A ogni negoziato, Bashar esce sempre più in vantaggio: dal gas nervino a Homs
Sam Dagher è un reporter del Wall Street Journal e giovedì scorso è andato nella città siriana di Homs a raccontare l’inizio dell’evacuazione dei civili intrappolati nel Quartiere vecchio sotto gli occhi di una squadra delle Nazioni Unite. A Homs si vive una delle situazioni più dure della guerra: due aree popolate sono fuori dal controllo dell’esercito del presidente Bashar el Assad e respingono con successo ogni attacco militare; per questo sono in stato di assedio dal giugno 2013, gli abitanti non possono attraversare la terra di nessuno fra i palazzi sventrati e fuggire dalle loro case, sottoposte ogni giorno al fuoco dell’artiglieria, e dall’esterno non può arrivare nulla, cibo e medicinali compresi.
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Sam Dagher è un reporter del Wall Street Journal e giovedì scorso è andato nella città siriana di Homs a raccontare l’inizio dell’evacuazione dei civili intrappolati nel Quartiere vecchio sotto gli occhi di una squadra delle Nazioni Unite. A Homs si vive una delle situazioni più dure della guerra: due aree popolate sono fuori dal controllo dell’esercito del presidente Bashar el Assad e respingono con successo ogni attacco militare; per questo sono in stato di assedio dal giugno 2013, gli abitanti non possono attraversare la terra di nessuno fra i palazzi sventrati e fuggire dalle loro case, sottoposte ogni giorno al fuoco dell’artiglieria, e dall’esterno non può arrivare nulla, cibo e medicinali compresi. L’esercito di Assad ha sigillato la zona, bombarda e aspetta l’inevitabile. Dopo otto mesi la situazione umanitaria disperata di Homs è diventata uno dei primi capitoli affrontati ai negoziati di pace di Ginevra 2, che sono appena ricominciati: far arrivare un convoglio per portare provviste dentro i quartieri e l’evacuazione dei civili, fra cui donne, vecchi e bambini, in questi giorni è il primo intervento compiuto dalle Nazioni Unite in quasi tre anni di guerra. Gli altri abitanti, quelli nei quartieri di Homs appena al di fuori dalla zona assediata, sono alawiti, che è la religione dei lealisti di Assad, e vedono questo tentativo di aiutare gli intrappolati come un’ingerenza inaudita dall’esterno a favore dei “terroristi” che combattono contro i militari e che secondo le loro accuse hanno rapito centinaia di persone, soprattutto soldati, per trascinarle dentro la zona assediata e usarle come scudi umani. Un’altra complicazione è data dal fatto che nella zona le operazioni militari e di sicurezza non sono più affidate all’esercito, che risponde direttamente al comando di Damasco (130 km di autostrada più a sud), ma alla locale Forza di difesa nazionale, una milizia creata con civili armati per sopperire alla mancanza di truppe.
Gli uomini della Forza di Difesa nazionale sono meno disciplinati e più rabbiosi dei soldati: hanno preso un’iniziativa non autorizzata e hanno sparato colpi di mortaio contro le jeep delle Nazioni Unite che sono entrate a incontrare i civili in un’area stabilita per l’inizio dell’evacuazione. I proiettili sono caduti a pochi passi dai mezzi, hanno raccontato gli uomini dell’Onu, e alcuni civili sono morti. L’opposizione siriana non è la sola ad avere il problema di controllare quello che avviene sul campo, succede anche al governo, evidentemente. Quando il convoglio è uscito dal quartiere assediato portava i segni degli attacchi, fori di proiettili e di schegge. “E’ stata una giornata all’inferno”, ha detto il capo della missione, che però non ha voluto specificare ufficialmente chi aveva sparato, sempre per proteggere i negoziati (lo ha fatto per lui un suo uomo, che ha parlato in forma anonima).
Il problema più importante in questa missione di salvataggio è la sorte dei maschi con età compresa tra i 15 e i 64 anni, considerati in età militare e quindi ribelli. Alcuni di loro hanno accompagnato le donne e i bambini fuori dalla zona assediata e sono stati arrestati dalla milizia del governo, che non vedeva l’ora di prenderli. Quando gli assadisti si sono gettati sui presunti ribelli il governatore di Homs che era presente li ha bloccati, queste sono le Nazioni Unite!, ha detto, ben conscio del pericolo per le trattative in Svizzera. Alla fine almeno duecento persone tra quelle che si sono arrese per fame sono state arrestate e portate in un luogo separato dalle famiglie. La resa dei “combattenti” è considerata l’unico prezzo che può compensare il fatto che le Nazioni Unite stanno infine nutrendo gli abitanti delle zone ribelli, agli occhi della parte assadista di Homs. Fosse stato per loro, dicono ai reporter, l’assedio sarebbe dovuto durare fino alle conseguenze estreme – e non è detto che non avvenga, perché i Caschi blu finora sono stati ostacolati e non hanno portato che poche provviste e medicinali. Le scene dei civili emaciati che escono dal Quartiere vecchio in fila con pochi fagotti superando i resti di barricate, tra palazzi devastati dalla guerra, non sono mai arrivate nelle aperture dei notiziari tv.
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Il governo del presidente Bashar el Assad sta riuscendo a trarre enormi vantaggi da tutti i negoziati a cui prende parte. La resa per fame delle zone abitate da migliaia di civili a Homs e a Damasco è diventata legittimo argomento di negoziato, perché la morte per fame di tutti gli abitanti assediati è una possibilità come un’altra, già accettata, concreta e non suscita alcuna reazione internazionale. Il patto sul disarmo chimico fatto a settembre con l’Amministrazione Obama e la sponsorizzazione dei russi sta diventando una farsa: le scadenze non sono state rispettate, soltanto il 4 per cento dell’arsenale è stato caricato effettivamente sulle navi e il governo siriano vuole equipaggiamento militare per consegnare il resto. Il risultato pratico del patto è stato questo: Assad ha trasferito tutte le armi chimiche verso la zona costiera, che è quella a lui più fedele, dove da tempo si dice potrebbe organizzare l’ultima resistenza contro la ribellione. E ha fatto tutto il trasferimento senza mai essere esposto a raid aerei – per esempio da Israele – ma anzi, con il plauso internazionale. Senza l’accordo, avrebbe dovuto fare tutto di nascosto e con il timore di essere vulnerabile agli attacchi di chi vuole privarlo delle sue armi di distruzione di massa. A Homs sta accadendo lo stesso: un’operazione umanitaria delle Nazioni Unite finisce per coprire l’arresto di massa di civili in età militare che avevano come unica altra possibilità quella di morire a migliaia, assieme, per la fame. Il presidente americano, Barack Obama, ieri ha detto che “non c’è una soluzione militare e che continua ad appoggiare una conclusione negoziata a Ginevra”.
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