Viaggio fra i nativi digitali che salveranno la carta dai nostalgici
Delay Gratification, nomen omen, è una rivista che si fa beffe del fast journalism dei nostri tempi: in un’epoca di commenti continui 24 ore su 24, questo magazine inglese nato nel gennaio 2011 viene stampato ogni quattro mesi e racconta in modo approfondito grandi e lunghe storie di attualità, accompagnandole con infografiche e analisi di esperti. Anorak è una rivista per bambini “di tutte le età”, piena di favole e illustrazioni scritte e disegnate da collaboratori sparsi in tutto il mondo.
Delay Gratification, nomen omen, è una rivista che si fa beffe del fast journalism dei nostri tempi: in un’epoca di commenti continui 24 ore su 24, questo magazine inglese nato nel gennaio 2011 viene stampato ogni quattro mesi e racconta in modo approfondito grandi e lunghe storie di attualità, accompagnandole con infografiche e analisi di esperti. Anorak è una rivista per bambini “di tutte le età”, piena di favole e illustrazioni scritte e disegnate da collaboratori sparsi in tutto il mondo. Elephant è un quadrimestrale visionario che “esplora moda e idee nell’arte contemporanea” aiutandosi soprattutto con le fotografie. Queste appena descritte sono solo tre delle ventidue riviste che gli abbonati a Stack hanno ricevuto negli ultimi anni per posta. Inventata nel 2008 da Steven Watson in Inghilterra, Stack è una società che si occupa di scovare in giro per il mondo le migliori riviste cartacee indipendenti e spedirle a sorpresa a chi si abbona sul sito internet.
Steve, 34 anni, parla al Foglio di questa riscoperta della carta da parte delle nuove generazioni cresciute a blog e social network, e del successo insperato della sua idea. E a sentirlo si direbbe che sfogliare una rivista ben impaginata, con foto d’autore, articoli lunghi e approfonditi, stampata su una carta di qualità, può essere un piacere non riservato esclusivamente a vecchi borghesi in vestaglia seduti nella propria poltrona in pelle davanti al camino, mentre sorseggiano brandy accarezzando un levriero.
“Per lavoro leggo molto – dice Watson al Foglio – scrivo di magazine, faccio recensioni video settimanali, ne parlo a eventi e convegni e in generale cerco di partecipare a qualsiasi appuntamento mi permetta di diffondere il verbo di queste riviste”. Il tutto è partito verso la fine del 2008: “Lavoravo a questo progetto una volta la settimana – spiega Steve – ma negli ultimi anni l’impegno è cresciuto sempre di più: dalla prossima settimana Stack diventerà per la prima volta il mio unico lavoro, il che è molto eccitante, anche se mi spaventa un po’”. Scommettere su un sistema di abbonamenti postali a riviste cartacee suona come una follia a metà strada tra il naïf e il suicidio professionale, eppure Steve è convinto che ci siano margini di crescita.
Oggi Stack spedisce le sue riviste in tutto il mondo – ci si abbona sul sito stackmagazines.com, arrivano anche in Italia – è una bella idea, ma di nicchia: “Quando ho iniziato pensavo che sarebbe bastato mettere in piedi il servizio, avere un po’ di visibilità sulla stampa e il tutto sarebbe andato avanti senza intoppi. Non è andata proprio così. Ora però le cose sono cambiate, e sono arrivato a un punto in cui il lavoro da solo può darmi da vivere. Con più tempo da dedicargli, Stack diventerà migliore e più grande”. Steve non si è mai fatto impressionare dagli esperti che già anni fa seppellivano la carta sotto un mucchio di terra digitale. Non esiste dicotomia tra informazione cartacea e digitale, sostiene: “Credo che chi parla di questo argomento cada in diverse trappole: da una parte c’è la nostalgia di chi sostiene che ci sia qualcosa di magico nell’inchiostro stampato su carta e che questo resisterà sempre, non importa come. Dall’altra parte c’è chi pensa che il digitale spazzerà via tutto il resto perché è il modo migliore per pubblicare. Sbagliano entrambi”.
Calma, dice Steve, innanzitutto non c’è nessuna guerra tra carta e web: “Sono media differenti che servono a fare molto bene cose diverse tra loro”. Semplificando il concetto, “il digitale è lo strumento migliore per trovare e conservare un’enorme quantità di informazioni rapidamente ed economicamente, mentre la carta è il mezzo più adatto a delimitare i contenuti e a integrarsi con la nostra vita fisica. In pratica, quando voglio informarmi su un certo argomento, leggere le ultime notizie o cercare qualcosa di interessante uso il digitale. Quando voglio prendere del tempo per me, rilassarmi, rallentare il ritmo e immergermi in un’esperienza gratificante passo alla carta”.
Nell’immaginario collettivo, però, ormai sfogliare una rivista è visto come un gesto antico, passato di moda, figuriamoci idearne e stamparne una. “Vado spesso a parlare nelle università e nei college, che ovviamente sono pieni di nativi digitali – continua Steve – e noto che molti sono realmente interessati alle potenzialità della carta”. Questo non vuol dire che dobbiamo aspettarci un ritorno della stampa come nel periodo pre internet: “Quei giorni sono passati”, dice Steve senza neppure affettare nostalgia (sentimento che gli verrebbe comunque difficile provare, a 34 anni). “I piccoli editori con cui lavoro non sono interessati a una posizione dominante sul mercato, a loro basta creare un business sostenibile per comunicare le proprie idee a un pubblico fedele, e la carta è il modo più congeniale per farlo”.
Questi prodotti sono infatti l’opposto dei generalisti: iperspecializzati, monotematici, vanno dalla rivista di arte e sport a quella per appassionati di biciclette passando per quelle di architettura, cibo, street art e cinema. Tutti accomunati da una grafica innovativa e contenuti curati nei minimi dettagli, anche per settimane prima della pubblicazione. Sorprende che a buttarsi in imprese del genere oggi siano ragazzi giovani e non gruppi di fuoriusciti dai giornali vecchio stile. Poiché non stiamo parlando di luddisti fuori tempo massimo, tutte queste riviste hanno siti internet continuamente aggiornati e altrettanto curati. “La maggioranza delle riviste che distribuiamo con Stack sono fatte da persone attorno ai trent’anni, alcuni anche più giovani. Non so se però basti questo a renderli prodotti giovanili. Quel che penso è che un ragazzo oggi dovrebbe sfogliare e leggere un magazine perché è un buon modo per staccarsi finalmente per un po’ dai nostri schermi”, siano essi quelli del computer, del tablet o dello smartphone. Schermi che, conclude Steve, non riescono a farci “rilassare e immergere nell’esperienza meravigliosa che una grande grafica editoriale e stampata su carta è in grado di trasmettere”.
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