Speciale online - Il buono e il cattivo

Callejon mette d'accordo Benitez e Mourinho, Honda piace (forse) solo a Galliani

Sandro Bocchio

Riuscire a mettere d'accordo Rafa Benitez e José Mourinho è impresa ai confini delle capacità umane. Ogni particolare li divide: carattere, tattica, scelte professionali, con la comune esperienza all'Inter a fungere da abisso invalicabile. Tutto in casa nerazzurra si misura in prima e dopo-Mou, e al povero Benitez toccò il ruolo ingrato di successore immediato. Impossibile sostituire la donna amata che ti ha lasciato, tutti sappiamo come andò a finire. Ma se si parla di José Maria Callejon allora le contrapposizioni si dissolvono, le differenze si armonizzano.

    Riuscire a mettere d'accordo Rafa Benitez e José Mourinho è impresa ai confini delle capacità umane. Ogni particolare li divide: carattere, tattica, scelte professionali, con la comune esperienza all'Inter a fungere da abisso invalicabile. Tutto in casa nerazzurra si misura in prima e dopo-Mou, e al povero Benitez toccò il ruolo ingrato di successore immediato. Impossibile sostituire la donna amata che ti ha lasciato, tutti sappiamo come andò a finire. Ma se si parla di José Maria Callejon allora le contrapposizioni si dissolvono, le differenze si armonizzano. Perché l'esterno spagnolo è giocatore adorato da entrambi. Mourinho lo metteva in panchina per eccesso di campioni, ma lo considerava un elemento da cui non prescindere: "Anche se gioca solo dieci minuti sa rendere prezioso ogni istante in cui è in campo". Minuti che Benitez ha allungato a dismisura nel Napoli, facendo di Callejon uno dei suoi punti di forza e mettendo a tacere le critiche di chi considerava eccessivi i 10 milioni spesi in estate per acquistare uno che al Real Madrid faceva, per l'appunto, panchina. Dieci le reti finora realizzate in campionato, tante per uno che attaccante classico non è. Raccolto ancor più generoso se aggiungiamo quelle realizzate in Europa e in Coppa Italia. Questo non basta però per definire il peso specifico di un calciatore che sa sempre offrire la cosa giusta al momento giusto, come apprezzava lo Special One. Perché Callejon è prezioso e rispettoso: mai una parola o un atteggiamento fuori posto, come quei capelli che rimangono fissati uno per uno dal primo all'ultimo minuto di ogni partita. Una carriera in duplex con il gemello Juan Miguel: insieme sono partiti da Motril, la città che li ha già eletti a propri eroi dedicando loro lo stadio, e insieme sono diventati canterani nel Real. Questo fino al 2008, quando la casa madre li manda a fare esperienza in giro: José all'Espanyol e Juan al Maiorca, il primo svolta mentre il secondo fatica. Indivisibili fino a quel momento, oggi Juan si trova dall'altra parte del mondo (in Bolivia) ed è l'unico accenno di tristezza che José si concede, con parole che confermano quanto sia misterioso e insondabile il legame che unisce i gemelli. Una tristezza attenuata dalla prima stagione in Italia dopo aver deciso di salutare Madrid. Abitualmente è complicata per uno straniero, Callejon l'ha trasformata in una sorpresa positiva continua. Lo scudetto non è arrivato per lo strapotere della Juventus, la Champions League è stata una delusione da primato, visto che mai si era vista una squadra conquistare 12 punti e uscire comunque dal girone eliminatorio. Ma lo spagnolo ha confermato quanto di positivo Mourinho aveva detto sul suo conto e quanto Benitez aveva immaginato. Ora resta da porre sulla stessa lunghezza d'onda anche Vicente Del Bosque, che mai l'ha convocato in Nazionale. Sarebbe un altro miracolo, vista l'alta considerazione che il ct ha di se stesso quando si confronta con i colleghi...

    E a proposito di Nazionali, quella del Giappone sembra essere rimasta l'ultima isola felice di Keisuke Honda. Il ct Alberto Zaccheroni non lo ignora. Anzi, lo chiama anche quando c'è da affrontare un'amichevole di basso profilo come l'ultima contro la Nuova Zelanda. Qui Honda ritrova se stesso, dimenticando quell'Italia dove ha voluto approdare a tutti i costi e che si sta rivelando molto più complessa di quanto fosse lecito attendersi. Non si parla di un fenomeno ma di quello che Adriano Galliani reputava un giocatore di qualità, uno che avrebbe dovuto aiutare a gestire una difficile fase di transizione, per esperienza e per valore proprio. Ma quando è arrivato il momento di Honda al Milan, una volta liberato dalla finestra di mercato a gennaio, non è più stato il momento di Max Allegri, che ne aveva avallato l'ingaggio dal Cska Mosca. Anzi, il primo contatto con la serie A ha coinciso con l'incredibile sconfitta in casa del Sassuolo, epilogo della storia in rossonero per il tecnico mai amato da Silvio Berlusconi. Oggi Honda fa i conti con i difetti strutturali del Milan e con le originalità tattiche di Clarence Seedorf. Vero che là davanti la concorrenza è abbondante in fatto di trequartisti, vista la monotematicità rossonera in fatto di (presunti) rinforzi. Ma vedere il giapponese sfangarsela prima in fascia o, addirittura, in un'improbabile posizione di centrocampo, induce anche a un pizzico di tenerezza. E fa capire molte cose sul grado di lucidità oggi presente in seno al Milan, a tutti i livelli.