L'Ue s'accorda sulle sanzioni, a Kiev il team franco-tedesco-polacco ottiene le elezioni anticipate
Ieri c’è stata una riunione d’urgenza dell’Unione europea per adottare sanzioni contro “i responsabili delle violenze” in Ucraina, ma le trattative diplomatiche vere si sono svolte a Kiev. I ministri degli Esteri di Germania, Francia e Polonia – Frank-Walter Steinmeier, Laurent Fabius e Radoslaw Sikorski – erano nella capitale ucraina per tentare di mediare tra il presidente, Viktor Yanukovich, e i leader dell’opposizione, mentre a piazza Indipendenza era in corso una nuova carneficina, la più violenta dall’inizio della crisi.
Bruxelles. Ieri c’è stata una riunione d’urgenza dell’Unione europea per adottare sanzioni contro “i responsabili delle violenze” in Ucraina, ma le trattative diplomatiche vere si sono svolte a Kiev. I ministri degli Esteri di Germania, Francia e Polonia – Frank-Walter Steinmeier, Laurent Fabius e Radoslaw Sikorski – erano nella capitale ucraina per tentare di mediare tra il presidente, Viktor Yanukovich, e i leader dell’opposizione, mentre a piazza Indipendenza era in corso una nuova carneficina, la più violenta dall’inizio della crisi. L’obiettivo degli europei è strappare a Yanukovich una “road map” per un’uscita pacifica e negoziata dalla crisi, e ieri sera i polacchi hanno fatto sapere che Yanukovich ha accettato di organizzare elezioni anticipate nel corso di quest’anno. Nel frattempo, a Bruxelles, i ministri degli Esteri hanno adottato una serie di possibili sanzioni: bando sui visti, congelamento degli asset finanziari, embargo sul materiale che può essere utilizzato nella repressione. Ma le misure punitive non verranno applicate subito. Da oggi i gruppi di lavoro dei 28 inizieranno a discutere della lista di personalità da colpire. Ci vorranno giorni, forse settimane, prima che le sanzioni diventino effettive.
L’applicazione sarà graduale. Il divieto di esportazione di materiale da usare nella repressione verso un paese che è tra i grandi produttori di armi appare una inutile misura simbolica. Soprattutto, gli europei sono ancora incerti sulla strategia da seguire. L’Alto rappresentante per la politica estera, Catherine Ashton, ha lanciato un appello per la “de-escalation” della violenza e una “soluzione politica”. Se funziona la trattativa Steinmeier-Fabius-Sikorski, le sanzioni potrebbero non entrare nemmeno in vigore. L’offerta europea di un Accordo di associazione rimane sul tavolo, ma senza una chiara prospettiva di adesione. Il braccio di ferro o la cooperazione con Mosca vengono esclusi, come se la Russia fosse un attore marginale a Kiev.
E’ toccato al presidente americano, Barack Obama, dire quel che gli europei non vogliono riconoscere (e sì che pure lui, con la Russia, ha una politica quanto meno rinunciataria). In Ucraina c’è “un governo che è attualmente sostenuto dalla Russia”, ha detto Obama, ma “il popolo ha ovviamente un punto di vista e una visione molto diversa per il suo paese”. Gli ucraini aspirano a “libertà fondamentali”, ma “Putin ha un punto di vista diverso. Il nostro approccio negli Stati Uniti non è quello di considerare la situazione ucraina come qualche punto di una scacchiera da guerra fredda in cui siamo in competizione con la Russia”. Per il presidente americano, “il popolo dell’Ucraina deve essere in grado di prendere le decisioni sul suo futuro da solo”. Con la Russia, invece, “in questo momento ci sono forti disaccordi”.
Putin fa legittimamente i suoi interessi: il presidente russo vuole mantenere l’Ucraina nella sua sfera di influenza, includendola nello spazio ex sovietico che ha intenzione di creare con l’Unione euro-asiatica. E’ pronto a pagare 15 miliardi di dollari e spinge Yanukovich a comportarsi come farebbe lui a Mosca (la gestione di questo prestito è molto tattica, si passa dalla generosità allo scrupolo a seconda dell’andamento della protesta e della repressione). Il capo del Cremlino punta a un gioco a somma zero, ma Obama tende a rifiutare un coinvolgimento attivo perché persegue piuttosto una strategia di disimpegno dell’America dall’Europa: la questione ucraina è così delegata a ventotto paesi che non riescono o non vogliono essere della partita. Americani ed europei non sono riusciti a mettersi d’accordo su un pacchetto di aiuti finanziari consistenti per fare concorrenza a quello di Putin. A tre mesi dalle elezioni europee, nessuno osa parlare di “allargamento all’Ucraina”. Spagna, Italia e Regno Unito hanno fatto resistenza a sanzioni dure e immediate contro il regime di Yanukovich per non irritare troppo Mosca.
Come in Ossezia del sud nel 2008
Al termine della riunione dei ministri degli Esteri, Ashton ha delineato la road map immaginata dagli europei: “Un nuovo governo, riforme costituzionali e condizioni per elezioni democratiche”. Ma “la prima priorità è che il paese non esploda”, ha spiegato il ministro degli Esteri italiano, Emma Bonino. Lo scenario di una ripetizione della guerra russa in Georgia del 2008 è preso in considerazione con parecchia preoccupazione. “Se Putin ritenesse che i suoi interessi sono seriamente minacciati, non ci penserebbe due minuti a invadere l’Ucraina come accaduto con l’Ossezia del sud”, spiega al Foglio una fonte diplomatica. Il presidente del Parlamento della Crimea, regione a maggioranza russofona dove Mosca ha la sua base navale sul mar Nero, ha detto di essere pronto a dichiarare la secessione e a chiedere l’intervento della Russia. “Tutto fa pensare che si vada in questa direzione”, ha spiegato Vladimir Konstantinov a Interfax. Impreparata al rifiuto di Yanukovich di firmare l’accordo di associazione, impreparata alle manifestazioni pro europee, impreparata alla violenza degli ultimi giorni, in realtà l’Unione europea spera nello status quo.
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