La regina Maria Elena

Marianna Rizzini

Un anno fa, quando tutto era ancora sospeso nell’aria stupefatta del dopo-elezioni e la non-formabilità di un qualsiasi governo angustiava una larga fetta dei nuovi parlamentari, i deputati renziani di stretta osservanza si aggiravano per strada con l’aria del cinese che dalla riva del fiume vede passare anzitempo il cadavere del nemico (e con lo sguardo di chi dice: tanto non è colpa nostra. Non avete votato Matteo Renzi alle primarie? Ecco il risultato). Da nuovi arrivati senza il carico di una non-vittoria elettorale sulle spalle, esploravano il Parlamento, esploravano Roma.

    Un anno fa, quando tutto era ancora sospeso nell’aria stupefatta del dopo-elezioni e la non-formabilità di un qualsiasi governo angustiava una larga fetta dei nuovi parlamentari, i deputati renziani di stretta osservanza si aggiravano per strada con l’aria del cinese che dalla riva del fiume vede passare anzitempo il cadavere del nemico (e con lo sguardo di chi dice: tanto non è colpa nostra. Non avete votato Matteo Renzi alle primarie? Ecco il risultato). Da nuovi arrivati senza il carico di una non-vittoria elettorale sulle spalle, esploravano il Parlamento, esploravano Roma. Sceglievano il locale per gli incontri politici e quello per il drink serale dopo l’Aula, prendevano casa e non fuggivano la ribalta mediatica (immediatamente riconoscibili per questo, se non per altro, tra le decine di grillini preventivamente ingrugniti e le decine di colleghi del Pd bersaniano preoccupati per la piega presa dagli eventi). Erano quattro amici al bar, ora invece sono al governo (ma non tutti). Erano quattro amici al bar e tra gli amici – a Roma come prima a Firenze – c’era Maria Elena Boschi, attuale ministro renziano per le Riforme e i rapporti con il Parlamento. Boschi il ministro fotografato (ma perché sceglie i tailleur di Zara?, si sono chiesti gli sfaccendati davanti alle immagini del giuramento al Quirinale, poi messi a tacere da chi ha visto nell’acquisto di un capo così economico un genuino preludio di spending review). Boschi il ministro visto mille volte in tv (mandano lei perché nessuno la zittisce, neanche Daniela Santanchè, hanno detto gli analisti mediatici, subito rimbeccati da altri analisti mediatici convinti che sia soprattutto l’immagine da “fidanzata d’Italia” che rassicura sul futuro non più cupo la chiave del successo da talk-show). Oppure Boschi il ministro giovane (“Una del 1981 ai Rapporti col Parlamento? auguri”, hanno detto i critici della rottamazione, a loro volta criticati da chi, come Renzi, pensa che “a trentotto anni si sia pronti per fare qualsiasi cosa”, e allora perché non iniziare a trentatré). E ancora Boschi il ministro che, da responsabile Riforme in segreteria, doveva andare a parlare con questo e quell’altro emissario del Cav. (è lei che tratta con Denis Verdini?, si chiedevano i retroscenisti, smentiti o confermati a seconda del giorno. Unica certezza: il Cav. che consigliava ai suoi mattatori da salotto tv di copiare “lo stile Boschi”. I due si erano pure incontrati, al teatro Regio di Parma, e il Cav. aveva detto a Boschi “lei è troppo carina per essere comunista”, e Boschi aveva risposto “i comunisti non esistono più”). Mancava, al catalogo della Boschi-mania, la polemica sul sessismo (Enrico Lucci delle Iene l’ha offesa o fa così con tutti?, si sente chiedere in giro dopo l’agguato-intervista di Lucci al neo ministro, con tanto di complimenti pesanti; e Virginia Raffaele a “Ballarò” l’ha imitata in modo oltraggioso oppure no?, si legge sui siti dove campeggia lo sketch di una Boschi-Raffaele suadente con i capelli che volano come in uno spot per shampoo miracolosi – “stereotipi di genere”, gridano alcuni, “permalosi”, rispondono altri). E meno male che lei, Maria Elena Boschi, aveva descritto la reazione da tenere di fronte agli scherzi da caserma quando ancora non era un ministro appena nominato e già alle prese con tutte le possibili beghe sull’Italicum, gli emendamenti, i sottosegretari contestati e difesi a colpi di garantismo (“noi non facciamo dimettere nessuno per un avviso di garanzia, rispettiamo i princìpi della Costituzione che comprendono la presunzione di innocenza, altro sono le valutazioni di opportunità politica”, ha detto Boschi a proposito di Francesca Barracciu, mentre già si levava la voce di chi contestava a suon di “e però Antonio Gentile, sottosegretario di area Ncd, si è dovuto dimettere, e non era neppure indagato”). Si era dialetticamente attrezzata contro gli scherzi da caserma, dunque, Boschi, e a Lucia Annunziata che, a “In mezz’ora”, due mesi fa, le chiedeva conto dei pregiudizi sessisti verso le donne che fanno politica, prima a destra (senza difesa da parte delle colleghe di sinistra) e ora a sinistra (beffa del destino?), rispondeva che sì, ci si poteva vedere “un contrappasso”, ma non ci si doveva “far distrarre dalle note di colore” e bisognava puntare “a essere giudicate dai fatti”, occupandosi “di cose serie”. Perché Boschi, da quando è entrata in segreteria pd (nel dicembre del 2013, dopo la vittoria di Renzi alle primarie), e tanto più oggi da ministro, si fa scudo ripetendo “noi studiamo”, “noi facciamo”, formula che serve a colpire nell’immaginario i delusi dal grillismo congelato dal malumore di Grillo, ma anche ad autorincuorarsi in mezzo alle difficoltà che spuntano come funghi lungo il cammino del neofita dei Palazzi. “Noi studiamo”, cioè noi non abbiamo il complesso del dover essere politicamente raffinati.
    “Noi”, mai “io”: ma perché la Boschi si dà del “noi”?, scherzano i cronisti parlamentari che tutto sanno e tutto ascoltano. Ma Boschi di quel “noi” fa motivo d’orgoglio: siamo una squadra, siamo amici che inseguono un sogno, diceva sul palco della Leopolda 2012; vogliamo permetterci il lusso di restare amici, diceva in un’intervista al Corriere dopo la Leopolda 2013, ma vai a capire se è possibile restare tutti amici a gradi così diversi di visibilità (del gruppo originario pochi sono ora in pole position). In ogni caso Boschi, da deputato semplice, faceva eccezione alla riconoscibilità immediata dei nuovi renziani in Parlamento: vuoi per età vuoi per iniziale ritrosia, nei primi giorni di legislatura Maria Elena fu spesso scambiata dai commessi per una neo deputata a Cinque stelle, come ha scritto David Allegranti sull’Huffington Post (sempre Allegranti, all’indomani della Leopolda, parlò, sul Corriere fiorentino, della valenza simbolica delle formidabili anche se diversamente eleganti scarpe maculate indossate da Boschi sul palco, quelle che la lanciarono nell’empireo mediatico come “la giaguara”, soprannome che Boschi detesta cordialmente). Fatto sta che quelle scarpe parvero – anche se non furono – un modo per esorcizzare, in vista della vittoria alle primarie, l’avversario e mancato smacchiatore di giaguari Pier Luigi Bersani. Un attimo sul palco, un attimo di scarpe, e un discorso accorato da organizzatrice dei “cento tavoli” tematici (talmente tanti e tutti uguali nell’aspetto, roba che neanche a un matrimonio, che qualcuno tra gli avventori si confuse, andando a sedersi al tavolo “economia nei territori” invece che a un meno ostico tavolo “giardini”). Dopo quel giorno Boschi non ha più avuto anonimato da deputata alla prima legislatura che il weekend torna in Toscana e fa la vita normale di una ragazza di trentatré anni: amici, cena fuori, un concerto (non più Bruce Springsteen come qualche anno fa, ma jazz e altra musica dal vivo), qualche festa, l’aperitivo fiorentino in piazza, ma senza paparazzi, un cinema, la vacanza al mare da immortalare nelle foto e postare su Facebook, con sfondo di tramonto e abbronzatura spensierata, perché tanto nessuno ci fa caso.

    Dopo la Leopolda, Boschi si è dovuta trasformare in quello che non aveva ancora avuto bisogno di essere: un altro volto da battaglia del renzismo che avanzava (dopo Simona Bonafé e Matteo Richetti), con tutte le conseguenze del caso in termini di attenzione smodata su ogni sua parola e posa e abitudine (quanta fatica per una serata come Dio comanda con gli ex compagni di università, ha detto Boschi a un amico quando si è resa conto che persino cazzeggiare come tutti i venerdì sera era diventato impossibile). Perché poi Maria Elena Boschi, pur essendo da tempo abituata alla vita di città, è cresciuta in provincia di Arezzo, a Laterina, borgo altrimenti noto come “il paese di Pupo”, in un villino che s’affaccia sulla campagna, con un padre ex dirigente della Coldiretti (anche presidente di un consorzio vinicolo nonché membro di cda in Banca Etruria), con una madre preside e vicesindaco del paese che ha rinunciato a candidarsi a sindaco per evitare di creare problemi alla figlia e con due fratelli belli (pare) quanto il ministro. Come capita a tutte le ragazze di buona famiglia e di provincia, la prima porta sul mondo si aprì per Boschi nel liceo di città, in questo caso lo storico liceo Petrarca di Arezzo, scuola pubblica ma a suo modo elitaria come tutti i migliori licei di provincia: o studi o studi, al Petrarca, e se studi con quei professori di greco e latino senza dire “bah” vuol dire che fai già parte di una famiglia di gente che pensava di farti diplomare nel luogo più adatto a far da anticamera alla più alta carriera possibile. Furono, quelli del liceo, anni di compiti, catechismo e gite da “Papa-girl” (copyright Vittorio Zincone, in un’intervista all’allora deputata su Sette del Corriere). Furono anni di recite in oratorio (Boschi compare in una vecchia foto scovata dai giornali locali con il velo da Madonna e un bimbo in braccio). C’è, a Laterina, l’ex parroco che sgridava Maria Elena se durante la gita parrocchiale a Parigi tornava troppo tardi; c’è l’ex compagna di scuola timida che è cresciuta facendo altre scelte; c’è la signora che vede il ministro a messa quasi tutte le domeniche (Boschi è cattolica e quando può torna a casa, dove mangia, dicono le entusiastiche cronache dalla Valdarno, i “cenci fritti” nel bar sulla piazza). C’è anche, a Laterina, il sindaco Massimo Gennai che racconta alle web tv del telegramma di “buon lavoro” mandato a Maria Elena il giorno del giuramento, con la firma di tutto il consiglio comunale tranne Stefania Agresti, vicesindaco e madre di Maria Elena (era con lei al Quirinale, commossa e vestita con un cappotto simile a quello indossato dal ministro nelle foto di quest’inverno: avvolgente e con un collo importante). Maria Elena ha visto sua madre alle prese con la politica locale per dieci anni, ma questo non vorrebbe dire nulla, di per sé. Eppure, nel delirio collettivo di questi giorni, c’è chi ci ha letto un segno premonitore di un futuro possibile scenario: Boschi sindaco di Firenze (“figurati”, dice un deputato renziano).

    Tutta Laterina gioisce, in questi giorni, tutta Laterina si stringe a tenaglia per proteggere la ragazza che a diciotto anni indossava pantaloni mimetici, maglione informe e scarponi da trekking ora impensabili (ora Boschi mette pantaloni alla caviglia, colorati o jeans, con camicia di seta e giacca, pure quelle colorate, magari fucsia magari rosa chiaro magari bluette; e senza tacchi non si muove, Boschi, se non a tarda sera quando esce dalla Camera e non deve andare a cena: a quel punto toglie il tacco e infila le ballerine usa e getta comprate in farmacia).

    Tutta Laterina ricorda quando Maria Elena si laureò (a Firenze), con il massimo dei voti, in Giurisprudenza, con un master in Diritto societario, per poi entrare come secchionissima praticante e successivamente come giovane avvocato nel noto studio del professor Tombari. L’avvocatura sarebbe stata la strada, probabilmente, se in quello studio Maria Elena non avesse cominciato a interessarsi attivamente di politica su invito del collega e amico Francesco Bonifazi, attuale tesoriere del Pd renziano, avvocato poco più grande di lei, allora già impegnato a sinistra. Era il 2009 e Bonifazi, con Boschi e altri ragazzi, sosteneva Michele Ventura (dalemiano) alle primarie per il sindaco, quelle vinte da Matteo Renzi. Eletto consigliere comunale, Bonifazi, da “riformista”, così disse poi, si trovò presto in sintonia con l’ex “nemico” Renzi. Fu Bonifazi a presentare al sindaco Maria Elena, in qualche modo già inconsapevolmente renziana: “lib” in tema di lavoro e carica di entusiasmo pre-politico per il nuovo linguaggio di Palazzo Vecchio. Nei giorni in cui il neo sindaco cercava giovani professionisti per pareri e collaborazioni nel nuovo corso dell’amministrazione, Boschi divenne consulente legale a titolo gratuito (leggenda dice che Boschi avesse dato un parere decisivo a Renzi a proposito di un inghippo legale sulla privatizzazione dell’Ataf, l’azienda tramviaria locale di cui Maria Elena parla volentieri. L’ha fatto qualche mese fa a “Piazzapulita”, davanti all’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno, magnificando il sistema di acquisto biglietti via sms – perché non farlo anche a Roma?, era il suggerimento implicito, ma le facce degli astanti tradivano perplessità: ce lo vedi il romano che compra il mai timbrato biglietto via sms?). Qualcuno dice invece che lo scioglimento della questione legale che teneva imbrigliata la privatizzazione dell’Ataf fu un lavoro di squadra tra Boschi e un ufficio del comune, ma il risultato non cambia: Boschi risultò brillante e adatta al “sogno” della rottamazione & rivoluzione. E però, pur nominata nel cda di Publiacqua, restò attivista renziana a intermittenza, con un impegno confinato alle prime Leopolde tra “amici del bar in politica”.

    Tra il momento “amici del bar in politica” e la carriera politica vera e propria c’è stata la distanza di una telefonata. “Pronto Mari, sono Matteo, sei dei nostri per le primarie?”. Era l’estate del 2012. “Mari”, il futuro ministro, era in vacanza in Sardegna con il fidanzato di allora (a Firenze lo descrivono così: “Regista teatrale di pièce acculturate, molto viste anche dagli studenti delle superiori, attore e sceneggiatore, bel tipo”). La storia poi finirà e Boschi parlerà del suo ex in un’intervista a Chi dell’autunno scorso, con estremo savoir faire – “ragazzo bellissimo e in gamba”, dirà, e si dichiarerà momentaneamente single, ma con la famiglia e un figlio in mente per il futuro. Nell’estate del 2012, però, nel bel mezzo di quella vacanza romantica, non la coppia ma la decisione improvvisa da prendere la angustiava. Che faccio?, e come faccio con il lavoro? Posso mollare tutto per tre mesi? Si trattava di organizzare i comitati pro Renzi in vista delle primarie del 2012, quelle in cui Renzi non vinse, ma in cui gettò la basi per la vittoria dell’anno dopo. Hai un giorno per pensarci, le aveva detto il sindaco. Boschi ci pensò per meno di un giorno, e fu l’inizio della sua seconda vita. La vita in cui Maria Elena molla tutto per tre mesi. Va sul camper. Telefona. Fa. Rilancia (sempre in trio con l’attuale deputata Simona Bonafé e con la commercialista fiorentina ed ex assessore Sara Biagiotti). Poi sale sul palco e fa un discorso sui sogni “che a trent’anni vale la pena di inseguire”, anche a costo “di non dormire”. Perde con Renzi ma allo stesso tempo vince con Renzi (nel giro di tre mesi arriva in Parlamento – e vai a pensare che neanche un anno dopo sarebbe diventata ministro).

    Solo il tempo dirà se Boschi potrà continuare a darsi del “noi”. Solo il tempo dirà se è semplice rotazione di ruoli oppure stacco netto di un giocatore sull’altro la staffetta televisiva vista negli ultimi mesi tra Bonafé e Boschi (prima si vedeva soprattutto Bonafé, poi soprattutto Boschi), una staffetta considerata dai maligni come l’avvisaglia di un avvicendamento ai vertici nell’inner circle renziano (“Bonafé senza ministeri?”, trasecolavano gli osservatori nei giorni della formazione del governo). “Sessismo, pure questo è sessismo, sarò felice quando farete gli stessi ragionamenti sui deputati e sui ministri maschi”, dice Boschi ai cronisti in Parlamento. “Categorie vecchie, discorsi vecchi”, ripete ora che è al centro dell’attenzione (e nel mirino degli avversari).

    Chi la conosce dai tempi dell’impegno organizzativo nel primo renzismo, dice che non è cambiata: Boschi “è un tecnico”, “si sente un tecnico che lavora su un problema concreto”, dicono gli osservatori. “Concretamente” è infatti l’avverbio che più usava Boschi a “Ballarò” e a “Porta a Porta” nei dibattiti pre e post primarie, seduta composta in poltrona (“bellezza rinascimentale”, dicevano rapiti i giornalisti più cinici), con il vestito a maniche corte e i capelli lisci e gli occhi azzurri allarmati di chi sa già che qualcuno tenderà il trappolone (volete rinchiudermi nello stereotipo della bella donna in politica? Tiè, io vi dimostro che non me ne importa niente, mi giudicherete dai fatti oltreché dal curriculum). “Sguardo da bambola”, dicevano pigramente i decrittatori di immagini televisive, ma Boschi aveva intenzioni da caterpillar e, rifugiandosi nei tic da pratica avvocatizia, sfoderava senza soste arringhe renziane-doc, programmi e propositi, e rispediva al mittente gli attacchi con aderenza assoluta alle parole d’ordine dell’allora quasi-premier: faremo questo e quello, entro questa e quella data, con questa e quella priorità. Sottinteso: voi che criticate siete solo spaventati dal nuovo, e non avete di meglio da fare che attaccarvi al mio aspetto fisico per attaccarci tutti. Ed era quello il modo per riportare a galla il rassicurante “noi”, spada laser automotivazionale nelle Guerre Stellari tra mondo del prima e mondo del poi, quando ancora il mondo del poi sembrava di là da venire (due settimane dopo Renzi diventava premier).

    • Marianna Rizzini
    • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.