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Nessun terremoto nel cda del Corriere (dove tutto trema)
Non ci sono state né dimissioni né rimpasti all’interno del cda della Rizzoli Corriere della Sera. Voci di stampa nelle settimane scorse davano per possibili le dimissioni del presidente del cda, Angelo Provasoli, e la decadenza dell’organo della società editrice del primo quotidiano nazionale per diffusione. Nulla di tutto questo è accaduto: i vertici Rcs, dopo una riunione di cinque ore, hanno solo approvato i conti dell’anno scorso.
Non ci sono state né dimissioni né rimpasti all’interno del cda della Rizzoli Corriere della Sera. Voci di stampa nelle settimane scorse davano per possibili le dimissioni del presidente del cda, Angelo Provasoli, e la decadenza dell’organo della società editrice del primo quotidiano nazionale per diffusione. Nulla di tutto questo è accaduto: i vertici Rcs, dopo una riunione di cinque ore, hanno solo approvato i conti dell’anno scorso. Da segnalare a proposito la riduzione del debito, più marcata rispetto alle previsioni degli analisti, la lieve ripresa della raccolta pubblicitaria – rimasta comunque in territorio negativo – e la promessa dell’azienda di ridurre i costi con un anno d’anticipo rispetto a quanto preventivato. Da ricondurre a quest’ultimo rilevante particolare il rialzo del 6,3 per cento del titolo Rcs in Borsa, dicono gli analisti.
Secondo più fonti finanziarie, consultate venerdì scorso dal Foglio, sarebbe stata improbabile una decadenza del consiglio di amministrazione, nonostante i rumor rilanciati da diverse testate indicassero il contrario. Il motivo? Innanzitutto la decadenza o un rimpasto avrebbe rappresentato un’incognita per l’azionista singolo più importante di Rcs e cioè la Fiat, che detiene il 20 per cento delle quote. La metà del cda infatti è composto da uomini in quota Fiat (quattro su otto). Sono il presidente, Angelo Provasoli, l’ad Pietro Scott Jovane, il consulente Roland Berger e Luca Garavoglia, appena entrato al posto del dimissionato Carlo Pesenti (Italcementi). Gli altri quattro membri non sono “espressione” del Lingotto. Il notaio milanese Piergaetano Marchetti, già presidente di Rcs e attuale presidente dalla Fondazione Corriere della Sera, Fulvio Conti, ad e direttore generale dell’Enel, Attilio Guarneri, cooptato in rappresentanza della Pandette, finanziaria della famiglia Rotelli (ormai distante dalle vicende Rcs dopo la morte del padre Giuseppe), e infine Laura Mengoni, espressione di Assolombarda a titolo più che altro simbolico-rappresentativo. Fiat insomma, secondo una visione diffusa e confermata nei fatti, non avrebbe avuto interesse a terremotare il cda. Soprattutto sarebbe stato controproducente per l’immagine dell’intero gruppo. L’investor day è imminente (il 12 marzo) ed è in generale sconsigliabile presentare risultati e obiettivi alla comunità finanziaria internazionale con la compagnia “decapitata”.
Non per questo però le divergenze tra gli azionisti di Rcs possono dirsi sopite. Fiat, forte del suo 20 per cento, vuole fare da pivot in diverse partite importanti (dalla fusione con la Stampa, alla direzione del Corriere). Gli altri azionisti – che insieme detengono il 19 per cento – invece non ci stanno a vedere un Corriere Fiat-dipendente. In particolare Diego della Valle, patron di Tod’s, mal sopporta il presidente John Elkann, ed è ricambiato. Parlare di riconciliazione solo perché il cda è rimasto intatto è dunque fuori luogo. Le tensioni coveranno sotto la cenere fino al al prossimo cda in agenda (il 24 marzo) e si scaricheranno, dicono molti osservatori, durante l’assemblea degli azionisti (l’8 aprile).
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