Lasciarsi un po'

Annalena Benini

Lei è in un locale e balla, non le importa cosa. E’ con tre amiche, ma non le guarda mai. Guarda intorno invece, con gli occhi tirati stretti, si muove insieme alla musica. “Stai con qualcuno?”, le chiede un tizio avvicinandosi al suo orecchio. Lei scuote i capelli e sorride, “non più”, pensa, “non più, maledetto stronzo”, ripensa e risorride, muovendosi di più. Lo sapevamo già, quel che succede all’inizio, quando ci si lascia. Durante il dolore cattivo, il risentimento più nero, subito dopo la valle di lacrime. La scienza ha voluto mettere un timbro rassicurante, spiegarci che facciamo tutti le stesse cose.

    Lei è in un locale e balla, non le importa cosa. E’ con tre amiche, ma non le guarda mai. Guarda intorno invece, con gli occhi tirati stretti, si muove insieme alla musica. “Stai con qualcuno?”, le chiede un tizio avvicinandosi al suo orecchio. Lei scuote i capelli e sorride, “non più”, pensa, “non più, maledetto stronzo”, ripensa e risorride, muovendosi di più. Lo sapevamo già, quel che succede all’inizio, quando ci si lascia. Durante il dolore cattivo, il risentimento più nero, subito dopo la valle di lacrime. La scienza ha voluto mettere un timbro rassicurante, spiegarci che facciamo tutti le stesse cose: relazione d’emergenza, la chiama, e anche sesso di rimbalzo. Qualcosa che potrebbe farci rimbalzare indietro, fra le braccia di chi ci ha assurdamente lasciato. Oppure rimbalzare avanti, oltre i giorni dell’abbandono. I ricercatori universitari (più probabilmente ex fidanzati travestiti da scienziati) hanno monitorato il comportamento di qualche centinaio di persone passate attraverso una rottura recente, nell’ultimo anno, ha raccontato l’Atlantic: persone talmente smarrite da accettare di fare da cavie per la scienza (forse con la segreta speranza di farsi notare dall’ex fidanzato, dall’ex moglie, di ritornare interessanti ai loro occhi, o per fare sesso di rimbalzo con uno scienziato). Hanno tenuto un diario per sei mesi, con riassunti settimanali delle relazioni d’emergenza, o delle notti di vendetta, trascorse al solo scopo di ferire chi ci ha ferito (in “American Hustle” è tutto un vendicarsi e rimbalzare).

    Così, dopo avere osservato sofferenze, risvegli in letti sconosciuti e seduzioni di amici d’infanzia, questi ricercatori del Missouri hanno confermato (non certo scoperto) che reagiamo un po’ tutti allo stesso modo, e per gli stessi motivi, proprio come nei film, come nelle canzoni. La scienza dice: per far fronte alla rabbia e all’angoscia che prende quando tutto finisce. Per sentire che si è ancora capaci di lanciare uno sguardo (dicono che la parola esatta sia: autostima) e anche per spargere in giro la sofferenza che ci è piovuta addosso. Invece di controllare centoquarantamila volte al giorno il suo profilo su Facebook e i suoi tweet e i retweet, invece di chiamarlo da numero privato, invece di telefonargli minacciando il suicidio (o invece di fare tutte queste tre cose insieme), si rimbalza. E venticinque, ventotto settimane dopo la rottura (sei mesi) l’angoscia diminuisce: si scopre di poter sopravvivere. “E’ stato come cadere da un grattacielo”, ha detto Valérie Trierweiler che, se si fidasse degli studi sui comportamenti sessuali, dovrebbe tranquillizzarsi: rimbalzerà un po’, avrà relazioni di emergenza, proverà a vendicarsi e a poco a poco si sentirà meglio. Ma se davvero questi comportamenti sono così standard, così ripetitivi, se la ragazza che balla nel locale con lo sguardo rivolto altrove, negli occhi la delusione per quel che è stato e la speranza per quel che può ancora succedere, se lei è uguale alle altre, nel Missouri o dappertutto, tanto varebbe smettere di cadere dai grattacieli. C’è un enorme materasso, sotto, e altre braccia già tese per motivi scientifici. Invece è sempre diverso, anche quando è uguale, il modo in cui si cade. La ragazza che balla nel locale, scaricata dal marito per un’altra, si guarda intorno cercando una vendetta, ride e dice: adesso tocca a me divertirmi. Le amiche le danno ragione e gridano la frase odiosa: chiodo scaccia chiodo. Se le si avvicinasse uno scienziato adesso, e le spiegasse che è tutto normale, e che ci vorranno venticinque settimane, lo prenderebbe a pugni. Poi forse andrebbe via con lui, per vendetta.

    • Annalena Benini
    • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.