Sull'immigrazione l'Europa fa la dura con la Svizzera ma l'obiettivo è l'Inghilterra. Il rischio elettorale

David Carretta

Dopo aver taciuto durante tutta la campagna elettorale del referendum, l’Unione europea ha risposto con inusuale durezza al voto contro “l’immigrazione di massa” in Svizzera. Commissione e governi europei hanno congelato tutti i negoziati in corso con la Confederazione: dall’accordo sull’elettricità al nuovo assetto istituzionale che dovrebbe governare le relazioni tra Bruxelles e Berna.

    Bruxelles. Dopo aver taciuto durante tutta la campagna elettorale del referendum, l’Unione europea ha risposto con inusuale durezza al voto contro “l’immigrazione di massa” in Svizzera. Commissione e governi europei hanno congelato tutti i negoziati in corso con la Confederazione: dall’accordo sull’elettricità al nuovo assetto istituzionale che dovrebbe governare le relazioni tra Bruxelles e Berna. “Sono le prime conseguenze politiche del voto”, spiega al Foglio una fonte dell’esecutivo comunitario. Ufficialmente “la palla è nel campo della Svizzera”. Ieri il governo di Berna ha annunciato la presentazione entro la fine dell’anno di un progetto di legge per implementare il referendum. Ma nel medio-lungo periodo la rappresaglia dell’Ue potrebbe essere molto più dura. “Occorre punire la Svizzera, affinché il Regno Unito capisca”, dice un alto responsabile europeo. Nel momento in cui il premier britannico, David Cameron, reclama quote  per l’immigrazione comunitaria e promette di rinegoziare la membership di Londra, l’Ue spera di calmare i bollori antieuropei degli inglesi dando una bella lezione agli svizzeri.

    “Le quattro libertà fondamentali – circolazione di persone, merci, servizi e capitali – non si possono separare”, è il mantra di Bruxelles: introducendo quote per i lavoratori comunitari, pur essendo fuori dall’Ue, la Svizzera si autoesclude dagli altri pilastri del grande mercato interno europeo. Se, visto l’esito del referendum, entro luglio Berna non aprirà le porte ai cittadini della Croazia – il 28esimo membro dell’Ue entrato nel 2013 – Bruxelles taglierà la partecipazione della Svizzera ai programmi Horizon 2020 (ricerca) ed Erasmus plus (mobilità degli studenti). Se saranno effettivamente introdotte quote all’immigrazione intraeuropea, l’Ue è pronta a minacciare le banche svizzere. “Non è possibile accettare la separazione tra la libera circolazione delle persone e quella dei capitali”, ha detto il ministro degli Esteri greco, Evangelos Venizelos, che ha la presidenza di turno dell’Ue.

    Con Svizzera e Regno Unito, l’Ue ha adottato la solita politica: evitare di confrontarsi in modo aperto sulle grandi questioni che animano le società europee, fino a quando non esplode una crisi maggiore. Durante la campagna elettorale svizzera, la Commissione ha rifiutato di scendere nell’agone elettorale elvetico per spiegare le conseguenze di una vittoria del referendum “sull’immigrazione di massa”, a cominciare dalla “clausola ghigliottina” che farà cadere gli accordi su barriere tecniche al commercio, appalti pubblici, agricoltura, trasporti aerei, su strada e rotaia. Nel Regno Unito, anziché indossare i guantoni per difendere la libera circolazione dei lavoratori, la Commissione si è lanciata in una discussione tecnica sulla possibilità di rafforzare le norme per evitare il turismo del welfare sociale.

    L’Europa fa così fin dal referendum del 2005 sul Trattato costituzionale in Francia. Allora fu il timore dell’invasione dell’idraulico polacco – mai avvenuta – a interrompere i sogni europei. Da allora, sull’immigrazione, l’Ue ha adottato un approccio tecnocratico di basso profilo che ha impedito un serio dibattito a livello europeo. Nei documenti si riconosce che servono decine di milioni di immigrati per mantenere tassi di crescita decenti e uno stato sociale avanzato. Nei fatti prevale il timore di un’opinione pubblica ostile all’immigrazione anche intracomunitaria. La crisi della zona euro viene gestita allo stesso modo. Fuori microfono i commissari rivendicano il “successo” dell’austerità, che ha permesso ai rendimenti Btp italiani di scendere ai livelli del 2006 e al Portogallo di tornare sui mercati a un tasso del 5 per cento. Ma, con una disoccupazione al 12 per cento, nessuno osa rivendicare apertamente una politica sempre più contestata.

    “Non è compito della Commissione fare politica, ma l’interesse comune europeo”, riassume la fonte dell’esecutivo comunitario. Ma l’establishment europeo, che si appassiona alla successione di José Manuel Barroso, rischia un brutto risveglio il 26 maggio, con i risultati delle elezioni per l’Europarlamento. Secondo i sondaggi, l’Ukip di Nigel Farage nel Regno Unito, il Front national di Marine Le Pen in Francia, il Pvv di Geert Wilders in Olanda, la Fpo in Austria, Syriza in Grecia hanno la possibilità di vincere a livello nazionale. La loro progressione è destinata a rafforzare il consenso centrista e tecnocratico che governa Bruxelles. Ma l’effetto ultimo del consenso centrista e tecnocratico rischia di essere il declino definitivo dell’Ue.