Vita, strategie e passioni del “rugbista” che punta Alitalia
Nel settembre del 2008 lo sceicco Mansour bin Zayed Al Nahyan ha acquistato il controllo del Manchester City con un obiettivo preciso: fare del club inglese, grazie ai quattrini di Abu Dhabi, la prima potenza calcistica mondiale. Due anni prima, sempre a settembre, lo sceicco aveva assoldato un australiano dalle spalle larghe da giocatore di rugby, James Hogan, che aveva in testa un’idea ancor più grandiosa: fare di Etihad, la compagnia di Abu Dhabi fondata tre anni prima, la prima compagnia aerea del mondo.
Nel settembre del 2008 lo sceicco Mansour bin Zayed Al Nahyan ha acquistato il controllo del Manchester City con un obiettivo preciso: fare del club inglese, grazie ai quattrini di Abu Dhabi, la prima potenza calcistica mondiale. Due anni prima, sempre a settembre, lo sceicco aveva assoldato un australiano dalle spalle larghe da giocatore di rugby, James Hogan, che aveva in testa un’idea ancor più grandiosa: fare di Etihad, la compagnia di Abu Dhabi fondata tre anni prima, la prima compagnia aerea del mondo. Senza andare in rosso per giunta. La sfida è ancora aperta. Ma quel che è sicuro è che Hogan, in trattativa per diventare primo socio forte dell’Alitalia, fin dal suo arrivo ha seminato il panico tra i concorrenti, come la tedesca Lufthansa che ieri ha chiesto alla Commissione europea di fermare l’accordo tra Etihad e Alitalia in quanto aiuto di stato, sebbene uno stato extraeuropeo. Ma Hogan non aveva alcuna intenzione di elemosinare un posto nelle varie alleanze tra i grandi dei cieli: la compagnia dello sceicco si sarebbe fatta strada a suon di shopping, comprando azioni o prestando quattrini di compagnie in cattive acque con l’obiettivo di creare un grande team capace di “alimentare”, a suon di clienti, gli aerei dell’ammiraglia. La strategia, finora, ha funzionato. Etihad ha fatto shopping in tre continenti: ha acquistato il 26 per cento dell’indiana Jet Airways (600 milioni di dollari), il 17,4 di Virgin Australia, più il 29 di Air Berlin (105 milioni più 225 di prestiti) e il 40 per cento di Air Seychelles.
E ancora il 49 per cento di Air Serbia (100 milioni), un terzo del capitale dell’elvetica Darwin Airlines più una piccola quota (per ora) dell’irlandese Air Lingus. Il risultato? Negli ultimi due anni, Etihad ha aumentato i passeggeri del 42 per cento, per un totale di 12 milioni di persone in viaggio verso 94 destinazioni di 45 paesi. Abu Dhabi – è l’intuizione di Hogan – è a metà strada tra Sydney e New York se si passa per l’Europa. Il Vecchio continente è perciò l’oasi ideale per chi vola da est a ovest. E le compagnie satelliti possono fornire passeggeri alla carovana madre. Insomma, gli altri perdono terreno, Etihad avanza e, per giunta, guadagna: pareggio nel 2010, 14 milioni di profitto l’anno dopo, 42 milioni nel 2012. Una strategia da calciomercato inedita nei cieli, dove i concorrenti tagliano i costi e fanno e rifanno i conti sul carburante e mettono sotto accusa la “concorrenza sleale” della compagnia del Golfo che non solo può contare sul portafoglio dell’Emirato ma ha dalla sua un terminal ideale (a costi stracciati), non paga in pratica tasse e può adottare la politica dei salari che vuole, senza alcun vincolo sindacale. Hogan, australiano nel fisico e nello spirito che si definisce “fanatico dello sport”, non si scompone di fronte alle accuse di poter contare su fondi illimitati: i capitali arrivano da 61 banche che hanno prestato sette miliardi in tutto a Mr. Hogan. Per carità, grazie alle garanzie dello sceicco, che non ha però dovuto versare un solo dirham d’interesse a favore della compagnia gestita da un coach di ferro. “Il business è come lo sport – ha dichiarato all’inglese Times – l’importante è vincere. Perciò la ricetta è una: allena la squadra al massimo e i risultati arriveranno”. Ma naturalmente ci vogliono i giocatori giusti. “Noi non compriamo tanto per comprare – ruggisce – ma solo se vediamo vantaggi nel medio termine. Sono necessari tre requisiti: compagnie che rafforzino la nostra rete; possibilità di rilancio con il taglio dei costi. E, non meno importante, un buon management”. Badando bene a non farsi invischiare in possibili problemi delle partecipate e senza limitarsi a succhiare sangue ai gregari.
Etihad, dice Hogan, può consentire investimenti altrimenti impossibili, come l’acquisto dei Boeing Dreamliner da parte di Air Berlin già in odore di default. Oppure offrire uno sbocco professionale ai piloti in esubero. E i partner, intanto, possono aspirare anche ad attingere ad alcune “meraviglie” della compagnia, al top del servizio per i passeggeri vip e non: un’offerta di entertainment (giochi, informazioni, film) sui voli, la scuola di formazione per il personale di bordo. In futuro, chissà, anche il know how necessario per fornire cibi freschi durante i voli o i mobili poltrona Frau, in omaggio ai rapporti con Luca di Montezemolo e la Ferrari, di cui Abu Dhabi è azionista. Ma nessuno s’illuda che Hogan, uno che viene dalla gavetta, voglia fare beneficenza.
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