Chi sono loro per giudicare?

Il prezzo dei nostri Marò

Alessandro Giuli

Giudici che possono dare l’ergastolo a due gay hanno nelle loro mani due italiani. Bisogna anzitutto immaginarsela a parti invertite, la storia dei nostri due Marò sotto sequestro in India, vittime del pavore italiano e del titanismo degenerato degli indiani. Bisogna fantasticare su un’orda di dravidici senza-casta, consanguinei alla plebe oscura del Kerala, che assalta la nostra ambasciata a Nuova Delhi fra sibili e ringhi per intimare la restituzione di due marinai messi in cattività dall’Italia (li riavrebbero presto a casa, infiocchettati con nastri dorati di scuse).

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    Giudici che possono dare l’ergastolo a due gay hanno nelle loro mani due italiani. Bisogna anzitutto immaginarsela a parti invertite, la storia dei nostri due Marò sotto sequestro in India, vittime del pavore italiano e del titanismo degenerato degli indiani. Bisogna fantasticare su un’orda di dravidici senza-casta, consanguinei alla plebe oscura del Kerala, che assalta la nostra ambasciata a Nuova Delhi fra sibili e ringhi per intimare la restituzione di due marinai messi in cattività dall’Italia (li riavrebbero presto a casa, infiocchettati con nastri dorati di scuse). Un brahmano hindu proverebbe vergogna e sdegno per la sua gente, ma oggi l’India è una megamacchina moderna poco sacerdotale e molto sicura di sé: un miliardo di cittadini con la bomba atomica può dare del “tu” alla Cina e disprezzare i deboli. E Roma, nel caso dei Marò, ha mostrato fin da subito segni di debolezza nell’intera sua catena di comando.
    Non serve più indulgere nell’anamnesi, sul contegno inane dell’ex ministro Terzi e del cicisbeo Staffan de Mistura e della pallida Bonino esiste letteratura a sufficienza. Meglio interrogarsi sull’interesse nazionale, per non dire dell’onore, e riversarlo nell’azione con intelligenza pratica. I Marò bisogna riportarli qui, sono diventati una questione di principio, il simbolo bicefalo dell’arroganza occidentalizzata dell’India e del flaccido levantinismo italiano.

    Si tratta di riequilibrare i ruoli, accettando di correre alcuni rischi non soltanto diplomatici. Un esperto come Alfredo Mantica – due volte sottosegretario agli Esteri con Berlusconi premier (2001-2005; 2005-2006) – denuncia “l’allucinante serie di esperienze patite anche dai civili italiani” che hanno traversato la giungla giudiziaria indiana, invoca aiuti amichevoli e suggerisce ritorsioni unilaterali: “Se è vero che Matteo Renzi si prepara a incontrare Barack Obama, esiga da lui un intervento politico pubblico”. Ancora parole? “No, c’è la possibilità di presentare questo ragionamento all’Onu e a tutta la comunità internazionale: se voi accettate che i nostri militari siano trattati come terroristi, significa che non avete bisogno di altre truppe di ‘terroristi’ italiani impegnati in operazioni di pace dal Libano all’Afghanistan”. C’è anche la facoltà di richiamare temporaneamente l’ambasciatore italiano da Nuova Delhi. “Sì, ma intanto si potrebbe da subito dichiarare l’India ospite non gradito all’Expo del 2015”. Se esistesse un’Europa politica, si potrebbe utilizzare un’altra leva convincente ma a quanto pare soltanto Antonio Tajani (vicepresidente dell’Eurocommissione) si è impegnato per frapporsi all’accordo di libero scambio tra India e Ue (lo ricordava Fausto Biloslavo sul Giornale un mese fa). Quanto invece ai rapporti d’intelligenza finanziaria fra i campioni di stato italiani e il governo indiano, sui quali grava il sospetto che siano i veri elementi paralizzanti nella controversia sui Marò, basta ricordare che i primi a muovere gli scudi sono stati gli indiani che hanno congelato il contratto di fornitura degli elicotteri AgustaWestland da parte di Finmeccanica.

    Una perfetta sintesi conclusiva la fa Gianni Vernetti, ex sottosegretario alla Farnesina durante l’ultimo governo Prodi (2006-2008), amico del Foglio con fama specchiata di atlantista (vorrebbe intervenire in Siria contro Assad anche senza mandato Onu). Vernetti esige da Renzi “una sana drammatizzazione internazionale” del caso Marò, “con toni assertivi” e minacce precise: “E’ in gioco l’interesse nazionale, in una faccenda che deve riguardare da vicino tutti i nostri alleati. Per cominciare occorre disimpegnarsi da ogni missione anti pirateria sotto l’egida europea, poi si deve esaminare l’ipotesi di ritirarci dalle operazioni di peacekeeping sotto egida Onu. Così Lady Ashton e Ban Ki-moon smetteranno di dire che il problema è tra Roma e Nuova Delhi. Infine, ed è la cosa più importante, si deve ottenere una riunione del comando politico della Nato dove farsi ascoltare dai principali stati-membri, America e Gran Bretagna. Ecco, se si parla di legami bilaterali, mi piacerebbe vedere Renzi e Cameron a colloquio, con il premier italiano che esorta il collega inglese a far valere la storica, special relationship di Londra con l’India”. Si può fare molto, tranne tacere. “Il nostro errore più clamoroso è stato cedere alla politica del silenzio-stampa praticata dai governi Monti e Letta”.

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