I garanti dell'Ucraina unita

David Carretta

L’Unione europea e gli Stati Uniti non hanno quasi avuto il tempo di festeggiare il primo (involontario?) successo del “soft power” da anni a questa parte che la battaglia sull’Ucraina è già cominciata. Per tre mesi l’occidente ha ribadito a parole il sostegno alla piazza di Kiev, ma poi ha adottato una politica cauta: indispettire il capo del Cremlino, Vladimir Putin, non era consigliabile.

    Bruxelles. L’Unione europea e gli Stati Uniti non hanno quasi avuto il tempo di festeggiare il primo (involontario?) successo del “soft power” da anni a questa parte che la battaglia sull’Ucraina è già cominciata. Per tre mesi l’occidente ha ribadito a parole il sostegno alla piazza di Kiev, ma poi ha adottato una politica cauta: indispettire il capo del Cremlino, Vladimir Putin, non era consigliabile. Ora però che l’Ucraina ha cacciato il suo presidente, Viktor Yanukovich, bisogna sostenere la nuova leadership: Kiev ha annunciato di avere bisogno di 35 miliardi di dollari nel prossimo biennio per evitare la bancarotta (i russi hanno congelato il loro prestito da 15 miliardi). Senza l’intervento del Fondo monetario internazionale, l’Ue nell’immediato non ha risorse e volontà per lanciarsi in un massiccio salvataggio ucraino. Bruxelles e Mosca hanno imboccato due strade opposte anche sul riconoscimento delle autorità legittime, in quello che potrebbe essere il preludio di uno scontro maggiore, che rischia di coinvolgere militarmente gli Stati Uniti. “Lo scenario da incubo – spiega una fonte europea – sarebbe la ripetizione dell’invasione della Georgia nel 2008, provocata da una Crimea secessionista”.

    La prima urgenza è rappresentata dai soldi necessari a evitare il collasso finanziario – ma difficilmente arriveranno prima delle presidenziali fissate per il 25 maggio, anche se il ministro delle Finanze ad interim, Yuriy Kolobov, ha chiesto di organizzare entro due settimane una conferenza dei donatori. Secondo l’europarlamentare croato Tonino Picula, “negli ultimi giorni sono scomparsi dalle casse dello stato sei o sette miliardi”, portando ai minimi le riserve del paese. “Il nuovo governo ha bisogno di assicurarsi subito quattro miliardi per stipendi e pensioni”, ha detto Picula. L’Ue non ha dato cifre, ma la sua ultima offerta – avanzata a novembre, mentre Vladimir Putin metteva sul tavolo 15 miliardi di dollari e sconti sul gas – superava di poco i 600 milioni di euro. Germania, Regno Unito e Polonia sembrano pronti a mini-prestiti bilaterali temporanei. Gli occidentali fanno pressione sul Fondo monetario affinché utilizzi il suo “strumento di finanziamento rapido”, che permetterebbe di concedere due miliardi di euro senza troppe condizioni, in attesa di un nuovo governo in giugno. Ma il Fmi è rimasto scottato dal fallimento del programma di assistenza da 15,4 miliardi del 2010, cancellato appena otto mesi dopo il suo avvio per il mancato rispetto degli impegni sulle riforme.

    La seconda emergenza è geopolitica. Ieri la Commissione ha riconosciuto Oleksandr Turchynov come legittimo presidente ad interim dell’Ucraina, in quella che il premier russo, Dmitri Medvedev ha bollato come “un’aberrazione”. La minaccia di un intervento militare di Mosca è la preoccupazione maggiore delle capitali occidentali. “Sarebbe un grave errore”, ha detto il consigliere alla Sicurezza nazionale di Barack Obama, Susan Rice. La Nato affronterà la questione in un vertice ministeriale domani. Un trattato firmato nel 1994, quando Kiev accettò di smantellare l’arsenale nucleare sul suo territorio, fa di Stati Uniti, Regno Unito e Russia i garanti dell’integrità territoriale ucraina. Ma un gruppo di paesi europei vuole evitare lo scontro diretto con Mosca (spicca nell’oltranzismo putiniano la linea di Romano Prodi espressa venerdì sul New York Times, unica in tempismo e lungimiranza, con le critiche a chi nell’Ue “minaccia sanzioni e condona violenti estremisti” invece di avviare “negoziati diretti” con Putin).
    L’Alto rappresentante per la politica estera, Catherine Ashton, è a Kiev per coordinare gli sforzi europei. Ma, secondo Judy Dempsey del Carnegie Europe, saranno Germania e Polonia a “giocare un ruolo cruciale”. Il ministro degli Esteri polacco, Radek Sikorski, “dovrà convincere la nuova leadership ucraina che ora è giunto il momento di tendere la mano” ai russofoni. La cancelliera tedesca, Angela Merkel, che con le sue telefonate (da Yulia Timoshenko a Vladimir Putin) è diventata la madrina della seconda rivoluzione ucraina, appare come l’unica con sufficiente forza da governare i carri armati russi.