Suspense alla Bce

Draghi attendista riesce a non deludere i mercati

Ugo Bertone

“La situazione è ‘complessa’ così complessa da convincerci a non prendere provvedimenti questo mese”. I tassi di interesse “resteranno ai livelli attuali o più bassi per un periodo prolungato di tempo” perché la ripresa è “modesta”, anzi “fragile e non omogenea e parte da livelli molto bassi”. Ma questo non rende necessaria un’azione immediata. Solo un banchiere con il carisma di Mario Draghi può permettersi di deludere il mondo finanziario, che è in attesa di decisioni per contrastare il rischio deflazione, senza pagare un prezzo sul fronte dei mercati.

    “La situazione è ‘complessa’ così complessa da convincerci a non prendere provvedimenti questo mese”. I tassi di interesse “resteranno ai livelli attuali o più bassi per un periodo prolungato di tempo” perché la ripresa è “modesta”, anzi “fragile e non omogenea e parte da livelli molto bassi”. Ma questo non rende necessaria un’azione immediata. Solo un banchiere con il carisma di Mario Draghi può permettersi di deludere il mondo finanziario, che è in attesa di decisioni per contrastare il rischio deflazione, senza pagare un prezzo sul fronte dei mercati. Certo, com’era inevitabile, non sono mancati i contraccolpi sull’euro, in ripresa sul dollaro, o – più robusti – sul rendimento del Bund tedesco, salito di cinque punti base. Ma senza drammi: le Borse, tonificate dai dati in arrivo dall’America, hanno tenuto. Lo spread non si è allargato, a dimostrazione che la fiducia nella “periferia” d’Europa (di cui fa parte, per gli gnomi della City, anche l’Italia ricca di opere d’arte…) è solida. Ancora una volta il presidente della Bce si è rivelato un abile comunicatore, ben consapevole del fatto che i mercati amano le suggestioni più delle notizie. E così, per spiegare il rinvio, Draghi ha detto che “non abbiamo agito perché non disponevamo di informazioni a sufficienza”, quelle che arriveranno entro il prossimo meeting, fissato per il 6 marzo, quando i membri del direttorio avranno a disposizione sul monitor le previsioni sul trend delle economie fino al 2016.

    Nel linguaggio dei mercati, le parole di Draghi sono state tradotte così: la Banca centrale, “‘pronta ad azioni decisive se necessario’, si metterà in moto a marzo”. Come, per la verità, non si sa, ma i toni da colomba fanno capire che il banchiere è pronto a fare “whatever it takes” (tutto il necessario) per scacciare il rischio deflazione, qualora la situazione peggiorasse. Anche con un calo dei tassi, sebbene il presidente della Bce faccia notare che l’ultimo taglio non ha prodotto effetti in Italia e in Francia. Che fare dunque? Draghi non conferma e non smentisce nulla, nemmeno l’eventuale sterilizzazione della liquidità in eccesso generata dal programma Smp, ovvero lo stop al provvedimento imposto a suo tempo dalla Bundesbank per evitare che gli acquisti di titoli di stato dei paesi deboli generassero inflazione. “E’ uno degli strumenti cui la Bce sta guardando”, ha detto Draghi in conferenza stampa aggiungendo che “i comitati preposti della Bce hanno studiato tutte queste misure, in modo che nel momento in cui ci trovassimo a decidere se attivarle saremmo pronti a farlo. Ma quali misure attiveremo dipenderà dalle contingenze che dovremo affrontare”. Insomma, Draghi non solo non svela le sue carte ma, al contrario di quanto sostengono molti economisti non vede il rischio deflazione.

    Le grane bancarie italiane sotto scrutinio
    Certo, “ci sarà sicuramente inflazione debole, bassa per un periodo di tempo esteso e protratto, ma non deflazione” ha sottolineato ieri in più occasioni. La stagnazione dei prezzi, scesi a gennaio allo 0,7 per cento (ma sotto zero in Grecia e Portogallo, praticamente invariati in Spagna), dipende da fattori stagionali, a partire dal basso costo dell’energia più che dal tracollo dei consumi e della fiducia delle famiglie. Non è l’opinione di Olivier Blanchard, capo economista del Fondo monetario: “Non esiste un numero magico – dice – che segna l’avvio della deflazione. Ma quel che è certo è che se si supera quel confine, la ripresa diventerebbe molto, molto problematica”. Ma è senz’altro l’opinione di Jens Weidmann, il presidente della Bundesbank, che teme e osteggia qualsiasi provvedimento espansivo.
    E Mario Draghi, di questi tempi, ha davvero poca voglia di sfidare la BuBa, per almeno due ragioni: evitare qualsiasi conflitto in attesa del verdetto sul piano “salva euro” da parte della Corte federale di Karlsruhe. Ancor più importante, non creare tensioni mentre è in corso l’Asset Quality Review sulle banche Ue, tra cui quindici istituti italiani che le autorità tedesche sono pronte a guardare al microscopio. La vera partita si gioca su quel fronte, più che sui tassi. E non è difficile intuire che al presidente, come a Ignazio Visco, piaccia la nascita delle bad bank di Intesa, Unicredit e quella che Mediobanca sta preparando per Monte Paschi di Siena e Popolari.