Contro la smemoratezza 2.0

Alfonso Berardinelli

Sull’ultimo numero di Vita e Pensiero (giugno 2013) non posso fare a meno di leggere l’articolo di Michel Serres intitolato “Un nuovo Rinascimento dalle nuove tecnologie”. Le tecnologie informatiche e telematiche sono la mia testa di turco, o meglio i miei mulini a vento. Non sono nemici da combattere. Hanno vinto in partenza e vinceranno anche sulla mente umana che ha creduto di crearle per “farne uso”, per metterle al proprio servizio.

    Sull’ultimo numero di Vita e Pensiero (giugno 2013) non posso fare a meno di leggere l’articolo di Michel Serres intitolato “Un nuovo Rinascimento dalle nuove tecnologie”. Le tecnologie informatiche e telematiche sono la mia testa di turco, o meglio i miei mulini a vento. Non sono nemici da combattere. Hanno vinto in partenza e vinceranno anche sulla mente umana che ha creduto di crearle per “farne uso”, per metterle al proprio servizio. Qualche favola antica l’ho letta e credo più nelle favole di una volta che nelle attuali favole neotecnologiche. Volentieri e senza scopo le maledico.

    Il muscoloso gigante tecnologico che abbiamo inventato per essere ubiqui, onniscienti e più veloci della luce, ha già cominciato a giocare con noi come gatto e topo. Non siamo i suoi padroni, siamo i suoi schiavi. E lo saremo anche di più quando non lo capiremo più: quando almeno mezzo cervello e diverse “tradizionali” funzioni cerebrali, ritenute per secoli preziose, saranno state monopolizzate da quella dolce merce che va a ruba da quando esiste, che serve a tutto e a tutti ed è più democratica e autocratica insieme di ogni potere politico precedentemente noto.

    Michel Serres sarà anche (lo è) un accademico di Francia e uno dei più noti filosofi ed epistemologi viventi, come si apprende dalla nota editoriale.  Aprendo il dizionario Garzanti di filosofia imparo inoltre quanto segue: “Di formazione scientifico-matematica, Serres ha proposto una ripresa del progetto positivistico nel quadro dello strutturalismo”.  Il suo razionalismo si ispira non a Cartesio ma a Leibniz e “si occupa delle relazioni formali che organizzano i diversi ambiti del sapere”.  Si è quindi occupato di molte cose eterogenee, scienza e fantascienza, estetica e ambiente, Jules Verne, Zola e Lucrezio. Infine “ha soprattutto esplorato l’affermarsi di un nuovo tipo umano e del processo che sta trasformando l’essere al mondo dell’individuo per effetto del ruolo crescente della comunicazione (secondo il modello delle reti) e del cambiamento radicale del rapporto con la morte, con il tempo, e con l’ambiente”.

    Ho l’impressione che dati i suoi interessi, i suoi strumenti e il suo ruolo, Serres fosse predestinato al profetismo millenaristico su base neotecnologica. La cosa che osserverei è comunque che per poter annunciare il luminoso futuro di un nuovo Rinascimento, i profeti di questo genere in realtà si rivolgono al passato notando univocamente una sola cosa: la storia è stata una marcia trionfale,  non ha fatto che renderci migliori e più felici moltiplicando i nostri poteri: più accumulo di dati, più informazione, più sapere disponibile e adoperabile a piacere, il più velocemente possibile, per scopi non meglio precisati.

    Ancora una volta e fino alla noia, l’apologia dei mezzi nasconde l’imprecisione dei fini. Ci si concentra sul gigantismo delle tecniche, come se fossero in se stesse cultura, o come se la cultura da loro creata non fosse l’espressione di una società di massa che non è esattamente la stessa cosa di una società liberal-democratica (su questo non si finirà mai di discutere).Viene annunciato un nuovo Rinascimento, ma  gli si attribuiscono caratteristiche molto diverse dal Rinascimento passato. Leon Battista Alberti e Giordano Bruno scaricherebbero volentieri la propria memoria in una memoria artificiale?
    Vanno di moda recentemente le parole “eccellenza” “merito” e “qualità”. Ma alla fine ci si inginocchia davanti alla quantità: se tutti comunicano tecnicamente con una frequenza e una velocità mai viste, questo semplice fatto sarebbe garanzia di superiore cultura.

    E’ vero, dice Serres, che  “la comunicazione caratterizza il vivente come sistema aperto”, ma se io, tu, voi, loro, viventi, passiamo, in quanto sistemi aperti, venti ore su ventiquattro tra cellulare, computer, tablet, videogiochi, avremo in premio forse più un classico “esaurimento nervoso” che non il potenziamento dei nostri poteri mentali.

    In più, come sempre, questi  nuovi profeti giocano con la terminologia mistica. Ci invitano a compiere un audace salto nel vuoto, a entrare nel nirvana tecnico. Dobbiamo perdere noi stessi per conquistare davvero noi stessi! Dobbiamo svuotare la testa per renderla davvero creativa. Chi non ricorda niente di testa sua, sarà in compenso totalmente creativo: “Il nostro apparato cognitivo” dice Serres “si libera anche di tutti i possibili ricordi per lasciare spazio all’invenzione”.

    E infine l’apologo. L’intera umanità vivrà collettivamente il miracolo di san Dionigi. Quando “gli mozzarono la testa e quella cadde a terra, lui si chinò, decapitato, per raccoglierla, poi la tenne un momento tra le braccia sollevate (…)  Quale santità permise a Dionigi decollato di riprendere la sua testa a terra?”. L’epistemologo Serres ci spiega che la nostra testa futura, staccata da noi, sarà “il computer e la sua immensa memoria, il suo schermo, la sua potente rapidità di calcolo, la sua fulminea classificazione dei dati”. Senza testa saremo più liberamente e intelligentemente creativi, “tutti dei san Dionigi” per un nuovo Rinascimento dal volto ignoto.

    Serres deve essere un simpatico burlone. Sento però nelle sue parole un sospetto odore di zolfo. Forse un diavoletto gli ha consigliato di sperimentare in chiave fantascientifica il martirio e il miracolo di san Dionigi. Ma non so quale neuroscienziato potrà garantirci che eliminando e delegando alla macchina sempre più funzioni cerebrali il nostro cervello migliorerà invece di peggiorare: dove finiranno la memoria, madre di tutte le muse, la volontà, che fa compiere le scelte, la sensorialità, che mette in rapporto con l’ambiente fisico, la manualità, che caratterizzò l’homo habilis, l’orientamento nello spazio ecc…?

    Per fortuna leggo nello stesso fascicolo di Vita e Pensiero quello che dicono scienziati come Ugo Amaldi e Peter W. Higgs, colui  che intuì l’esistenza di una particella oggi nota come “bosone di Higgs”. Trovo nei loro discorsi quella prudente sobrietà che caratterizza i migliori scienziati e che a volte è carente nei filosofi della scienza.