“Meno siamo, meglio stiamo”. E il Dr. Gribbels si dà alle videoepurazioni

Stefano Di Michele

Certo, la clemenza di Gribbels non è come quella di Tito – “tutto so, tutti assolvo e tutto oblio”. Era fenomenale vederlo ieri, nel suo solito videomessaggio – dal levante al ponente al mondo tutto – sistemato di lato vicino al camino, un po’ sghembo come in un film di Herzog (“Beppe, furore di Dio”), inquietante simil-spatolato salmonato alle pareti, pronunciare il suo solito “extra omnes!” rivolto a qualche grillino al solito un po’ troppo parlante. Fenomenale la scena, fenomenale (pur se ripetitivo) Beppe, fenomenale il suo argomentare.

    Certo, la clemenza di Gribbels non è come quella di Tito – “tutto so, tutti assolvo e tutto oblio”. Era fenomenale vederlo ieri, nel suo solito videomessaggio – dal levante al ponente al mondo tutto – sistemato di lato vicino al camino, un po’ sghembo come in un film di Herzog (“Beppe, furore di Dio”), inquietante simil-spatolato salmonato alle pareti, pronunciare il suo solito “extra omnes!” rivolto a qualche grillino al solito un po’ troppo parlante. Fenomenale la scena, fenomenale (pur se ripetitivo) Beppe, fenomenale il suo argomentare: “Dopo svariate segnalazioni dal territorio di ragazzi, di attivisti…”. E dunque i quattro sulla rampa di lancio per essere buttati fuori (Battista, Bocchino, Campanella, Orellana), senza contare gli altri che paiono volersi associare, sembra che si vedessero, nonostante l’attento scrutare di pischelli dal territorio, puri cheyenne della rivoluzione, “poco e male” – come un’inquadratura, Dio scampi, di un film d’avanguardia coreana (sud). Questa famosa democrazia della rete – vi farò pescatori di dissidenti – è una trovata un po’ stucchevole e cazzona che ormai pare mostrare la corda tanto nel selezionare gli innalzati (bastava sentire in questi giorni i grillini in Parlamento che provavano a fare gli spiritosi come il Capo, con risultati da far invidia ai film di Pierino, “figli di troika”: ah! ah! ah!, da tenersi per le risate) quanto per decretare i sommersi (che infatti cominciano largamente a fottersene di rete e ragazzotti dall’occhio di lince sul feudo politico sparsi e scrutanti).

    A vederlo, laterale, in basso a destra, sovrastato dal caminetto casalingo, Grillo pareva celebrare il requiem per questo famoso strumento casaleggiano della democrazia. Lui – lo Spirito Guida, il Manitù orante, quello che prometteva di essere come un monaco Shaolin: sapienza e forza – era lì che diceva di aspettare la Rete come se fosse la Pizia, in realtà dando precise indicazioni, ai reticolanti suoi, su come votare: “Adesso deciderà la rete, spero che deciderà e confermerà il verdetto della assemblea, così noi siamo un pochino meno ma molto, molto più coesi e forti” – presa di posizione tra la saggezza di Arbore (“Meno siamo, meglio stiamo”) e l’arcaica immagine del cardinale che nel film “In nome del Papa Re” presiede il tribunale che deve condannare a morte Monti e Tognetti. C’è mons. Colombo (Nino Manfredi) che resiste alla richiesta di “monsignor procuratore”, e c’è questo vecchissimo prelato che guida l’adunata dei giudici/cardinali e che indica e spintona, “… ma non vorrei influenzare le vostre libere decisioni. Ora, a voi il giudizio. Chi si pronuncia per la pena di morte risponda sì, chi è contrario risponda no. E che Iddio lo perdoni”. Così Gribbels, che certo pena di morte non chiede, ma quasi pubblica dannazione reticolare per i dissidenti sì – e che la rete (non) li perdoni. Ha sempre amato i toni forti, il Leader Supremo dei cinquestelle – che pur ammette di amare pochissimo, invece, i sussurri di certi suoi eletti, “gente che bisbiglia ai giornali”, venticello della dissidenza. Adesso, nientemeno, assicura che “daremo il sangue per le europee”, anzi, “daremo il sangue sulle strade”, e se c’è da essere tentati dalla lotta, pur con risvolto di così cruda sorte, c’è pure da darsi, contemporaneamente, vigorosa toccata alle palle. Addirittura avanza il sospetto, per i futuri esuli, di un “partito con il Corriere, la Repubblica, Libero e l’Unità”, là dove si pestano, figurarsi, pure Della Valle e John Elkann dentro il condominio loro. E son lacrime, dimissioni, promesse di dimissioni – al solito. “Voglio andare a casa”, dice una senatrice, che pare quasi E.T., “caaasa…”. I sostenitori più accaniti del Capo forniscono (come il mitico Alessandro Di Battista) materiale all’accusa, “io ho visto in queste quattro persone, sistematicamente, da mesi, e in modo organizzato la logica del dolo, della malafede, il sabotaggio di tutte le grandissime (non solo grandi, grandissime: tra il Colosso di Rodi e l’Ippodromo di Bisanzio, ndr.) battaglie che abbiamo portato avanti come gruppo”. L’accusa di sabotaggio, in un partito, forse non si sentiva dai giorni della cacciata di quelli del Manifesto dal Pci. Dopo questa nuova vigorosa spazzolata interna, magari saranno davvero “molto più coesi e forti” – stringiamoci a coorte!, ma lo stesso sarebbe meglio senza scherzare e senza evocare a vanvera il sangue, roba da lasciare, come qualcuno dei suoi ha avuto modo di sottolineare, a gentaglia tipo “Pino Chet”. Come nella vecchia pubblicità del salamino, “le stelle sono tante, milioni di milioni” – ma la stella di Beppe Grillo sempre prima, “ottima e qualità”. Forte, fortissima. Coesa, coesissima.