I baffi del Rottamatore

Claudio Cerasa

“Devi mettere insieme tutto. Il ribaltone. Gli azionisti. I ministri. Le parole. I consiglieri. I servizi. L’economia. I sindacati. Le riforme. Le provocazioni. I messaggi. Le cooperative. La Confindustria. La missione. Le sfide. Blair. La scuola. La terza via. Il rapporto con i comunisti. Il rapporto con il partito. Il rapporto con il successore. Come dire: io qualcosina la noto, diciamo…”. Come tutti i migliori libri dei sogni, la particolarità del governo Leopolda è di essere un miracoloso volume in cui le pagine rilegate sono state scritte con un carattere così poco decifrabile e così poco comprensibile che chi in quelle pagine cerca di vedere qualcosa di particolare riesce senza problemi a intravedere esattamente quello che sogna di vedere.

Merlo Se Renzi flirta più con il Cav. che con il Pd una ragione c’è (elettorale)

     Il Pd ha aderito al Pse e Massimo D'Alema ha salutato con favore l'evento: "E' uno sbocco naturale", ha detto nel suo intervento alla direzione del Pd, "è tutt'altro che una resa, ma un grande passo in avanti". "Vogliamo una forza progressista che si batta per un salto di qualita' nel terreno dell'integrazione politica. Questo è stato un terreno di divisione, ma oggi c'è uno spostamento francese", ha ricordato. Poi "occorre una svolta della politica economica", ha proseguito, e infine "dopo avere guardato per 15 anni a Est, oggi l'Europa deve volgersi al Mediterraneo come banco di prova fondamentale del suo ruolo". D'Alema ha poi cercato di smontare davanti alla direzione alcuni luoghi comuni sul Pse. "Essendomi trovato da diversi anni a essere, per conto mio, membro della presidenza del partito socialista europeo" e presidente della fondazione "ho una certa esperienza e vorrei dirvi che il socialismo europeo è un campo molto variegato", ha spiegato. "Il movimento socialista è in trasformazione, non hanno aspettato noi per avviare un'opera di profondo rinnovamento", ha assicurato, "molti partiti socialisti se volevano tornare al governo dei loro paesi non potevano farlo restando legati all'ortodossia di socialdemocratici". E "sarà perché giro il mondo ma c'è vasta consapevolezza che non siamo più nel XX secolo. Non vorrei rimanessimo prigionieri di un provincialismo che suscita un certo senso di fastidio", ha spiegato. Oggi "noi facciamo una scelta politica non ideologica, questo e' chiaro. Aderiamo a un campo di forze progressiste, molto variegato sotto il profilo ideologico e culturale", ha insistito. "C'è tra noi chi teme, non senza ragione, di morire democristiano e chi non vuole morire socialista. Io mi limiterei alla prima parte di questa affermazione", ha scherzato alludendo all'intervento di oggi in direzione di Beppe Fioroni. In ogni caso, "non è vero che il socialismo europeo è estraneo alla tradizione del cristianesimo sociale. Sono pronto a fare un seminario con Fioroni su questo...", ha concluso.

    “Quando voi milanesi eravate ancora sugli alberi, a Roma eravamo già froci”
        Giuseppe Ciarrapico

    “Devi mettere insieme tutto. Il ribaltone. Gli azionisti. I ministri. Le parole. I consiglieri. I servizi. L’economia. I sindacati. Le riforme. Le provocazioni. I messaggi. Le cooperative. La Confindustria. La missione. Le sfide. Blair. La scuola. La terza via. Il rapporto con i comunisti. Il rapporto con il partito. Il rapporto con il successore. Come dire: io qualcosina la noto, diciamo…”. Come tutti i migliori libri dei sogni, la particolarità del governo Leopolda è di essere un miracoloso volume in cui le pagine rilegate sono state scritte con un carattere così poco decifrabile e così poco comprensibile che chi in quelle pagine cerca di vedere qualcosa di particolare riesce senza problemi a intravedere esattamente quello che sogna di vedere. E così, lo avete visto, di fronte a Renzi è facile trovare, nell’ordine, veltroniani in lacrime convinti che il renzismo sia una naturale evoluzione del veltronismo (“Te lo meriti Walter!”), berlusconiani in estasi convinti che il renzismo sia una naturale mutazione del berlusconismo (“E’ come te, Silvio!”), fassiniani in trance convinti che il renzismo sia una naturale metamorfosi del fassinismo (“Piero, lo vedi che i miracoli esistono!”) e montiani in visibilio convinti che il renzismo sia, e come potrebbe essere altrimenti?, una naturale, ovvia e genuina trasformazione del montismo (potremmo andare avanti per ore). Un capitolo inedito e ancora non scritto del libro dei sogni renziano è però quello che, con energia e curiosità, viene sfogliato da qualche mese in una particolare cattedrale della politica che si trova a Roma, al numero quarantaquattro di piazza Farnese, dove dal 1998, con la stessa rigorosa disciplina con cui nel Duomo di Napoli vengono custodite le famose ampolle con il sangue di San Gennaro, i dalemiani, dentro la loro ampolla, custodiscono con cura il succo dell’ortodossia del loro santo: D’Alema. E allora tu arrivi qui e scopri che nonostante le apparenze, nonostante la distanza, nonostante il distacco, nonostante le smorfie di dolore di San Massimo Gennaro, scopri che qui, a ItalianiEuropei, in quella cattedrale del pensiero dalemiano nata nel momento di massimo splendore del dalemismo, ovvero nel 1998, ovvero nell’anno in cui D’Alema arrivò a Palazzo Chigi, ovvero nell’anno in cui l’Italia ebbe il suo primo presidente del Consiglio di sinistra, o meglio comunista, scopri che qui, nel soviet del dalemismo, non ci sono i sopraccigli alzati dei bersaniani, non ci sono gli sguardi rancorosi dei lettiani, non ci sono i nannimorettismi dei civatiani (“Mi si nota di più se voto e me ne sto in disparte o se non voto per niente?”) ma ci sono semplicemente i sorrisi estasiati dei dalemiani. Che guardano Renzi, guardano il programma, guardano il progetto, guardano lo stile, guardano il percorso e così, un po’ per la loro passione per l’arte della guerra e un po’ per la loro passione per la politica dura, di fronte a “Matteo” traducono Paul Wolfowitz e la mettono così. Spavaldi.

    Massimo Matteo/1
    “Cercheremo di riaprire il confronto con le forze del Polo che rappresentano una parte ampia e significativa della società italiana. Abbiamo cercato di comprendere in questi giorni il vostro turbamento e, personalmente, guardo ad esso con il rispetto che si deve sempre alle posizioni degli avversari politici. Ritengo, però, che sarebbe un errore se ciò si traducesse in una chiusura al confronto sulle soluzioni istituzionali necessarie a consolidare una moderna democrazia bipolare”.
    Discorso d’insediamento di Massimo D’Alema, 22 ottobre 1998
     

    “Se la guerra è la prosecuzione della politica con altri mezzi, il renzismo, diciamo, non è altro che la prosecuzione del dalemismo con altri mezzi”. E allora tu, disorientato, ti incuriosisci, incontri il capo della fondazione (si chiama Andrea Peruzy, è il segretario generale di ItalianiEuropei, dove il “generale” è, per ammissione di Peruzy, un tributo a Stalin). Incontri il sacerdote che ogni giorno maneggia la dottrina di D’Alema come i sacerdoti di Napoli il sangue di San Gennaro, lo porti a pranzo e ti fai spiegare perché “Matteo” è solo un modo più rapido per pronunciare la parola “Massimo”. “D’accordo: erano altri tempi, altri anni, altri contesti, altri partiti, altri paesaggi ma tra Renzi e D’Alema io vedo una serie di punti di contatto che al di là della difficoltà di comunicazione tra i due mi sembrano piuttosto evidenti. Sul metodo si sa: entrambi sono arrivati a Palazzo Chigi con un peccato originale da scontare ed entrambi si sono posti come condizione per scontare il peccato quella di riformare rapidamente il paese anche con l’aiuto degli avversari”. Riformismo come aspirina per guarire il ribaltonismo. Ok. E poi? “E poi ci sono i dettagli. C’è il rapporto con Berlusconi: Massimo, con la Bicamerale, fu il primo che accettò di aprire metaforicamente le porte della sinistra al Cavaliere, e di considerare gli avversari non dei nemici ma degli interlocutori indispensabili per riscrivere le regole. E con lo stesso approccio Renzi ha aperto le porte del Pd al Cavaliere. Mi dicono: ma oggi Berlusconi è un condannato, decaduto, un pregiudicato, un criminale, non è la stessa cosa. Balle. Scemenze. Bullshit. E’ la stessa cosa: Berlusconi, come allora, è il capo di un partito che conta milioni di elettori e oggi, come allora, per riscrivere le regole bisogna giocare e trattare con lui. Punto. Renzi non farà una bicamerale, non è il tipo, non ne ha bisogno, ma durante il suo governo dovrà comportarsi come se fosse a capo di una bicamerale virtuale i cui azionisti principali non sono soltanto gli attori della sua maggioranza ma sono anche quelli che si trovano fuori dal perimetro del suo governo”. Questo per le regole. E le riforme? “Open your eyes: ti dice nulla la giustizia? La fine del bicameralismo perfetto? Il rapporto con i sindacati? La bozza Boato, il famoso pacchetto di proposte per riformare la giustizia presentato alla bicamerale, ha molti punti di contatto con le vecchie proposte fatte, tra l’altro sul vostro giornale, da Andrea Orlando: separazione delle carriere, revisione dell’obbligatorietà dell’azione penale, riforma del sistema elettorale del Csm, riforma delle azioni disciplinari nel mondo della magistratura. Continuo?”. Vai. “Vogliamo parlare del rapporto con i sindacati? Oggi sembra che Renzi, la cosa mi fa molto sorridere, sia il primo politico capace di sussurrare nelle orecchie dei blairiani. Elefanti! Ma che memoria avete? Riavvolgete il nastro, tornate al 1997 e scoprirete che quando la Terza via era un capitolo del presente, e non un ricordo del passato, tra i protagonisti di quella stagione, più o meno quando Renzi andava all’asilo, c’era D’Alema. Era Blair che con D’Alema scriveva lettere congiunte per promuovere nuove riforme sul lavoro. Era Blair il riferimento con cui D’Alema cercava di far passare a sinistra alcune politiche economiche della destra. Era D’Alema, in un certo modo, il quarto lato di un quadrato formato da Bill Clinton, da Gerhard Schröder, Tony Blair e nel suo piccolo da Massimo. Semmai – sorriso – si può dire che su questo campo Renzi arriva con dieci anni di ritardo, diciamo”. Ci sono le parole, ci sono i contenuti, ci sono i rapporti, ci sono gli azionisti, ci sono le riforme ma a dimostrare in qualche modo che il renzismo può essere inteso come una forma aggiornata del dalemismo ci sono anche i nomi e le persone. Peruzy, non senza malizia, nota che l’erede di Renzi a Firenze, Dario Nardella, fa parte della fondazione. Nota che il primo politico ad aver chiesto in Parlamento di far cambiare verso al governo, il capogruppo di Scelta civica, è uno storico volto della fondazione e si chiama Andrea Romano. Nota che il primo politico della minoranza del Pd ad aver chiesto pubblicamente di togliere di mezzo Letta e inserire in corsa Renzi è un altro storico volto della fondazione, che si chiama Matteo Orfini. Nota che della fondazione fa parte un ministro del governo Renzi, Marianna Madia. Nota che della fondazione fa parte il papà di un ministro di peso come Federica Guidi (Guidalberto Guidi, fondatore di ItalianiEuropei). Nota che del governo fa parte uno storico azionista del dalemismo, ovvero la Lega delle Cooperative (Lega Coop, che ai tempi del governo D’Alema era uno degli alleati forti del presidente del Consiglio, nel 1998 ha contribuito a fondare la fondazione e oggi al governo è discretamente rappresentata dal capo della stessa Lega Coop, Giuliano Poletti). Nota che nell’entourage di Palazzo Chigi, con la delega ai Servizi, farà probabilmente parte un vecchio dalemiano come Marco Minniti (che ovviamente nel 1998 era al governo con D’Alema e che, come tutti i vecchi lothar dalemiani, da Fabrizio Rondolino a Claudio Velardi passando per Nicola Latorre, è stato attratto dalla stella della rottamazione). E infine nota che dal dalemismo viene il ministro più importante: Pier Carlo Padoan. Ministro tecnico, secondo gli antipatizzanti del renzismo, ministro ultra politico secondo i simpatizzanti del renzismo. Ministro che ha diretto a lungo ItalianiEuropei e che per alcuni anni ha lavorato a stretto contatto con Palazzo Chigi.

    Massimo Matteo/2
    “La caduta del governo è stata non solo una crisi politica ma l’ennesima testimonianza di una crisi irrisolta del sistema. Da questa difficoltà non si esce con continui ricorsi alle urne, soprattutto quando è chiaro che nuove elezioni con vecchie regole non rappresentano un rimedio. Anzi, è più che probabile che ripropongano la medesima instabilità. Non è aumentando le dosi della medicina che il malato guarisce, se la medicina non è quella giusta. Ecco perché la crisi di queste settimane interroga tutti. E stimola tutti alla ricerca delle soluzioni necessarie”.
    Discorso d’insediamento di Massimo D'Alema, 22 ottobre 1998
     

    Indovinate in che anno? Nel 1998. Indovinate con quale premier? Ovviamente con San Massimo Gennaro D’Alema. “Pier Carlo è un ministro politico, tosto, verace, di sinistra, con un passato nei giovani comunisti e una fede dalemiana seconda solo alla fede romanista. Anche qui, non per voler forzare, intravedo una continuità tra dalemismo e renzismo. Il governo D’Alema – c’erano i sindaci anche all’epoca, ricordate Bassolino? – fu il primo che tentò di effettuare una trasfusione di sangue politico nei ministeri più tecnici e più importanti del governo: con Giuliano Amato al Tesoro, dopo Carlo Azeglio Ciampi, e Vincenzo Visco alle Finanze. Padoan è il più politico dei tecnici in circolazione e oggi Renzi ha il compito, il dovere, di dare una forte impronta politica all’economia del suo governo e divincolarsi dalle strettoie imposte dai tecnocrati. Il primato della politica, già. L’ho sentito dire a Renzi in Senato. Diciamo che l’ho sentito dire parecchie volte anche a Massimo…”.

    Massimo Matteo/3
    “Se vogliamo spingere in avanti una politica sul lavoro dobbiamo avere il coraggio di un’opera di rinnovamento. Qui mi sento meno d’accordo con Sergio Cofferati. Sento l’esigenza di una riflessione critica. Che non riguarda soltanto il sindacato. Riguarda la sinistra. Anche noi ci sentiamo sfidati dalla realtà. (…) Io non chiedo al sindacato di legalizzare il lavoro nero, il lavoro precario. Ma penso che noi dovremmo preferire essere lì con i lavoratori. E negoziare i loro diritti. Anziché stare fuori dalle fabbriche con in mano una copia del contratto nazionale del lavoro”.
    Massimo D’Alema, congresso del Pds,  19 febbraio 1997
     

    E poi c’è l’Europa, certo. L’Europa in cui D’Alema sarebbe voluto andare nel 2009 come Alto commissario per gli Affari esteri (ci finì poi Catherine Ashton – “Ashton chi?”). L’Europa in cui D’Alema sogna di andare un giorno come rappresentante dell’Italia nella Commissione europea (anche se Renzi, paradossi della storia, il posto che spetta all’Italia al prossimo giro in Europa dovrebbe affidarlo a Paolo De Castro, storico volto di ItalianiEuropei, storico capo della fondazione dalemiana Red e ovviamente, anche lui, ministro per le Politiche agricole nel governo D’Alema). E l’Europa a cui Renzi ha scelto di legare il Pd con una mossa a suo modo dalemiana: rottamando il rutellismo, ovvero l’idea che il Pd sia una forza estranea alla famiglia dei socialisti europei, e iscrivendo il Pd nel mondo del Pse (nel 2010 su questo giornale fu proprio un intervento del capo della fondazione ad aprire un dibattito gustoso intorno alla possibilità che il Pd entrasse senza trattini e formule magiche all’interno del Pse: ipotesi finora sempre bocciata). Questo dunque per quanto riguarda la politica, i contenuti e il filo rosso che lega al renzismo i talebani del dalemismo (che spesso sono più dalemiani di D’Alema).

    Massimo Matteo/4
    “Il governo intende, dunque, incoraggiare il Parlamento affinché si sviluppi un confronto ed una ricerca comuni per individuare una base condivisa in vista di una nuova legge elettorale. Una legge in grado di garantire la stabilità del paese, di non sacrificare il pluralismo della rappresentanza istituzionale ma, al contempo, di evitare una sua inutile e dannosa frantumazione con il pericolo di abbandonare una cultura maggioritaria di impronta europea”.
    Discorso d’insediamento di Massimo D'Alema, 22 ottobre 1998

    Ma oltre ai contenuti c’è anche un aspetto di tattica importante che collega in modo significativo il destino di Renzi a quello dei dalemiani. E se è vero che una buona parte della minoranza del Pd – bersaniani, lettiani, civatiani – ha già inserito nel jukebox del partito la moneta per far ballare Renzi, per logorarlo all’infinito, per utilizzare l’apparato del Pd per allontanare il Pd da Renzi e per trasformare in sostanza il presidente del Consiglio nel segretario dell’Asinello (ricordate Prodi?) è anche vero che gli alleati più preziosi di cui dispone l’ex sindaco di Firenze nel suo partito (e anche nei gruppi parlamentari) coincidono con quei deputati e dirigenti del Pd, di rito post-dalemiano, che attorno al loro segretario stanno costruendo un cuscinetto per proteggerlo dalle velenose frecce del Pd (e che anche per questo saranno premiati nel rimpasto della prossima segreteria del partito). E il progetto del cuscinetto, i dalemian-renziani lo stanno costruendo qui, proprio nella fondazione. Prima nel corso di alcune riunioni ristrette a cui partecipavano pochi deputati (Enzo Amendola, Giuseppe Lauricella, Marco Filippi, Alessandra Moretti, Claudio Micheloni, Andrea Manciulli, Salvatore Tomaselli, Umberto Marroni, Valentina Paris, Mariagrazia Gatti). Poi da dieci i parlamentari sono diventati quindici, da quindici venti, da venti venticinque e così via.

    Massimo Matteo/5
    “Noi per primi siamo consapevoli che questo governo non è stato scelto direttamente dagli elettori, anche se appare chiaro che la parte più larga delle forze che danno vita alla nuova maggioranza ha vinto, e non perso, le ultime elezioni. E’ altrettanto evidente che il processo in corso non esprime una normalità della dialettica politica e parlamentare. Il governo che oggi chiede la fiducia contiene un tratto di eccezionalità che deriva, in primo luogo, dalle condizioni oggettive in cui è maturata la sua costituzione”.
    Discorso d’insediamento di Massimo D'Alema, 22 ottobre 1998
     

    “Passeggiare sull’Aventino armando il proprio arco con piccole frecce indirizzate non verso gli avversari ma verso il proprio capo è un atteggiamento sciocco. Servono molte proposte e molte idee per far funzionare il governo, e non mancheranno, ma serve anche rendersi conto di un problema con cui è arrivato il momento di fare i conti. Dobbiamo accettare che la politica non sia più quella delle bocciofile ma sia quella dei tweet. Dobbiamo accettare che gli strumenti con cui i politici cercano di inviare i propri messaggi possano essere non convenzionali, modello WhatsApp. Dobbiamo accettare insomma che i capi contino in un certo modo più dei partiti e che avere e incentivare la presenza di uomini soli al comando sia ormai l’unico modo per difendere il primato della politica. Da questo punto di vista, compagni cari, la personalizzazione della politica è da considerare un fenomeno irreversibile in quanto costituisce il riflesso di profondi mutamenti sociali economici e culturali. La leadership, una leadership vera non loffia, è un valore aggiunto indispensabile per intercettare la domanda di cambiamento. Servono i giusti contrappesi, ovvio. Servono partiti che sostengano il progetto. Servirebbero, a mio avviso, i giusti soldi del finanziamento pubblico per non far morire i partiti. Ma chi pensa di tornare indietro sbaglia. E non si può tornare indietro, per una ragione semplice: la televisione è diventata uno strumento insostituibile di comunicazione politica e i partiti non sono più in grado da soli di rappresentare, come si dice, una società destrutturata. Dicono che Renzi al Senato ha peccato di hybris e ha snobbato i senatori. Ma anche qui dico: sveglia! Essere snob e aristocratici è il sale di una democrazia in salute. Renzi è un formidabile snob, un po’ come Massimo. Il progetto c’è. Le somiglianze ci sono. C’è il ribaltone. Ci sono gli azionisti. I ministri. Le parole. I consiglieri. I servizi. L’economia. I sindacati. E Blair o non Blair il problema è uno: se è vero che la guerra è la prosecuzione della politica con altri mezzi, se è vero che il renzismo non è altro che la prosecuzione del dalemismo con altri mezzi, allora è altrettanto vero che Renzi per governare e per vincere la guerra avrà bisogno di giocare con chi questa guerra, diciamo, l’ha cominciata una decina di anni fa”.

    Massimo Matteo/6
    “Mi rivolgo a Lei, onorevole Berlusconi, non solo perché è il leader della più consistente delle opposizioni, ma perché non è mancata in passato tra noi l’occasione di lavorare insieme per il bene della nostra democrazia. Le chiedo di riflettere sugli interessi generali del paese. E le assicuro la piena disponibilità del governo a riaprire un dialogo che non serve alla sua parte o alla nostra, ma a tutti gli italiani”.
    Discorso d’insediamento di Massimo D'Alema, 22 ottobre 1998

     

    Merlo Se Renzi flirta più con il Cav. che con il Pd una ragione c’è (elettorale)

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.