Il buio oltre la setta

Marianna Rizzini

Spreco, boiata pazzesca, nonsense, incubo, parabola alla Antonio Di Pietro (dissoluzione, forse, più che rivoluzione) e imbarazzante inutilità del tutto: ora che l’ennesimo Beppe Grillo bisbetico, dispotico e sbraitante si tira la zappa sui piedi e si svela da sé anche agli occhi più foderati di prosciutto (compresi quelli dei “dissidenti” non espulsi che soltanto oggi – benvenuti nel mondo – vedono il M5s simile a “una setta”, come dice il neo fuoriuscito deputato Alessio Tacconi), hai voglia a dire “Beppe, se non ora quando?”.

    Spreco, boiata pazzesca, nonsense, incubo, parabola alla Antonio Di Pietro (dissoluzione, forse, più che rivoluzione) e imbarazzante inutilità del tutto: ora che l’ennesimo Beppe Grillo bisbetico, dispotico e sbraitante si tira la zappa sui piedi e si svela da sé anche agli occhi più foderati di prosciutto (compresi quelli dei “dissidenti” non espulsi che soltanto oggi – benvenuti nel mondo – vedono il M5s simile a “una setta”, come dice il neo fuoriuscito deputato Alessio Tacconi), hai voglia a dire “Beppe, se non ora quando?”. E hai voglia a dire “facciamolo” (il dialogo col Pd o con Sel o con Pippo Civati), tutte cose che un anno fa chiedevano gli appelli speranzosi e intrecciati – negli stessi giorni d’inizio legislatura – dei migliori intellettuali su piazza. “Una grande occasione di cambiare dalle fondamenta il sistema politico si apre”, ma “qui, ora e subito”, scrivevano infatti all’ex comico malmostoso Remo Bodei, Salvatore Settis, Roberta De Monticelli, Tomaso Montanari, Barbara Spinelli e Antonio Padoa-Schioppa (risposta di Grillo: che noia questi intellettuali che rispondono al “Pdmenoelle” in fila “per sei col resto di due”). “Che questa speranza di cambiamento non venga travolta da chiusure settarie, diffidenze, personalismi”, era l’eco proveniente dalle pagine di Repubblica, dove, a parte un Curzio Maltese misteriosamente previdente (perché “non consulta la base”, questa “rockstar populista”?, si domandava), era tutto un prodigarsi di amici (Roberto Saviano, Michele Serra, Jovanotti, Carlo Petrini, Oscar Farinetti, Ferzan Ozpetek, Fabio Fazio), tutti intenti a supplicare “come Troisi e Benigni mentre scrivono la lettera a Savonarola” (copyright Luca Sofri, direttore del Post – e Benigni compariva davvero tra i firmatari). “Volevano un governo di cambiamento con Casaleggio… ricordarsene, in questi momenti”, scrive oggi su Twitter Christian Rocca, direttore di IL, ma c’è chi lo rifarebbe, l’appello, “e con più forza”, come dice al Foglio il professor Tomaso Montanari, storico dell’arte.

    Eppure la setta era già lì, in bella vista, e pure il Grillo che caccia tutti era lì, incurante delle accorate lettere aperte di Paolo Flores d’Arcais (che oggi, con Spinelli, spera in Alexis Tsipras, ma ieri, da elettore dichiarato dei Cinque stelle, chiedeva al M5s di scegliere tra “autismo” e “azione”, “dialogo” e uscita “dall’isolamento”). Solo che oggi non può prevalere l’ottimismo della volontà, e infatti Michele Serra, infastidito di fronte al cinque stelle Luigi Di Maio che si attacca ai “pizzini” di Renzi, scrive: “Se la pubblicazione su Facebook dei biglietti privati scambiati alla Camera tra Renzi e il grillino Di Maio è ‘trasparenza’, come lo stesso Di Maio spiega, tanto vale abolire la privacy… Io, se fossi Renzi, a Di Maio toglierei il saluto vita natural durante:… niente è più scorretto e vigliacco che rubare opinioni private per renderle pubbliche”. Magari fosse questo il problema, ma molti ex appellisti non si rassegnano (tacciono, al momento, Settis e Bodei; Fazio non se ne cura, complice Sanremo, e Spinelli per ora non torna sugli argomenti toccati un mese fa in un’intervista alla Stampa, in cui riapriva il credito verso il M5s (vediamo cosa propongono) e diceva: “L’appello va rifatto ogni giorno”).

    E oggi Montanari dice: “Grillo avrebbe fatto bene a darci retta. Resto convinto che con un governo Rodotà, e con una presidenza della Repubblica targata Prodi, le cose sarebbero andate meglio di come sono andate con Giorgio Napolitano, Enrico Letta e Matteo Renzi. Dopo il varo del governo di larghe intese, Grillo ha cominciato a sprecare il suo capitale elettorale, avviandosi lungo la strada che ha portato alle buffonate di questi giorni”. Sempre colpa degli altri, dunque? Non sarà che Grillo era già altra cosa da quello che era sembrato a occhi innamorati? Per un Ernesto Galli della Loggia meteora dell’endorsement (prima del voto politico del 2013 si era dichiarato pro Cinque stelle in prima pagina sul Corsera, ma già un mese dopo preannunciava “flop politici” a chi si addormentava nello “splendido isolamento”), ci sono ancora intellò che, pur vedendo “crescere lo spread tra Grillo e il suo elettorato”, come dice Montanari, ancora sperano che Grillo smetta di “rappresentare malissimo” una base che “non era lontana”, nelle “richieste di buon senso”, dalla base del Pd. E ora che persino il mite Federico Pizzarotti, sindaco a cinque stelle di Parma, dice di avere “l’amaro in bocca” per le espulsioni, è dura ricordare le parole di Bill Emmott, ex direttore dell’Economist, per cui Grillo poteva ben dare la sveglia “all’Italia in coma”.

    • Marianna Rizzini
    • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.