Delenda Roma
E allora demolitela questa Capitale guidata da un sindaco pavido, incapace di sdradicare i clientelismi annidati nelle ramificazioni del Campidoglio sotto forma di carrozzoni aziendali inefficienti diventati postifici pubblici. Fate entrare la troika, i commissari, qualcuno che abbia il coraggio di prendere l’emergenza dal verso giusto senza chiudere gli occhi davanti alla palese realtà della “città eterna” che ha uno squilibrio di bilancio strutturale da un miliardo di euro ogni anno e che va fermato.
E allora demolitela questa Capitale guidata da un sindaco pavido, incapace di sdradicare i clientelismi annidati nelle ramificazioni del Campidoglio sotto forma di carrozzoni aziendali inefficienti diventati postifici pubblici. Fate entrare la troika, i commissari, qualcuno che abbia il coraggio di prendere l’emergenza dal verso giusto senza chiudere gli occhi davanti alla palese realtà della “città eterna” che ha uno squilibrio di bilancio strutturale da un miliardo di euro ogni anno e che va fermato. Eppure il sindaco Ignazio Marino si discolpa, dissimula, invoca il sostegno dei cittadini e chiede loro di prendere in mano i forconi contro lo stato. Chiede che il governo Renzi gli tolga le castagne dal fuoco per decreto, e forse lo farà domani con un nuovo “Salva Roma”. Un intervento già bloccato per due volte, la prima dal Quirinale e la seconda dal Parlamento due giorni fa. Il chirurgo trapiantato in Campidoglio pretende quei 485 milioni. Ma non vuole condizioni per ottenerli, non si impegna. Eppure tutto si gioca sui vincoli eventuali che porrà l’esecutivo. In radio e in televisione per tutta la giornata di ieri l’ha messa giù come se fosse una questione di sopravvivenza. O i soldi o chiudono gli asili. O i soldi o fermo gli autobus. O i soldi o blocco tutto. O i soldi oppure le tasse, cari romani, aumenteranno ancora; e già sono le più alte d’Italia. Eppure forse il sindaco non sa – o finge di non saperlo – che i soldi in cassa ci sono e che di quei 485 milioni si è già fatto carico il commissario al debito, Massimo Varazzani, compensando l’ammanco in forza del decreto 126 del dicembre 2013 – non convertito ma efficace ai fini contabili del bilancio dell’anno scorso, sebbene siano poste per competenza e non per cassa. Perciò il comune già vanta un credito verso quell’autorità statale di liquidazione (una bad company) che fu creata nel 2008 per scaricare negli anni i debiti pregressi di Roma Capitale. Anche per questo la questua di Marino assume dei tratti grotteschi. E’ palese che Marino si sia fatto carico delle mancanze della gestione Alemanno, in carica per il precedente mandato, ma è la fuga dalla realtà del sindaco a lasciare perplessi molti osservatori sia avversari sia tifosi. “Non è mica il sindaco di un paesino come Sgurgola, con tutto il rispetto per loro, ma il sindaco di Roma, il luogo in cui risiedono tutte le ambasciate del mondo, il Vaticano e deve avere quantomeno un senso di sé, ma è inadeguato”, è uno dei commenti tra gli ex alti in grado delle precedenti amministrazioni.
Il sindaco dalle promesse di rinnovamento e rivoluzione civile, in carica da otto mesi, sente il fiato sul collo. Qualcuno degli avversari del centrodestra chiede le sue dimissioni. Ma lui ha già messo le mani avanti in una delle tre interviste, quasi degli autogol, prodotte ieri: “Se io mi dimettessi – ha detto a Radio Radio, il colloquio mediatico del primo pomeriggio – arriverebbe un commissario che farebbe a Roma esattamente quello che fa un commissario liquidatore di un’azienda, cioè la chiude”. Oppure farebbe quello che lui preferisce evitare di fare: “Dovrebbe licenziare il 50 per cento del personale, cioè 12.500 persone del comune di Roma, dovrebbe licenziare almeno il 50 per cento di quello dell’Ama, quindi altre 4.000 persone, dovrebbe vendere l’Atac a dei privati dando a essi il potere di mandare via il 50 per cento del personale amministrativo”. E poi “vendere Acea consegnandola ai privati”. E’ drastico il sindaco “straniero” venuto da Genova, forse esagera coi tagli del commissario fantasma. Dimostra, però, di sapere quali sono le grane. Certo poi che “con o senza Salva Roma, l’Atac rischia di non arrivare a marzo e ha bisogno di una ricapitalizzazione immediata”, allarme che arriva dal consigliere comunale radicale Riccardo Magi appartenente alla stessa maggioranza del sindaco. Come ha ricordato sul Messaggero l’economista Oscar Giannino l’esperimento del commissariamento è stato provato ad Alessandria, l’unico punto di riferimento in Italia, ma si è rivelato deludente. E forse un ipotetico “commissario romano” avrebbe poche chance di dribblare i potentati della Capitale, ma certo avrebbe il pugno di ferro per farlo. Quel che a Marino pare mancare.
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