Garantiti dai Dante bond
Il Ft sbertuccia l'economia poetica della Corte dei Conti
Il procuratore della Corte dei Conti del Lazio accusa le agenzie Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch di avere abbassato impropriamente il rating del debito pubblico dell’Italia nel maggio, nel luglio, nel dicembre del 2011 e nel gennaio del 2012 con l’argomento secondo il quale si sarebbero (forse volutamente) sbagliate, perché “avrebbero sottovalutato l’alto valore del patrimonio storico, culturale e artistico del nostro paese universalmente riconosciuto rappresenta la base della sua forza economica”.
Il procuratore della Corte dei Conti del Lazio accusa le agenzie Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch di avere abbassato impropriamente il rating del debito pubblico dell’Italia nel maggio, nel luglio, nel dicembre del 2011 e nel gennaio del 2012 con l’argomento secondo il quale si sarebbero (forse volutamente) sbagliate, perché “avrebbero sottovalutato l’alto valore del patrimonio storico, culturale e artistico del nostro paese universalmente riconosciuto rappresenta la base della sua forza economica”. Ciò ha puntualmente suscitato i sarcasmi del Financial Times, sempre alla ricerca di argomenti per screditarci come paese d’operetta. ll patrimonio culturale non è un bene pubblico, ma un bene comune, che fa parte del capitale immateriale nazionale e non è cedibile né utilizzabile come collaterale a garanzia del debito. Vogliamo garantire i Btp con l’Inferno di Dante o l’Infinito di Leopardi? Quanto al nostro patrimonio storico e artistico pubblico, esso non è stato stimato nominativamente o per classi, nei lavori di Edoardo Reviglio per il ministero dell’Economia, per mancanza di dati ad hoc. E le agenzie di rating non possono tenerne conto. Così la Corte dei Conti laziale se la dovrebbe prendere, semmai, con i ministeri competenti. Ma è ovvio che i beni pubblici che possono garantire concretamente il nostro debito sono altri. E con quale modalità il magistrato determina il nesso causale fra l’abbassamento di rating e il danno – ipoteticamente stimato in 234 miliardi di euro – che all’Italia ne sarebbe derivato? A suo parere quei declassamenti ingiustificati di rating avrebbero generato non solo la caduta del governo Berlusconi, per altro dovuta, come si sa, soprattutto al fatto che il presidente della Repubblica non volle firmare il cosiddetto decreto sviluppo. E prima del ribasso del rating era aumentato lo spread sul nostro debito pubblico in modo anomalo: da un lato l’allora governatore della Banca centrale europea Jean-Claude Trichet, non aveva rassicurato i mercati sul fatto che l’euro non sarebbe caduto, cosa che il suo successore Mario Draghi ha poi fatto. Dall’altro lato, Deutsche Bank aveva venduto una grande quantità di titoli del debito italiano, con una mossa opinabilissima.
La caduta del governo Berlusconi non dipese, dunque, dalle screditate agenzie di rating. Ed è debolissima la tesi secondo cui il downgrade del nostro debito da parte di S&P’s, Moody’s e Fitch avrebbe costretto il governo di Mario Monti a prendere misure maggiori del necessario, argomento con cui la procura della Corte dei Conti del Lazio pensa di irrobustire la sua indagine, che può preludere a una richiesta di danni. Monti ha sbagliato la sua manovra di finanza pubblica.
L’ex presidente del Consiglio ha soprattutto fatto male i calcoli sul peso dell’Imu, che doveva dare 11 miliardi di nuovo gettito, ma ne ha dati 14: il 27 per cento in più. Monti ha poi aumentato le imposte invece che ridurre le spese. E così ha causato una depressione del pil maggiore di quanto avesse previsto.
I sindacati, la Cgil in testa, hanno preteso che non si escludessero i licenziamenti disciplinari dalla protezione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. E il Partito democratico ha costretto Monti a non fare la riforma del mercato del lavoro richiesta dalla Bce, né quella immaginata dall’ex ministro Elsa Fornero e tanto meno quella richiesta dall’ad di Fiat, Sergio Marchionne. Che senso ha sostenere che Monti è stato costretto dalle agenzie di rating a fare questi errori? Forse che il presidente del Consiglio e il ministro dell’Economia non sono capaci di valutare da sé la finanza pubblica e la politica economica? Dovevano rispondere a richieste di Bruxelless e della Bce o a quelle delle agenzie di rating? La Corte dei Conti, poi, a essere puntuali, può chiedere solo i danni per l’erario che possono consistere in perdite di valore dei titoli del nostro debito e in rincaro dei costi di emissione del nuovo debito pubblico. Qui ha titolo per agire. E’ più complicato, ma di questo si dovrebbe occupare, affiancando la procura di Trani che ha in corso un processo contro le agenzie di rating per turbativa dei mercati.
“Ofelè fa el to mesté” – “pasticcere, fa il tuo mestiere”. Traduco dal dialetto pavese, che ho imparato quando ero al Collegio Ghislieri per studiare all’università e diventare l’assistente del professor Griziotti alla celebre cattedra, presso cui si era formato anche Ezio Vanoni, di cui seguivo le orme.
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