Partita finale in cristalleria

La ghigliottina di Renzi per tagliare la testa al governo e il Quid a Letta

Claudio Cerasa

Nella cristalleria democratica descritta ieri da Enrico Letta durante il discorso con cui il presidente del Consiglio ha offerto agli alleati il suo nuovo e forse ultimo piano di governo, la parte dell’elefante non l’ha fatta Matteo Renzi ma l’ha fatta inaspettatamente l’attuale inquilino di Palazzo Chigi. Letta, con una zampata, ha gettato il quid oltre l’ostacolo, ha spiegato con toni seri, rigidi, tosti e persino spiritosi – sono zen, io – le sue idee per continuare a dare ossigeno a questo governo e non c’è dubbio che la giornata di ieri, per quanto surreale, consegni comunque un punto al presidente del Consiglio.

Merlo Cavaliere al balcone

    Nella cristalleria democratica descritta ieri da Enrico Letta durante il discorso con cui il presidente del Consiglio ha offerto agli alleati il suo nuovo e forse ultimo piano di governo, la parte dell’elefante non l’ha fatta Matteo Renzi ma l’ha fatta inaspettatamente l’attuale inquilino di Palazzo Chigi. Letta, con una zampata, ha gettato il quid oltre l’ostacolo, ha spiegato con toni seri, rigidi, tosti e persino spiritosi – sono zen, io – le sue idee per continuare a dare ossigeno a questo governo e non c’è dubbio che la giornata di ieri, per quanto surreale, consegni comunque un punto al presidente del Consiglio. Il messaggio offerto ieri da Letta, e che dovrà essere decifrato oggi durante la direzione del Pd, è chiaro: io sono arrivato fin qui affrontando mille ostacoli, non ho intenzione di presentare le mie dimissioni per qualche maledetto retroscena, vi ricordo che ho contribuito a migliorare le condizioni di questo paese, che ho ancora molte proposte per continuare a lavorare seguendo il mio percorso e se qualcuno vuole prendere il mio posto deve dire chiaramente cosa vuole fare, perché lo vuole fare e soprattutto dove vuole andare, e se qualcuno insomma vuole fare questa operazione, beh, si ricordi che per buttare giù il governo bisogna farlo “mostrando un’evidenza istituzionale”.

    Letta dunque resiste, resiste, resiste:  disinnesca con una zampata il piano A di Renzi – costringere il presidente a dimettersi prima della direzione del Pd – e con la sua mossa mette il segretario nella condizione di dover fare una contromossa che non avrebbe voluto fare: sfiduciare Enrico. Già, ma come? Il sindaco, ieri mattina a colloquio per un’ora con Letta a Palazzo Chigi, ha osservato con stupore la reazione del presidente del Consiglio e sperava che a un certo punto l’ex vicesegretario del Pd si rendesse conto che andare avanti così – con una maggioranza che si sgretola (anche Alfano ieri non ha escluso un governo Renzi), con un partito (quello di Renzi e di Letta) che di fatto non sostiene più Letta e con un presidente della Repubblica che insiste nel dire che il problema del governo esiste ma è il Pd – è impossibile per Enrico. Renzi reagirà? Reagirà, sì, e lo farà seguendo questo schema. Che presenta due incognite ma che dovrebbe funzionare.

    Lo schema di Renzi prevede un percorso che avrà come snodo centrale l’appuntamento di oggi pomeriggio a Largo del Nazareno, dove il Pd si riunirà in direzione e dove il segretario, intorno alle 15, avvicinerà il Quid di Enrico Letta alla ghigliottina e si vedrà costretto a chiedere al partito di votare la decapitazione del governo. Renzi lo farà presentando un contro programma di legislatura (obiettivo 2018 che ieri Letta non ha potuto promettere e che oggettivamente è un traguardo accattivante per tutti quei parlamentari che fino a qualche giorno fa si erano rassegnati all’idea di dover votare entro pochi mesi), lo farà chiedendo espressamente al Pd di promuovere una discontinuità a Palazzo Chigi e alla fine del discorso metterà ai voti la sua relazione, e proverà a far ruzzolare il Quid di Enrico per le scale del Nazareno. Basterà?

    Stando alle parole utilizzate ieri dal presidente del Consiglio la partita in realtà potrebbe essere ancora lunga. Letta ha infatti lasciato intendere con un’espressione obliqua, sottile, che la fine del governo deve essere certificata non dai giochini di Palazzo ma da un’evidenza istituzionale. E con questa espressione l’ex vicesegretario del Pd (sostenuto nel suo tentativo di resistere ormai solo dall’ex segretario del Pd Pier Luigi Bersani) intende quello che i renziani sanno di non potersi permettere: votare una sfiducia alla Camera. La mossa del presidente del Consiglio ha una sua logica e l’obiettivo di Letta – ormai è anche una questione di orgoglio, non solo più di politica – è fare uscire allo scoperto Renzi e i suoi alleati, “i traditori”, per guardarli negli occhi e metterli di fronte all’evidenza: ragazzi, state tagliando la gola a uno dei vostri. La resistenza di Letta però – anche se i renziani contano di attivare tutti i canali diplomatici possibili per costringere Enrico alle dimissioni prima della direzione di oggi, ma è molto complicato – potrebbe incontrare un ostacolo insormontabile nella figura del presidente della Repubblica. Napolitano (che secondo i renziani “ha perso lo zen”) ha detto esplicitamente che la fragilità del governo non è una questione che riguarda la maggioranza ma il Pd: e se Renzi oggi metterà in azione la sua ghigliottina e taglierà la testa del governo con la partecipazione di tutto il Partito democratico è difficile che il capo dello stato possa accettare che il presidente del Consiglio continui come se nulla fosse il suo viaggio nella cristalliera del governo. Anche perché, in quel caso, è il ragionamento di Napolitano, a farsi male con i cristalli non sarebbe soltanto il Pd ma sarebbe tutto il paese. Un ultimo ostacolo sul percorso del governo Renzi coincide con il profilo di Angelino Alfano. Una volta sfiduciato Letta il segretario del Pd sarà costretto in qualche modo a consegnarsi al leader del nuovo centrodestra e in teoria il destino della legislatura oggi potrebbe essere tra le sue mani. Che fare? Tradire Letta per far nascere un governo con un orizzonte più duraturo oppure fare il colpaccio, non dare il proprio sostegno a Renzi, premere il pulsante finish della corsa del rottamatore e andare a votare con la legge della Consulta. Ieri nel partito di Alfano si è discusso suquale strada imboccare e alla fine la linea prevalsa è quella di far salire il prezzo dell’ingresso di Ncd nel governo Renzi e poi, allargando le braccia, fare quello che oggi sembra scontato che accadrà: guardare Letta, indicargli l’uscita e premere spietatamente il pulsante finish.

    Merlo Cavaliere al balcone

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.