Faccia verde

Il fallimento dell'occidente in Ucraina ha un volto di donna e il colore sbiadito di uno zombie

Paola Peduzzi

Se non ci fossero i morti, gli incendi, i carri armati, le immagini spettacolari e tragiche di una piazza che da mesi vive di accampamenti, promesse, fuochi e botte, basterebbero anche soltanto le parole. Il presidente ucraino, Viktor Yanukovich, dice che è in corso un golpe ai suoi danni, un rovesciamento di potere voluto da agenti esterni all’Ucraina, agenti occidentali.

    Se non ci fossero i morti, gli incendi, i carri armati, le immagini spettacolari e tragiche di una piazza che da mesi vive di accampamenti, promesse, fuochi e botte, basterebbero anche soltanto le parole. Il presidente ucraino, Viktor Yanukovich, dice che è in corso un golpe ai suoi danni, un rovesciamento di potere voluto da agenti esterni all’Ucraina, agenti occidentali. L’Europa che “guarda da vicino” la crisi ucraina fin da metà novembre, quando la piazza si è riempita (pacificamente: purtroppo è durato poco), sta valutando di imporre sanzioni al governo di Kiev. Un golpe in atto contro sanzioni da decidere: ancora una volta, l’occidente non ha visto, non ha guardato, ha aspettato che la faccenda si risolvesse da sé (contando sul freddo gelido); la Russia ha visto, guardato e agito. Eppure lo stupore europeo resiste: non ci aspettavamo tale e tanta violenza, bisogna negoziare per mettere fine alla guerra. Che cosa è stato fatto, finora, se non negoziare? Ci dev’essere forse un problema su quel che si negozia, su quel che l’Europa e l’occidente vogliono ottenere da una membership con l’Ucraina, e soprattutto su quel che sono disposti a pagare per averla (anche su questo, la Russia di Vladimir Putin ha già stabilito il prezzo).

    Ci sono le parole, e ci sono i simboli. Le facce, i colori. C’è la capa della diplomazia europea, Catherine Ashton, che ha sempre la stessa espressione preoccupata, sempre lo stesso tono quando ripete la litania sulle violenze che devono finire e sulle misure che saranno adottate, e in tre mesi s’è fatto poco o nulla. C’è la responsabile per l’Europa del dipartimento di stato americano, Toria Nuland, che ormai sarà soltanto quella che “Fuck the Europe” (ed è una donna elegante ed esperta, che nell’agosto del 1991 era sotto la pioggia a Mosca con centinaia di migliaia di persone che protestavano contro il tentato golpe a Gorbaciov; è la moglie del Kagan di “Marte e Venere” e dice di lui: “E’ il mio Marte, la mia Venere, la mia Terra”).

    Nuland dev’essere stata vittima di un leak russo dal tempismo perfetto, ma pure gli europei, quando non riescono a mettersi d’accordo su niente, dalle quote latte alla politica energetica di un intero continente, di fatto stanno dicendo: “Fuck the Europe”. Vale anche per Angela Merkel, la cancelliera tedesca che di questa Europa è la regina, la quale ha cercato di manovrare l’opposizione ucraina per renderla credibile, mentre i nazionalisti lottatori le rubavano la piazza sotto gli occhi, e ancora due giorni fa diceva che ci sarebbero state pressioni su Yanukovich, ma sanzioni no. Ieri che lo slancio delle sanzioni ha ripreso vigore, la posizione della Germania si è ammorbidita, ma il Monde scrive già – giustamente – che le sanzioni sì, sono uno strumento, ma andavano bene qualche mese fa.

    Non c’è una faccia rassicurante in questa crisi, non c’è un volto che lo guardi e ti viene voglia di fidarti, di crederci. Nel 2005 c’erano le trecce di Yulia Timoshenko e la faccia sfregiata di Viktor Yushenko, ma la loro promessa si è infranta, per inettitudine loro, per le interferenze russe, e per la solita indifferenza europea, che ha lasciato che l’Ucraina assomigliasse più alla Bielorussia che alla Polonia. L’opposizione oggi non è più arancione, ma verde, come quel liquido brillante che i sostenitori del regime di Yanukovich lanciano in faccia ai leader avversari: si chiama “zelyonka”, è velenoso soltanto se ingerito, sulla pelle non fa quasi niente, ma ci mette tempo ad andare via, sbiadisce. Così tutti quelli che si sono presi questi spruzzi in faccia sono verdognoli, “zombie-like”, spiega Radio Free Europe. Che come simbolo e sintesi della crisi non è poi del tutto sbagliato.

    • Paola Peduzzi
    • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi