondato troppo in basso il Cesena, che si arrabbattava in quella che ancora si chiamava C1. Il centravanti ritrova l'Italia nel 2008, proprio grazie al Napoli, ma non la fama cui lo avevano riconsegnato i gol realizzati con l'Independiente. E' la squadra passata da poco nelle mani di Aurelio De Laurentiis ed è la squadra che ha da poco ritrovato la serie A, passando attraversi gestioni tecniche contestate e rinnegate dallo stesso presidente: Reja licenziato per fare posto a Donadoni, a sua volta cacciato per prendere Mazzarri. A Denis non serve mostrare lampi della sua capacità, come la rete a tempo scaduto contro il Milan. Una stretta di mano e un addio a fine stagione 2010, per lasciare spazio al talento da svezzare di Edinson Cavani. L'argentino non se la prende, un anno di transizione a Udine e quindi la consacrazione in quella provincia che spesso aiuta a ritrovare se stessi. Nello specifico di Denis, si chiama Bergamo e si scrive Stefano Colantuono, l'allenatore cui piacciono da matti quelli come lui: gente che le prende e la dà, sempre in silenzio, sempre pronta a sacrificarsi per il bene comune. Una comunione di intenti che giunge al punto di scommettere tutto su Denis, con un sistema di gioco che prevede la punta unica, con al massimo un trequartista alle spalle. Tanto si sa che lui, là davanti, in trasferta prenderà botte e farà salire la squadra, mentre in casa metterà il suo peso al servizio del collettivo. Come ha dovuto accorgersene ancora una volta il Napoli, forse ingannato dalle scelte e della parole recenti del tecnico nerazzurro, che contro il Torino aveva mandato il centravanti in panchina: "Deve riposarsi, non è Robocop". Sarà, ma quando incrocia le maglie azzurre pare diventarlo, continuando a ripetere: "Non è stata una vendetta". Ma, si sa, le bugie hanno le gambe corte. Nel calcio ancora di più.

    Come quelle che hanno finora contraddistinto la stagione proprio del Napoli, premettendo (doverosamente) che non sono da mettere in bocca a tesserati e affini della società. Perché era stata la cosiddetta critica, quella che dovrebbe essere la più attrezzata e la più informata di tutte, a disegnare un futuro radioso ai colori azzurri. In cui la conquista del solo scudetto sarebbe parsa come una grande delusione. E oggi il Napoli è qui a interrogarsi su una classifica che vede la Juventus lontana quindici punti e un'Europa ristretta alla sola prospettiva dell'ex Coppa Uefa, sia pure dopo aver chiuso a un'incredibile quota dodici il proprio girone di Champions. Perché queste sono le conseguenze di scelte societarie condivise dallo staff tecnico. Come quella di mettere in un angolo chi, come Paolo Cannavaro, era il leader della difesa e non solo, fino a cederlo pochi giorni fa al Sassuolo. Oppure come quella di lasciare andare via un altro elemento carismatico come Morgan De Sanctis (chiedete a Prendelli, che lo vorrebbe con sé in Brasile) per lasciare spazio a Pepe Reina, uno che aveva difeso la porta del Liverpool con buone prove ma anche con pericolose amnesie. Amnesie che si sono materializzate di colpo nel tuffo goffo con cui ha aperto la strada a Denis e all'Atalanta tutta. Dopo quell'intervento, il diluvio, con insicurezze assortite da parte di tutti, ulteriormente aumentate dalle scelte iniziali di Rafa Benitez, che aveva lasciato Higuain e Hamsik in panchina, togliendo punti di riferimento alla squadra. Probabilmente ha ragione Marta Ponsati Romero, la fidanzata di Callejon che, in un tempo in cui i tweet delle donne del calcio imperversano (sovente a sproposito), scrive che i critici di oggi hanno dimenticato in fretta. Così come probabilmente appare ingeneroso il cinguettio di Marco Materazzi, che non vedeva l'ora di prendersela con il tecnico che l'aveva giubilato all'Inter. Ma è evidente che qualcosa non stia girando per il verso giusto, come evidente è stato l'errore di Reina. E, in fondo, rivelatore.