Si spera nella Renzinomics
Ricchi e agiati per me pari sono, quasi closing per la patrimoniale
Forse manca soltanto che a chiedere di tassare i patrimoni degli italiani sia direttamente la cancelliera tedesca Angela Merkel. L’idea riecheggia da almeno un anno nel paese pivot dell’Eurozona e soffia verso l’Italia, dove sta trovando terreno fertile per germogliare sotto una qualche forma, temono i critici. Che all’Italia, e in generale ai paesi colpevoli di non avere fatto i “compiti a casa”, serva un prelievo sui grandi patrimoni finalizzato ad abbattere il debito pubblico lo sostengono banche private tedesche, come la Kommerzbank, i think tank berlinesi, i sindacati, il Partito socialdemocratico che governa in coalizione con Merkel.
Forse manca soltanto che a chiedere di tassare i patrimoni degli italiani sia direttamente la cancelliera tedesca Angela Merkel. L’idea riecheggia da almeno un anno nel paese pivot dell’Eurozona e soffia verso l’Italia, dove sta trovando terreno fertile per germogliare sotto una qualche forma, temono i critici. Che all’Italia, e in generale ai paesi colpevoli di non avere fatto i “compiti a casa”, serva un prelievo sui grandi patrimoni finalizzato ad abbattere il debito pubblico lo sostengono banche private tedesche, come la Kommerzbank, i think tank berlinesi, i sindacati, il Partito socialdemocratico che governa in coalizione con Merkel. A più riprese l’ha suggerito la Bundesbank, la più influente istituzione finanziaria di Germania. Il suo presidente, Jens Weidmann, ha ribadito il concetto già espresso in un paper dell’Istituto centrale con un’intervista al quotidiano Frankfurter Allgemeine Zeitung nei giorni scorsi. Per i paesi “iperindebitati ma nei quali c’è un alto livello di patrimonio privato – l’Italia rispecchia più di altri questo identikit – una patrimoniale sarebbe il male minore” come intervento subordinato alla concessione di aiuti europei. Tassare i patrimoni sarebbe sì controproducente per la crescita, riconosce Weidmann, ma sarebbe una sorta di garanzia per gli altri stati chiamati a soccorrere i partner con gravi difficoltà di bilancio.
All’onda patrimonialista tedesca, secondo la quale l’Italia dovrebbe abbattere il rapporto debito/pil di 30 punti (dal 130 al 100) per cui basterebbero 500 miliardi, si aggiunge quella italiana. Crescono infatti le prese di posizione a favore della patrimoniale, sebbene declinata in diverse modalità a seconda della destinazione d’uso delle risorse recuperate. Prevale l’opzione di un prelievo straordinario (una tantum) sulla ricchezza. E poco importa se gli italiani una patrimoniale di fatto la pagano già sotto forma della tassa sulla casa o con l’imposta di bollo sui conti correnti. Finora l’hanno sostenuta pubblicamente i banchieri, custodi della rendita per eccellenza, come Alessandro Profumo (Unicredit e ora Mps), Pietro Modiano (ex Intesa e Unicredit ora a Sea), Luigi Abete (Bnl) e Corrado Passera, il cui progetto politico in nuce prevede il recupero di 85 miliardi di euro con patrimoniale straordinaria. Non viene disdegnata dall’associazione bancaria italiana (Abi) – ma non piace alle banche estere dell’Aibe – e da Confindustria purché il ricavato venga in parte utilizzato per ridurre il carico fiscale per le imprese.
Piace alla sinistra d’apparato. Giuliano Amato è stato tra i primi a lanciare il ballon d’essai con una “patrimoniale secca” e ha fatto proseliti nel Partito democratico (ad esempio l’ex viceministro all’Economia Stefano Fassina). Ma anche in area centro centrodestra (Pier Ferdinando Casini e alla Lega del sindaco di Verona Flavio Tosi). E’ vista come una panacea per appianare le diseguaglianze sociali dai sindacati Cgil, Cisl, Uil e Ugl, che, va da sé, sono da sempre contro i rentier. E non da ultimo viene sospinta dalla corazzata di Repubblica, dall’editore Carlo De Benedetti e dal fondatore della testata Eugenio Scalfari che vuol colpire “sia ricchi sia agiati”.
A Renzi la scelta sul “mini” prelievo
Ora sta al governo Renzi decidere come raccogliere il sasso lanciato più volte nello stagno del dibattito pubblico. Il responsabile economico del Pd, Filippo Taddei, dà per certa una “rimodulazione” della tassazione sulle rendite finanziarie. Una sorta di mini-patrimoniale che, secondo quanto detto in passato da Taddei, sarebbe destinata a finanziare ogni anno una “grande riforma” con i 5 miliardi annuali derivanti dal prelievo dello 0,5 per cento su vari investimenti (azioni, obbligazioni). Sarebbe sprecato, diceva Taddei, se finissero nel “cesto della finanza pubblica” per questo devono andare a scuola, edilizia, ambiente e altro. “Un nobile sacrificio” che trova il consenso anche del finanziere finanziatore renziano Davide Serra.
Come suggerisce Carlo Stagnaro, direttore ricerche dell’Istituto Bruno Leoni, in fondo alla catena delle rendite ci sono i piccoli risparmiatori e per questo la “mini-patrimoniale in quanto più fattibile del maxi-prelievo” risulta più insidiosa per il depresso credito privato, mette in fuga i capitali, e ha un ricasco politico incerto alla prova dell’urna per il governo che si propone come “tassatore”.
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